venerdì 27 giugno 2025

“Il polisemico ritorno a casa di Franz Kafka.”  

di Rita Mascialino

(Studio posto a Introduzione della 2025 Rassegna 'Premio Franz Kafka Italia ®' per il Disegno Artistico XX Edizione)

Da Heimkehr (1920 senza titolo, annotato da Kafka in un quadernino e pubblicato postumo nel 1936 da Max Brod con il titolo Heimkehr, ‘Ritorno a casa’).

“Ich bin zurückgekehrt. Ich habe den Flur durchschritten und blicke mich um. Es ist meines Vaters alter Hof. Die Pfütze in der Mitte. Altes, unbrauchbares Gerät, ineinanderverfahren, verstellt den Weg zur Bodentreppe (…) Ein zerrissenes Tuch, einmal im Spiel um eine Stange gewunden, hebt sich im Winde. Ich bin angekommen. Wer wird mich empfangen? Wer wartet hinter der Tür der Küche? Rauch kommt aus dem Schornstein, der Kaffee zum Abendessen wird gekocht. Ist dir heimlich, fühlst du dich zu Hause? Ich weiß es nicht, ich bin sehr unsicher. Meines Vaters Haus ist es (…), aber als wäre jedes mit seinen Angelegenheiten beschäftigt, die ich teils vergessen habe, teils niemals kannte (…)  Und ich wage nicht an der Küchentür zu klopfen, nur von der ferne horche ich (…) Und weil ich von der Ferne horche, erhorche ich nichts, nur einen leichten Uhrenschlag höre ich oder glaube ihn vielleicht nur zu hören, herüber aus den Kindertagen (…)”

“Sono tornato. Ho varcato l’ingresso e mi guardo attorno. È il vecchio casale di mio padre. La pozzanghera al centro. Attrezzi vecchi, inutilizzabili, incastrati gli uni negli altri, bloccano il passaggio alla scala che va in soffitta (…) Un panno lacerato, un tempo avvolto per gioco attorno a una stanga, si alza nel vento. Sono arrivato. Chi mi riceverà? Chi aspetta dietro la porta della cucina? Del fumo esce dal camino, si sta preparando il caffè della cena.  Ti trovi in famiglia, ti senti come a casa? Non lo so, sono molto insicuro. Casa di mio padre lo è di certo (…), ma come se ognuno fosse occupato nelle sue faccende, che in parte ho dimenticato, in parte non ho mai conosciuto (…) E io non oso bussare alla porta, solo in distanza sto in ascolto (…) E siccome sto in ascolto in distanza, non ne ricavo nulla, sento solo un leggero ticchettio di orologio o forse credo soltanto di sentirlo, proveniente dai giorni dell’infanzia (…)” (Traduzione di Rita Mascialino)


Franz Kafka: File:Franz Kafka and Ottla Kafka.jpg, particolare.

La citazione dal breve e complesso, nonché straordinario scritto di Kafka mette in primo piano l’azione del ritornare a casa, espressa lapidariamente e con il verbo durchschreiten, non privo di una certa solennità, qui tradotto con varcare, come anche l’azione dell’essere arrivato, altrettanto lapidaria e solenne. Ritorno e arrivo enfatizzati che si snodano su binari simbolicamente multipli nella immaginifica narrazione kafkiana. Sul binario concreto: si tratta della casa del padre cui allude il profumo del caffè per il dopo cena, una casa in cui il figlio non sa se sentirsi in famiglia pur essendo appunto il figlio. La scala che porta alla soffitta e che è ancora disponibile per Odradek-Kafka, qui, nel ritorno del figlio, è sbarrata dai rottami. Al binario relativo ai padri del gruppo di origine allude implicitamente il panno ora senza stanga e lacerato, buttato via assieme ai rottami, comunque riconosciuto come oggetto un tempo munito di stanga, se anche solo per gioco, ossia come un vessillo, non una cosa seriamente intesa dai grandi, dal padre che ha permesso il gioco con un simbolo tanto importante come l’appartenenza al proprio popolo e così la sua riduzione a rottame inutilizzabile, anche dimenticato.  Commovente è il fatto che tale simbolo implicito dell’esistenza degli ebrei come popolo, pur se lacerato e già ridicolizzato come cosa da giochi infantili, alzi ancora i suoi resti al vento, come in un’azione di resistenza di chi non voglia essere cancellato per sempre, in una rappresentazione dell’identità e della dignità del popolo ebraico, capace di alzarsi ancora anche se semi distrutto – così nel testo kafkiano. Davvero in Kafka l’appartenenza al suo popolo è qualcosa di vissuto drammaticamente e profondamente, qualcosa di incessantemente doloroso. In una breve digressione: sappiamo che Kafka verso la fine dei suoi giorni rifiutò la lingua tedesca, la sua lingua, la lingua cui diede profondità insuperabili, causa del rifiuto: l’individuazione in essa, molto profeticamente, del germe della violenza, ciò per cui avrebbe intrapreso, se avesse ancora potuto, il viaggio in Palestina, per tornare all’unica vera casa dei suoi padri come servitore del suo popolo. Tornando al racconto, sulla scia della casa del padre concreto e della pseudo bandiera abbandonata nei rottami, si apre nell’eco più lontana anche un terzo binario più universale riguardante il ritorno e l’arrivo della vita al punto di partenza come percorso esistenziale che ritorna al nulla da dove è partito. Chiariamo lo speciale nulla kafkiano nel racconto supersimbolico. Nessun padre c’è mai stato per Kafka, ossia il padre concreto non è, secondo il figlio, mai stato un padre per lui e non ne ha mai aspettato il ritorno, parallelamente nessun padre celeste c’era all’inizio né attende il reduce all’arrivo. Solo il ticchettio dell’orologio si fa sentire nell’ambito più universale, ticchettio dell’orologio che presenta il tempo impersonale che scorre associato molto in lontananza a cose infantili, come possibili credenze dei piccoli nella vita. Per chiarire in aggiunta: il fatto che il ticchettio quasi impercettibile provenga da molto lontano, non si riferisce nella polisemica narrazione kafkiana all’infanzia del protagonista o solo del protagonista o solo alle credenze di lontana origine del popolo ebraico, ma si riferisce all’infanzia dell’umanità. Al proposito Kafka non usa il possessivo relativamente a suoi giorni dell’infanzia, non dice ‘aus meinen Kindertagen’, ma solo ‘aus den Kindertagen’, espressione che si presta appunto a una maggiore estensione della metafora, del simbolo. Non è senza significato, in tale ambito simbolico, il fatto che il ritorno abbia luogo di sera: nella sera della vita, quando la si deve abbandonare come nell’intreccio di simboli anche per Kafka ormai. Così in questa brevissima narrazione Kafka presenta il nulla del suo ritorno alla casa concreta del padre terreno e il nulla relativo a un eventuale implicito padre eterno che non attende chi a lui ritorni perché sta solo come antica credenza dell’infanzia dell’umanità.

Di fronte al nulla del duplice ritorno resiste tuttavia ancora nella mente e nel cuore di Kafka, sempre secondo quanto sta nello straordinario racconto, lo straccio di vessillo implicitamente ma del tutto verosimilmente ebraico – si è nel cortile della casa paterna, ebraica –, il quale si alza ancora al vento malgrado in pezzi, come una proiezione, si potrebbe dire eroica, del Kafka ebreo. Per concludere: Kafka, fuori dalla porta della casa del padre, si trova accomunato ai rottami buttati via nel cortile, ossia come essere inutilizzabile, fuori sì dalla casa paterna vera e propria e da ogni inesistente casa celeste, assieme però al vessillo in pezzi, che ha ancora l’estrema dignità di alzarsi comunque e ad oltranza anche se come logoro straccio, così come ugualmente il figlio sta comunque eretto sebbene fuori dalla porta di casa con la citata polisemia conseguente.

                                                                                     Rita  Mascialino 

“Breve Nota su Franz Kafka: emblema dell’ebreo errante, senza patria, senza casa.

(Studio posto a introduzione della 2025 Rassegna 'Premio Franz Kafka Italia ®' Cultura Carriera Immaginazione XIX Edizione)

Di Rita Mascialino

Dal Racconto-capolavoro  di Franz Kafka Die Sorge des Hausvaters (Franz Kafka, Sämtliche Erzählungen. Frankfurt am Main D: Fischer Taschenbuch Verlag 1970: Hersg. Paul Raabe: Nachwort: Paul Raabe 1969: 139-140).   

“(…) Es [Odradek] sieht zunächst aus wie eine flache sternartige Zwirnspule, und tatsächlich scheint es auch mit Zwirn bezogen; allerdings dürften es nur abgerissene, alte, aneinander geknotete, aber auch ineinander verfitzte Zwirnstücke von verschiedenster Art und Farbe sein. Es ist aber nicht nur eine Spule, sondern aus der Mitte des Sternes kommt ein kleines Querstäbchen hervor und an dieses Stäbchen fügt sich dann im rechten Winkel noch eines. Mit Hilfe dieses letzteren Stäbchens auf der einen Seite, und einer der Ausstrahlungen des Sternes auf der anderen Seite, kann das ganze wie auf zwei Beinen aufrecht stehen (…)”

‘(…) Esso [Odradek] ha in un primo momento l’aspetto di un rocchetto di filo, piatto e a forma di stella e di fatto sembra anche ricoperto di filo; tuttavia dovrebbero essere solo pezzi di filo strappati, vecchi, annodati uno all’altro, ma anche dei più diversi tipi e colori ingarbugliati uno nell’altro. Però non è soltanto un rocchetto, bensì dal centro della stella viene fuori un piccolo bastoncino trasversale e a questo bastoncino se ne aggiunge poi ancora uno formando un angolo retto. Con l’aiuto di quest’ultimo bastoncino da un lato e di una delle punte radianti della stella dall’altro, il tutto può stare in piedi come su due gambe (…)’   (Traduzione di Rita Mascialino)  

 


            Immagine: Franz Kafka, Alamy Foto Stock                                                                                                                                                                        

In una delle mirabili composizioni della sua immaginazione Franz Kafka dipinge in sintesi una figurazione – artistica – dell’ebreo errante che coincide con il simbolo della stella, divenuta in seguito il simbolo centrale della bandiera dello Stato di Israele, risalente a tempi antichissimi dove già rappresentava l’identificativo dell’ebraismo. Fondamentale al rocchetto di filo descritto da Kafka è che esso è anche, partendo dal centro della stella, anche un essere che sta in piedi su due gambe, ossia un uomo per quanto stilizzato. Un uomo che viene a coincidere spazialmente con la stella, il simbolo antico di Salomone, figlio di re Davide (Betlemme1040-Gerusalemme 970 circa) e re a sua volta di Israele (Gerusalemme 1011-931), simbolo anche del cosiddetto scudo di Davide e di origine ancora molto più antica. Altrettanto fondamentale è che il rocchetto kafkiano non ha un solo filo, né un solo colore, ma è un groviglio di tanti tanti fili dei colori più diversi – tutte le patrie altrui di cui gli ebrei hanno dovuto salire e scendere le dantesche scale per sopravvivere dopo la seconda distruzione del tempio ad opera delle legioni dell’imperatore romano Tito nel 70 A.D. Fili vecchi, strappati, simbolicamente i vessilli che hanno connotato la diaspora dell’ebreo errante. Franz Kafka, nel racconto da cui la citazione sopra, si è proiettato in Odradek, l’uomo-stella simbolo dell’ebreo quale lui era e si sentiva nel profondo, ma anche il figlio non accettato neanche nella casa del padre – Odradek sta sempre fuori dalla porta –, davvero l’emblema perfetto di chi non ha casa, patria ed è malvisto nella casa del padre, dai familiari quindi. Ma non basta: Odradek in qualità di rocchetto per il filo è ricoperto di filo ed è associabile alla possibilità di tessere, metaforicamente: al narrare e Kafka ebbe a djre di essere solo narrazione, appunto nella metafora: un rocchetto per il filo, un uomo per tessere narrazioni. Questo nella descrizione che Kafka fa di Odradek, sua triplice proiezione di Kafka e personaggio principale del racconto La preoccupazione del padre di famiglia. Molti illustri studiosi danno del nome Odradek versioni che non sono condivisibili a mio giudizio. Do qui, come ho dato anche in passato, la mia interpretazione. Il termine, in totale sintonia con il pensiero di Kafka nel racconto dello speciale rocchetto a forma di stella come nel pezzo sopra citato, identifica un soggetto che non sta a casa di nessuno, sempre fuori dalla porta perché non accettato. Il termine in sé significa propriamente in una composizione di termini dal ceco: fuori dal castello, via dal castello. Ciò è una prefigurazione del successivo romanzo incompiuto per la sopraggiunta morte di Kafka: Il castello, Das Schloss (Das Schloß nella grafia ai tempi di Kafka fino alla riforma ortografica del 1996 della lingua tedesca) –, nome che sintetizza il Leitmotiv dell’esclusione di Kafka da ogni comunità – neanche nel Castello Kafka entra mai, anche se può forse essere chiamato alla fine. Molto ci sarebbe da dire sulla personalità di Kafka stante sempre fuori da case, castelli e simili, ma la breve Nota su Odradek-Kafka ebreo errante finisce qui.”

                                                                                                                           Rita Mascialino


Udine, settembre 2023.

martedì 18 febbraio 2025

Vengono pubblicati dalla Casa Editrice Cleup Università di Padova, a uscita libera, i QUADERNI DEL 'SECONDO UMANESIMO ITALIANO ®', a cura di Rita Mascialino. Ciascuna Serie di Quaderni distinta per argomenti ha una medesima immagine di copertina, ad esempio il primo Quaderno intitolato "Donnicidio: Analisi semantiche" avrà sempre la emblematica immagine di Robert Browning riferita al Monologo Drammatico Porphyria's Lover, L'amante di Porfiria, In quanto la poesia racchiude i poli generali morali e materiali del comportamento negativo maschile verso la donna: umiliante prevaricazione e uccisione. Tutti i dettagli del Monologo, redatto da Browning nel più ambiguo stile come è tratto connotativo del suo poetare in generale, stanno chiariti in dettaglio nell'analisi semantica del Monologo. Compongono il Quaderno, oltre al citato studio che dà del Monologo un'analisi innovativa del suo significato, ulteriori e più brevi studi riferiti a concetti e termini che evidenziano il potere dell'uomo sulla donna in passato e ancora oggi. A conclusione del Quaderno stanno i Cenni Biografici riferiti a Rita Mascialino. I Quaderni si possono ordinare per e-mail presso: tipografia@cleup.it .

Copertina (Robrt Browning, i-stockPhoto) del Primo Numero della Serie di Quaderni relativi a "Donnicidio: Analisi semantiche"

Seguono la Dedica e i Ringraziamenti, inoltre la Prefazione che rimarrà sempre la medesima per tutti Quaderni.

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Dedico i QUADERNI DEL ‘SECONDO UMANESIMO ITALIANO ®’ a mio padre Vittorio Mascialino, dal quale ho potuto apprendere il rigore e la disciplina, insegnati duramente come si conviene a tali qualità della personalità.

 

 

 

Ringraziamenti

Ringrazio sentitamente tutto lo staff della Cleup Editrice Università di Padova non solo per l’efficienza dimostrata ormai da più di un ventennio di costante relazione con me, ma anche per quello che ritengo un ulteriore distintivo della Cleup: la gentilezza e signorilità nei rapporti non solo verso di me, ma, come ho potuto constatare, verso tutti coloro cui la buona sorte consente di avere a che fare con tale per altro ottima Casa Editrice. In particolare voglio ringraziare l’Editor Sandro Carpanese per l’eccellente consulenza sul piano pratico ed estetico, nonché disponibilità collaborativa, il quale con le sue capacità ha sempre risolto nel migliore dei modi ogni possibile difficoltà insorgente durante il delicato lavoro della pubblicazione in seno al vasto e importantissimo settore culturale e scientifico, italiano ed estero.

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Prefazione

Il Progetto delle Serie a uscita libera dei Quaderni del ‘Secondo Umanesimo Italiano ®’ (Cleup Editrice Università di Padova) riguarda analisi semantiche approfonditive relativamente a diversi argomenti, accomunati nel metodo di indagine (Mascialino 1996 e segg.), il quale ha alla sua base conseguimenti scientifici tra cui neurofisiologia e prospettiva evoluzionistica per quanto attiene all’esperienza  del mondo e alla sua elaborazione nella veste semantica in seno alla mente. In essi si vuole riprendere e continuare non certo l’Umanesimo Italiano nella sua complessità e articolazione profonda, ma solo ed esclusivamente l’Umanistico concetto innovativo al centro della più grande Rivoluzione di pensiero e Avanguardia metodologica nell’analisi a livello linguistico del significato dei testi filosofici, letterari e religiosi rappresentata appunto dall’Umanesimo. 

In particolare, proprio la traduzione dei testi letterari e filosofici diede luogo all’epoca a dispute infuocate tra gli Umanisti e i loro avversari – famose le diatribe portate avanti da Francesco Petrarca e Leonardo Bruni. Molto polemica fu tra l’altro anche la ‘Lettera sul tradurre’ o Sendbrief vom Dolmetschen (1530) redatta – in chiave umanistica specificamente analizzando le traduzioni delle Sacre Scritture – da Lutero (Max Niemeyer Verlag Tübingen 1965: Herausgeber Karl Bischoff), testo in scrittura gotica riprodotto fedelmente nella citata edizione comprensiva anche dei refusi presenti nell’originale, nel quale Lutero non risparmia gli epiteti per gli errori di comprensione del significato dovuti a incompetenza e ritenuti secondo lui inaccettabili in chi deteneva il monopolio della cultura, ossia negli ecclesiastici della Chiesa Romana, errori di semantica nel testo latino della traduzione che dimostra molto dettagliatamente e inoppugnabilmente. Ricordiamo che il controllo della cultura servì alla Chiesa non solo per manipolare all’occasione il significato dei testi ad docendam plebem, per l’ammaestramento della plebe, ma anche, con il papa Silvestro I nel secolo VIII ad esempio, per inventarsi di sana pianta un documento mai esistito, il Constitutum Constantini, o Decreto di Costantino, più noto come Donazione di Costantino, con cui l’Imperatore avrebbe donato alla Chiesa il potere giurisdizionale su Roma e l’Italia, su tutto l’Occidente, su tutte le Chiese, compresa quella di Gerusalemme, ossia un potere universale superiore a quello imperiale addirittura, donazione che l’Imperatore mai fece. Dimostrò (1440) che il documento in questione fosse apocrifo, ossia solo un falso, Lorenzo Valla* (Roma 1407-1457), celeberrimo e coltissimo umanista al centro dell’Umanesimo italiano ed europeo e molto apprezzato e stimato da Lutero stesso. La sua scoperta avvenne attraverso un’analisi squisitamente linguistica e semantica condotta oggettivamente sulla base del testo della sedicente donazione – per altro furono gli Umanisti, in primis appunto proprio Lorenzo Valla, a fondare o rifondare all’epoca anche il metodo filologico innovandolo. Riferendoci in particolare ai testi letterari, filosofici e religiosi, si trattava pertanto per gli Umanisti di indagare oggettivamente – esplicitamente contro ogni libera invenzione dei significati effettuata secondo varie motivazioni – quella che era la soggettività degli artisti e dei pensatori espressa nei loro testi a livello linguistico per capirne il significato che oggettivamente essa possedeva e non poteva evitare di possedere. Comunque, quando all’epoca la Chiesa, nella sua costante lotta contro la libertà di pensiero e contro il pensiero scientifico in qualsiasi forma, si accorse della enorme pericolosità degli intellettuali dell’Umanesimo per il suo potere assoluto sui corpi e sulle menti degli individui, perseguitò gli Umanisti in Italia e all’estero catturandoli e quindi secondo l’opportunità torturandoli e mettendoli al rogo qualora non rinnegassero le loro idee di libertà, ma anche all’occasione, più subdolamente, facendoli avvelenare ad esempio con l’arsenico ferme restando la calunnia e la diffamazione sempre presenti. L’Avanguardia umanistica aveva in ogni caso iniziato a sgretolare in senso democratico il potere assoluto della Chiesa, assolutismo tutt’oggi vigente nello Stato del Vaticano quale regime di monarchia assoluta con a capo il papa, all’epoca esercitato con lo strumento del terrore rappresentato dai famigerati Tribunali dell’Inquisizione istituiti contro i dissidenti, detti comunemente eretici. Ancora oggi, nelle democrazie, lasciando stare i regimi assolutistici o dittatoriali dove non vi è libertà di pensiero né di azione, si può constatare come la verità oggettiva dei testi filosofici e letterari o artistici sia comunque in generale sottratta all’indagine scientifica con l’adduzione della più assurda delle motivazioni: l’impossibilità di indagine scientifica del significato dei testi, linguistici, della fantasia soggettiva letteraria e appunto dell’arte di tutti i generi. In altri termini: come se l’immaginazione non fosse un fenomeno a disposizione dell’indagine scientifica. Con l’escamotage dell’impossibilità di applicare la prospettiva scientifica, propria ad esempio della fisica, all’indagine del linguaggio in generale e dei testi letterari e artistici, nonché filosofici e simili – come se non ci fossero inevitabilmente diverse prospettive scientifiche secondo gli ambiti di ricerca – si inserisce, facendolo passare dalla finestra, il divieto di analisi della verità oggettiva dei testi fatto uscire dalla porta proprio dagli Umanisti. La strada è stata lunga e dolorosa ed è ancora molto lunga per le interpretazioni dell’oggettività dei testi, le quali però continuano a stare al centro ideale di una democrazia che voglia dirsi tale coinvolgendo esse il dovere della trasparenza, quindi della giustificazione delle ipotesi esegetiche, corrette o sbagliate che siano – sappiamo che, in tutte le scienze, le Leggi sono ipotesi, valide sino a prova contraria. L’Illuminismo introdusse l’uso della ragione, dell’intelligenza, in luogo della parola di Dio e abbatté anche l’arcaico, preistorico diritto divino di governare, il quale tuttavia ricomparve con la Restaurazione che seguì la Rivoluzione Francese e che nelle teocrazie e nel pensiero religioso ancora esiste e resiste. Quanto alle interpretazioni dei testi, certo dai fruitori non specializzati in analisi dei testi comprese le traduzioni letterarie che sono frutto di analisi e riproduzione letteraria del significato dei testi a livello interlinguistico, ossia dai non addetti ai lavori per così dire, nessuno pretende indagini che vadano al di là delle stimolazioni soggettive elicitate dall’approccio cosiddetto ingenuo alle opere letterarie o filosofiche o religiose e artistiche, così come non si richiede a nessun fruitore non specialista di conoscere profonda mente la fisica e tanto meno di capire in profondità le scoperte scientifiche nei vari ambiti – eccezioni sempre possibili come tali. Risulta implicitamente chiaro che, in riferimento agli specialisti, agli addetti ai lavori ciascuno nei loro ambiti di ricerca, non sia con sono che si inventino significati ingenuamente e a buon mercato, per altro senza giustificazione di quanto asserito. Questo invece è ciò che talora accade nell’ambito delle esegesi relative al fenomeno letterario, artistico, per le quali si danno prevalentemente ‘libere interpretazioni’ e notizie storiche considerate come significati dei testi, ciò con cui le gemme che l’arte può donare agli artisti, agli umani, che si voglia o meno, vanno perdute. Ritengo, senza scendere in dettagli minuti in una prefazione, che le interpretazioni esistenti dei testi letterari più importanti, vadano rifatte senza usufruire dello stratagemma della libera interpretazione anche se si tratta di un metodo comodo e veloce – un conto è inventare liberamente i significati, altro è dimostrare con analisi che reggano**. Certo, l’aver propagandato che il significato dell’arte di qualsiasi genere venga dato liberamente dai lettori e dai fruitori in generale dei prodotti artistici, ha incrementato il consumismo dei libri nel più grande commercio e questo è senz’altro un bene per tutti. Per altro errori interpretativi dei vari fenomeni se ne fanno e se ne faranno sempre con qualsiasi metodo, anche il più scientifico – è per altro proprio sugli errori o imprecisioni presenti nelle teorie e nelle scoperte scientifiche che si imposta la possibilità di progredire propria del pensiero scientifico e non di quello religioso che resta immutato come parola di Dio. Ma non è questo il problema. Il fatto è che, nelle esegesi dei testi, dimostrando le proprie interpretazioni e non semplicemente affermandole dall’alto o dal basso, si fanno e si faranno sempre meno errori. Nel contempo, cosa della massima rilevanza, si indagherà il fenomeno linguistico, artistico, estetico, nel modo più oggettivo possibile e collegato alla realtà del fenomeno stesso, ossia si eviteranno pe il possibile costruzioni di pensiero senza giustificazione o adduzione di prove. Fanno parte dei Quaderni del ‘Secondo Umanesimo Italiano ®’, come accennato, Serie di studi di Rita Mascialino raggruppati secondo diversi argomenti relativi alle discipline di competenza, tra cui riassumendo: Linguaggio; Evoluzione; Opere filosofiche, letterarie, di arti visive, altre; Identità dei Popoli; Donnicidio; Cinema; Criminologia; Varie. Alcuni testi già apparsi sono stati sintetizzati e riorganizzati per la pubblicazione nei Quaderni.

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*Dalla Presentazione della ripubblicazione del libro (1928) di Roberto Cessi, grandissimo studioso veneto (Rovigo 1885-Padova 1969), La Dona zione di Costantino (Milano: Casa Editrice La Vita Felice: Traduzione di Roberta Sevieri, testo latino e greco a fronte: 2010, 5-8): «(…) La celebre Donazione di Costantino è un falso medioevale che ha avuto per secoli la pretesa di essere l’atto diplomatico con il quale l’imperatore romano avrebbe donato l’Urbe, l’Italia e l’Occidente a papa Silvestro I (314-335) e ai successori di Pietro. Ad essi avrebbe concesso, su tali territori, poteri e onori da veri sovrani temporali e su tutte le Chiese del mondo il primato di giurisdizione e, ovviamente, il diritto di legiferare in materia di fede e di costumi (…) I primi che affrontarono con mezzi critici il problema dell’autenticità della donazione, e conclusero negativamente le loro ricerche, furono gli umanisti del XV secolo, tra i quali Nicolò Cusano e Lorenzo Valla (…) Secondo un’autorità come il Döllinger, Stefano II, andando in Francia nel 753, avrebbe recato con sé il documento; altri ritengono che la falsificazione avrebbe avuto l’intenzione di preparare e giustificare l’Incoronazione di Carlo Magno (…) Per oltre un millennio è stato proprio lo scritto falso a condizionare la storia occidentale. Per tal motivo è stata decisa la ripubblicazione del saggio e dei testi curati da Roberto Cessi che, essendo usciti negli Atti del Regio Istituto veneto di scienze, lettere e arti nel 1928 sono conosciuti soltanto dagli specialisti (…)» Lorenzo Valla dovette autodifendersi dalle accuse di eresia nel processo del Tribunale dell’Inquisizione napoletana istruito contro di lui (1444) nel Regno di Alfonso V d’Aragona re di Napoli, detto il Magnanimo, al cui servizio Valla era entrato dal 1435 quale Segretario dello stesso. Solo grazie all’intervento di Alfonso V Lorenzo Valla poté salvarsi malgrado lo spirito acceso delle numerose contestazioni riguardanti traduzioni e interpretazioni tradizionalmente ritenute autorevoli e inattaccabili, come pure contestazioni di ulteriori documenti falsi. Valla poté così permanere nei ranghi della Chiesa di Roma, dove in seguito, con papi a lui favorevoli, tornò senza rischio della vita.

**Cito un solo esempio, tra i numerosi a disposizione, delle perdite dei preziosi dell’arte letteraria: per più di un secolo non è stata mai identificata nel racconto di Franz Kafka Der plötzliche Spaziergang, La passeggiata improvvisa – scritto nel medesimo anno 1913 relativo alla composizione della nota in quanto esplicita Metamorfosi in scarafaggio –, la presenza, espressa linguisticamente a livello implicito e criptico, di una straordinaria metamorfosi del protagonista in cavallo nero, identificata dalla scrivente (Mascialino 1996 e segg.) esclusivamente e oggettivamente a livello esegetico – umanisticamente parlando per così dire – assieme ad ulteriori identificazioni semantiche altrettanto straordinarie nel medesimo racconto, pure espresse cripticamente da Kafka e per questo non identificate né nelle libere interpretazioni, né nelle interpretazioni storicistiche.

                                                                                               Rita Mascialino (detta Maddalena)


Febbraio 2024 'Studio Fotografico Valentina Venier | Udine Via Grazzano 38




sabato 28 settembre 2024

 Rita Mascialino‘Insieme falceremo il vento’: Poesie di Angioletta Masiero. Recensione.


La silloge poetica Insieme falceremo il vento di Angioletta Masiero (2023: Prefazione di Gian Domenico Mazzocato, Nota Introduttiva di Maria Braga: Illustrazioni di Massimo Beretta e Silvana Malagoli) offre, come dalla didascalia ‘Storie in versi di auto, piloti e pilotesse’, componimenti relativi a macchine da corsa dei più famosi brand e a uomini e donne alla loro guida altrettanto famosi.


Si tratta di una raccolta di liriche di eco marinettiana nella superficie del tema: l’automobile da corsa e la corrispondente velocità quali simboli della vita da viversi in un progresso vertiginoso e infinito. Angioletta Masiero affronta tuttavia l’argomento molto diversamente.  Certo, ciò che senz’altro colpisce per primo anche nelle poesie dell’Autrice è il linguaggio spesso esprimente tonalità di sferzante entusiasmo per motori poderosi di marchi importanti, per personalità di eccezionali personaggi – anche formidabili donne pilotesse – che hanno interpretato l’esistenza non solo entro le rassicuranti andature della quotidianità, ma anche come estrema emozione connessa all’esperienza della potenza, come la possono dare, nell’ambito, ritmi accessibili solo a chi pone il rischio della vita non come evento da evitare, bensì come avventura  da affrontare in un pericoloso azzardo, e a tutto ciò Angioletta Masiero ha dato coinvolgente memoria poetica nella sua opera. I piloti delle sue macchine da corsa sono portati dai versi come sul magico tappeto volante aggiornato ai tempi attuali e rappresentante le più recenti e sbalorditive tecnologie in una stupefacente alleanza con bolidi che all’uomo comune suscitano meraviglia e persino turbamento solo a guardarne la sagoma simile alla creazione di un’arte astratta delle più strabilianti. Vorrei comunque evidenziare sin da ora quale fattore rilevante, presente a livello conscio e inconscio come sempre nella creatività poetica, come già all’elogio stesso dei roboanti motori e della velocità funga da contrappunto un’aria musicale connaturata all’identità più universalmente nota della donna nella cultura di tutti i tempi come viene espressa più in primo piano anche in specifici versi di ciascuna lirica – alla sensibilità della poetessa è comunque totalmente estranea l’iperbolica volontà al maschile di Marinetti inerente alla conquista delle stelle e del cosmo infinito, bensì emerge nella raccolta un sentimento di acuta nostalgia per ciò che non è più, di memoria del passato.  

Accanto dunque all’eccitazione per il più straordinario passaggio in macchina offerto da Angioletta Masiero, poetessa dall’immaginario audace, si percepisce un’altra prospettiva di tono più sottile, ma tenace, che dà l’ingresso in uno dei territori più connotativi della grande poesia, quello relativo alla caducità della vita che assume molteplici forme e significati secondo le varie visioni del mondo, anche secondo la particolarissima visione del mondo della poetessa. I due poli entro cui si realizza la raccolta, apparentemente opposti – uno riguardante la più intensa, rapida e ardita esperienza dell’esistere, l’altro riguardante il ricordo nostalgico dell’esperienza esistenziale troppo rapidamente trascorsa –, trovano una confluenza, come andiamo a vedere.

Per recepire al meglio la natura di tale confluenza è indispensabile analizzare lo speciale titolo della raccolta, che offre un’immagine qualificante l’argomento o, più profondamente, il messaggio espresso dalla poetessa.

Insieme falceremo il vento riporta l’ultimo verso della poesia Ferrari F430 (27), di cui citiamo alcuni versi emblematici dell’atmosfera di tutta la silloge:

“Ti ho desiderata tanto,/ ti ho sognata, amata,/ cercata, ammirata./ Da bambino ti tenevo/ accanto al mio lettino,/ ti guardavo, ti accarezzavo,/ la notte ti sognavo./(…) Tu sei il sogno, sei la mitica F430./ La voglia di libertà,/ di sfrecciare su strade d’aria,/ di sentire fra i capelli/ le mani del vento./(…) Mi appartieni./ Ti appartengo./ Insieme falceremo il vento.//”  

Il pilota assieme alla sua amata, l’auto, falcerà il vento stesso, l’aria, superandoli nel suo desiderio di velocità e di estrema libertà e correndo tanto rapidamente da avere la sensazione di correre nell’aria e non più nella materialità dei percorsi – senza con ciò considerare immonda la terra come diversamente Marinetti. Tornando al verso in questione, il modo di dire che funge da base al falciare il vento è il più comune tagliare l’aria, per la rapidità nell’entusiasmo della corsa. Ma falciare il vento non coincide del tutto con il tagliare l’aria – le parole, per quanto intese sinonimicamente, non sono mai semanticamente uguali, ma solo simili se non talora anche molto diverse secondo i diversi contesti. Tagliare si può con diversi strumenti, falciare si può solo con la falce e questo strumento introduce un’azione e una semantica che apre uno scenario diverso per qualche aspetto fondamentale dal tagliare. Di base la spazialità intrinseca all’azione del falciare rimanda concretamente e usualmente all’erba o al grano o ai raccolti che si falciano – o falciavano soprattutto in altri tempi – e, nel senso traslato che su quello concreto si costruisce, si riferisce alla più sinistra figura rappresentata con la falce con cui viene abbattuta la vita degli individui, ossia il loro breve tempo concesso secondo miti di antica origine. Angioletta Masiero attua un positivo e sorprendente rovesciamento del simbolo della falce che non riguarda più il falciare le persone, bensì il vento, ciò che, nel contesto, modifica anche il simbolismo del vento, dotandolo del volto del tempo occhieggiante sotto quello della velocità. Vediamo come il vento sia, tra le ulteriori numerose simbologie ad esso collegate, spesso sentito dai poeti e nei miti come il tempo che fugge veloce, come una sua voce, vento e tempo collegati a ricordare agli umani la caducità della vita. Ad esempio, nel solitario Leopardi delle Rimembranze il vento reca dalla torre del borgo lo scandire dell’ora facendosi voce del tempo che passa e della transitorietà dell’esistere. Come variazione sul tema, nella lirica di Neruda El viento en la isla, Il vento nell’isola, isola metafora della vita sulla Terra, il tempo chiama il poeta con la voce del vento per portarlo lontano, nell’ignoto, così che l’uomo chiede aiuto all’amore – alla donna amata che lo rappresenta – per restare ancora, per avere una sosta prima di ricominciare il solitario viaggio – anche l’ultimo viaggio. Nella poetessa Masiero la sovrapposizione del vento al tempo avviene attraverso la condivisione della velocità e dell’intangibilità: vento che corre veloce come il tempo, vento che è intangibile come il tempo. La falce, nel suo senso simbolico, falcia il vento in veste di tempo esistenziale, non la vita quindi, bensì falcia il tempo limitato dell’esistere per dare spazio a un tempo infinito. In altri termini, il falciare il vento, che nel contesto assume, sul piano simbolico, anche la connotazione del tempo con cui condivide la velocità e l’impalpabilità, indica l’abbattimento della fuggevolezza e rapidità riservate all’esistere. Questo eccezionale abbattimento che rovescia  l’azione simbolica della falce come accennato, può avvenire nello slancio titanico del cuore della poetessa, in un potentissimo eros di vita, di volontà di vita ad oltranza che vuole superare i confini riservati all’umano. Alla confluenza sopra anticipata le due strade – l’intensa interpretazione del vivere all’insegna della rapidità e la rapidità dello scorrere del tempo esistenziale – si sovrappongono e imboccano l’unico percorso che va oltre o vuole andare oltre la brevità della corsa dell’esistenza. Ribadendo ancora, la simbolica falce abbatte e supera sia la corsa del rapido vento superandolo, sia la corsa del rapido tempo esistenziale a vantaggio della possibile continuazione della corsa nel percorso di un tempo infinito.

Venendo al su accennato punto di vista connaturato alla donna, esso è espresso nella presenza dell’avverbio insieme. Esso, all’inizio del sintagma, pone subito in primo piano l’altro con cui si viaggia, rimarcando con ciò il suo significato: l’auto amata con cui si corre, certo, ma anche e soprattutto, nell’indeterminatezza dell’espressione linguistica che contraddistingue il titolo, anche una persona – ovviamente amata anch’essa – con cui si vivrà in un’unione che falcerà il vento/tempo esistenziale leopardianamente solitario, superandolo e abbattendolo, come, ricordiamolo ancora, la presenza della simbolica falce poetica indica nel suo utilizzo innovativo. Non si tratta per così dire di una eventuale hybris individuale o solipsistica, più adatta all’espressione di una visione maschile, si tratta di un impeto di vita che possiamo definire eroico al femminile, come se la corsa verso l’unico percorso fosse pilotata da una donna non solitaria ma insieme nell’amore più grande, questo è il messaggio più profondo che ci dà la poetessa Angioletta Masiero nella meravigliosa e speciale corsa che mai si interrompe – e che non termina nel letto celeste di Marinetti, celeste, ma sempre letto adatto alla stasi, meno che mai alla rapidità che in esso al contrario si interrompe. Diamo un esempio illustre per evidenziare la grande differenza tra il sentire della donna Angioletta Masiero e quello di un uomo, il poeta Ezra Pound: “What thou lovest well remains, the rest is dross” (Canti Pisani, Canto LXXXI), Quel che ami davvero, rimane, il resto è scoria” (Trad. di RM), versi immortali che tuttavia mancano dell’amore per l’umanità: ciò che tu ami, non un essere vivente quindi, ma qualcosa – azioni e ambiti di varia natura, situazioni e altro, mete da raggiungere –, qualcosa quindi che tu in solipsistica solitudine maschile ami, resta, il resto è scoria. E il resto, nel contesto, sono niente meno che le persone, escluse dall’utilizzazione del pronome what che non si può riferire grammaticalmente alle persone, mentre con l’avverbio insieme a introduzione dell’azione del falciare c’è la macchina, sì, ma nel senso simbolico anche la persona amata, non solo, possono essere anche più persone nel noi del titolo indeterminato, ossia comprendente l’umanità intera guidata nel caso dalla donna nella corsa che può non interrompersi in uno spazio senza confini, senza limiti. Angioletta Masiero fa un vero capolavoro di rimbalzi concreti e simbolici nelle liriche  di questa silloge sempre riferibili al doppio binario in cui vengono a sovrapporsi l’oggetto e la persona, il senso concreto e il senso simbolico, così che prevale un’unione tra gli esseri umani che si realizza nell’incitamento a non interrompere la corsa e a superare la solitudine, questo come è nella natura della donna che genera la vita e da sempre accompagna la stessa con la speranza della continuazione nell’unico percorso, sciogliendo il suo canto.  

L’immagine nel titolo pervade tutta la silloge, che si svolge, come è stato sottolineato, su due piani: uno più di superficie, l’altro più profondo, dal titolo in poi. Ovunque, in tutte le due parti – ‘Storie di auto’ e ‘Piloti e pilotesse’ – che compongono la raccolta si respira l’aria della più appassionata nostalgia per la vita di tanti grandi personaggi la maggioranza dei quali non è più, del più imbattibile amore per la vita in sé, ossia si trovano sparsi ovunque versi di pura creatività poetica poggianti su una visione dell’esistenza che va al di là delle concrete e luccicanti macchine da corsa per quanto belle esse siano. Ed è la pilotessa Angioletta Masiero, la donna, a condurre insieme oltre il tempo con il suo amore che non si arresta nei piccoli spazi terreni, ma che si espande nel mistico viaggio nell’infinito.

Così, analizzando la complessa semantica espressa nella silloge Insieme falceremo il vento della poetessa Angioletta Masiero. Una silloge che si spende, nel profondo, all’insegna di una corsa che al bivio citato si fa coraggiosa e più intensa volontà di abbattere lo speciale vento, di falciarlo in un anelito di vita e di speranza invincibili.

Moltissimo ci sarebbe ancora da dire, ma ci vorrebbe allora uno spazio maggiore di quello a disposizione di una Recensione.

Prima di concludere seguono alcune tra le tante citazioni possibili dalle belle e profonde liriche al proposito:

“(…) Adesso che dentro sento/ tutti gli inverni del tempo/ e ho dimenticato/ i profumi delle primavere/ si smorza la mia voce/ un poco ogni sera./ Il mio pensiero è scia di polvere/ lasciata sulla strada delle ore./ Tempeste gelate mi hanno raffreddato il sangue/ e mi accorgo/ di aver perso quella luce/ che mi rideva negli occhi./ Non ci saranno  altri raduni, mai più quel suono/ di clacson e motori/ a riscaldarmi il cuore./ (…)” (Me le porto nel cuore: 26)

“(…) Eri polvere di stelle, Rudy,/ polvere di un tempo ormai passato./ Non contano più gli anni,/ né i giorni lontani./ Sei dentro un nuovo tempo./ Sei nel battito dell’universo/ (…)” (Rodolfo Valentino e la sua Isotta Fraschini: 32)

“(…) Per anni e anni Antonietta Avanzo continuò/ a scrivere nel vento/ le sue passioni ardenti, le sue sfide./ Se ne andò a ottantotto anni./ Ma quando l’alito della notte/ sfiora la luna bianca/ sembra di udire nell’aria/ il pulsare antico del suo coraggio/ che non ha tempo né fine/ (…) (La baronessa volante: 65)

“(…) Ora sei nel vento che piega le betulle,/ nel dirupo coperto di ginestre,/ sei nel sole sbriciolato/ sugli alberi del bosco/ e nel vasto fluire della luce/ nell’obliquo pennello del tramonto (…) (La leggenda di Jim Clark: 110)

Qui termina questa Recensione di Insieme falceremo il vento come messaggio potente d’amore, di vita da vivere intensamente inviato all’umanità dalla donna e poetessa Angioletta Masiero che nelle sue liriche spezza la sua lancia tale da abbattere il tempo limitato della vita terrena per aprire l’infinito orizzonte alla speranza della continuazione della corsa insieme all’altro, agli altr                                            

Rita Mascialino (detta Maddalena)

 

Angioletta Masiero (Rovigo) è scrittrice e poetessa pluripremiata, giornalista premiata nel 2014 dall’Ordine dei Giornalisti del Veneto con Medaglia d’Argento per i trentacinque anni di giornalismo continuativo e di spessore su importanti Testate del Veneto, ricercatrice in ambito culturale relativamente a personaggi del Polesine, inserita nell’Accademia dei Concordi e del Soroptimist di Rovigo “Donne Polesane Letterate Illustri dal 500 ai giorni nostri”, Presidente da 26 anni della storica Sezione Provinciale di Rovigo per l’UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), Referente Provinciale Theleton per le Malattie Genetiche Rare e tanto altro.

martedì 24 settembre 2024

 Premio conferito a Rita Mascialino ECCELLENZA CULTURA 'GIAN ANTONIO CIBOTTO' VII Ed. 2024


Domenica 22 settembre 2024, LENDINARA DI POLESINE (RO ), storico Teatro ottocentesco 'Ballarin', Celebrazione della VII Ed. del Premio 'Gian Antonio Cibotto', fondato e presieduto da ANGIOLETTA MASIERO, donna impegnatissima culturalmente e nel sociale, scrittrice e poetessa pluripremiata, tra l'altro Presidente UILDM (Unione Italiana Lotta contro la Distrofia Muscolare - Sede Nazionale Roma) per la Sede Provinciale di Rovigo da ventisei anni, Referente Theleton per le Malattie Genetiche Rare, giornalista premiata nel 2014 con Medaglia d'Argento per i Trentacinque anni di giornalismo di spessore dall'Ordine dei Giornalisti del Veneto, e molto molto altro.
Al 'Romanzo a Racconti' di Rita Mascialino 'Il dovere e la giustizia' (Cleup Editrice Università di Padova, 2018) è stato assegnato il prestigiosissimo Premio 'ECCELLENZA CULTURA', Premio che mi viene particolarmente caro anche perché mi viene dal VENETO, regione in cui, a Padova, ho vissuto quattro anni della mia infanzia e che ricordo con tanta amorevole nostalgia per il bellissimo e dolce territorio in sintonia con la accogliente cordialità della popolazione. Premio che mi onora e di cui ringrazio sentitamente Angioletta Masiero assieme a tutta la Giuria e allo staff del Premio composto da illustri personaggi della cultura in ambito nazionale e del Polesine, e che dedico alla memoria della sofferta vita della protagonista Silvana Marini, non più con noi dal febbraio 2019, grandissima donna friulana, di Udine, di rara intelligenza, capace da sola di tenere in piedi cinque cantoni e anche di più nel duro ambito del vecchio Friuli, di cui il romanzo dà uno scorcio psicologico assieme alla descrizione delle arcigne montagne Nord Orientali e dei loro misteriosi specchi lacustri nel loro aspetto arcaico, non turistico.

A Lendinara la Mascialino è stata gentilmente accompagnata in macchina dall'amica carissima Anna Centeleghe, che vive a Udine, ma è di famiglia veneta di Feltre BL.

Dalla Motivazione redatta dalla Presidente Angioletta Masiero relativa alla parte dedicata in particolare a Silvana Marini:
"(...) 'Il dovere e la giustizia' è esemplare per stile e contenuti. La protagonista del romanzo a racconti non è un personaggio di fantasia, ma una persona reale, una vicina di casa dell'autrice. Silvana Marini di Udine è una donna giusta, onesta, una donna che rappresenta il Friuli segreto. Nonostante i seri problemi di salute Silvana non si è mai tirata indietro, ha aiutato la sua famiglia in tutti i modi. Questa donna generosa, nell'Intervista che chiude il libro, ha dichiarato: 'Fino all'ultimo si deve vivere dando il meglio nel proprio possibile'. Un'opera di alti valori e significati (...)"
A Silvana Marini, in totale oggettività in sua memoria!
Rita Mascialino



Immagine: a sinistra nella fotografia la Fondatrice e Presidente del Premio 'Gian Antonio Cibotto', a destra l'Assessora Silvia Saggioro con la scultura Premio, al centro Rita Mascialino visibilmente e profondamente commossa. (https://www.rovigo.news/undici-polesani-premiati-al-settimo-premio-
cibotto/)

venerdì 6 settembre 2024

 

Rita Mascialino, 

Considerazioni sulla sessualità: Kubrick, Dante, Leonardo da Vinci e l’attualità europea 

Potrà apparire a prima vista non consono o quantomeno bizzarro un possibile parallelo tra Kubrick (1928-1999) e Dante (1265-1321) in relazione all’attualità dell’Unione Europea relativamente alla gestione della sessualità: il regista del capolavoro Eyes Wide Shut è uomo della contemporaneità, il poeta della super divina Commedia è uomo del Medioevo. Le epoche sono reciprocamente molto distanti e c’è tutto un progresso scientifico, culturale e politico di mezzo fino all’epoca attuale. Entrambi gli artisti però, nel riconoscimento del limite nella gestione del sesso, sono concordi. Quali uomini universali che superano tutti i tempi e i luoghi, essi non considerano positivamente il sesso sfrenato, estremo, e credo abbiano ragione: la sfrenatezza istintuale nel sesso, da qualsiasi punto di vista la si consideri, non potrà mai essere un valore, in nessun tempo, in nessuna società, ossia non potrà mai essere motore di progresso qualsiasi, ma solo di eventuale decadenza.

Immagine: 24orenews.it/

Diamo qualche dettaglio a possibile giustificazione del giudizio testé espresso, come è sempre necessario quando si esprimono giudizi, opinioni.

Nel film Eyes Wide Shut, il grande regista Stanley Kubrick, tra il molto altro – si tratta di un messaggio filmico non superficiale, bensì articolatissimo e profondo – mette in relazione il sesso sfrenato e scollegato dalla sfera del sentimento con una possibile maggiore disponibilità alla violenza ideologica e pratica fino a condurre all’omicidio senza che si abbia nessuno scrupolo. Certo, si uccide anche senza la sfrenatezza nel sesso – Kubrick nel film non fa soverchia differenza neanche tra le fantasie estreme e le applicazioni concrete delle stesse –, ma non è questa una riflessione su altro che tolga il senso del limite, qui l’argomento è la considerazione della sessualità, divenuta così importante attualmente anche stando alle Raccomandazioni nonché Regolamenti e Direttive, Leggi emanate dall’Unione Europea. Tuttavia è altrettanto certo che sia una caratteristica primaria della sessualità, data la sua centralità niente meno che per la perpetuazione della specie, la capacità di suscitare sensazioni di potenza soprattutto o anche solo nei maschi a fronte della loro specifica natura, producendo utili stimolazioni a nobili gesta. Tali stimolazioni al contrario, in presenza di una sessualità fuori controllo, possono agevolare nell’individuo il sorgere di consce e inconsce illusioni, anche estreme, di potenza – appunto illusioni – che per così dire non stanno chiuse nei circuiti deputati alla sessualità, ma escono e danno la loro colorazione sfrenata ad altri comportamenti, precipuamente a comportamenti di violenza esaltandoli. In altri termini: l’assenza di limite, l’assenza di freni, la penosa e patetica credenza di poter fare qualsiasi cosa dovuta all’illusione che dà la potenza sessuale, ovviamente in negativo – per il positivo ci vuole ben altro che l’illusione di potenza generata dall’istintualità sfrenata – possono contribuire a portare in rovina gli individui e alla lunga con essi la società in cui operano. Allora si deve limitare o magari conculcare la libertà sessuale? Assolutamente no, essa va caso mai maggiormente rispettata e comunque non avversata, ma questo è altro tema per ulteriori riflessioni. Solo che in una democrazia che voglia progredire verso l’alto, non verso il basso come è andata viepiù cadendo dai suoi inizi nel dopoguerra europeo, non ci può e non ci deve più essere posto per la sfrenatezza istintuale, bensì si deve far posto, ampio posto ai doveri, veri doveri, quelli che impongono l’esercizio della disciplina, per tutti, maschi e femmine, doveri che le illusioni di potenza fuori range possono contrastare. Sono idee vecchie? No, basta vedere in che stato è la società attualmente, in generale. Sono idee da considerare, nessuno obbliga alla condivisione. Non ha detto il nostro grande italiano Leonardo da Vinci che ‘Impedimento non mi piega. Ogni impedimento è distrutto dal rigore. Destinato rigore. Ostinato rigore. Non si volta chi è a stella fisso’? Non si deve per questo diventare come lui, magari si potesse con un po’ di disciplina, ma condivido in pieno che serva tuttavia il rigore, l’unico che dà vera sensazione di potenza, non illusione di potenza, l’unico che dà la possibilità di sperimentare il piacere di essere davvero potenti e non poco. Anche il sesso pertanto, pur giustamente libero nelle scelte, va tenuto sotto controllo, senza che prenda il sopravvento sulla personalità, nella mente degli individui stimolandoli ad azioni non nobili.

Venendo ora al nostro Dante, all’italiano Dante, nel V Canto dell’Inferno il sommo poeta cita Semiramide – lasciamo perdere la storicità o la leggendarietà della stessa, qui ci interessa solo l’opinione dantesca in merito alla sessualità sfrenata – Che a vizio di lussuria fu sì rotta,/che libito fé licito in sua legge. La sua sfrenatezza nella sessualità le fece cambiare le leggi nel suo Paese. Era stato permesso quindi  legalmente a tutto il popolo di contravvenire a ogni limite nella gestione della sessualità, così che non fosse più una vergogna solo della Regina.

Prendiamo per concludere l’esempio di un Paese avanzatissimo, la Germania, libero, democratico e faro della libertà, un Paese dove è legale, tra l’altro e se non ho capito male (La Repubblica, dicembre 2020), fare sesso nudi a Berlino e altrove, ovunque capiti nei luoghi pubblici – chiedo scusa, ma mi sovviene l’involontaria associazione alla legalità introdotta dalla dantesca Semiramide. Questo non sorprende nessuno in Germania e non so se anche già altrove non sorprenda nessuno e sia bene accolta tale legalità. Giustamente, perché ognuno a casa propria fa quello che vuole, ovviamente nella legalità e in Germania la legalità c’è. Ritengo comunque che il sesso libero nei luoghi pubblici, per fare appunto solo un esempio conclusivo, appartenga alle forme dell’istintualità sfrenata, quella che quando prende il sopravvento porta danno e nessun vantaggio. È proprio utile e così indispensabile a una democrazia che voglia e debba andare verso l’alto fare sesso nudi nei luoghi pubblici? Ritengo senz’altro secondo la mia opinione di cittadina italiana ed europea, che sia utile, sempre che si voglia fare dell’uomo una bestia completa, più esattamente: sempre che si voglia per qualche motivo tornare nel più semplice dei modi e di gran carriera allo stato bestiale di un’umanità appartenente all’Ordine dei Primati, la libertà sessuale intesa come mancanza di limite, l’istintualità sfrenata dimentica del sentimento lo possono ottenere molto velocemente in qualità di modello per i giovani e anche per i vecchi – in discesa si va forte anche se si rischia di rompersi l’osso del collo, la salita è faticosa. E se avesse ragione il detto di Bartali, il campione ciclistico secondo cui l’è tutto da rifare? E se qualcuno riflettesse più profondamente e con cognizione di causa sul messaggio di Kubrick e di Dante a proposito del controllo della sessualità pur libera ovviamente, per non parlare di Leonardo da Vinci e del suo magnifico, straordinario e sovrano elogio del rigore? Non si rifarebbe tutto come avrebbe voluto Bartali, ma si comincerebbe almeno con qualcosa, per altro con qualcosa di molto più importante per la personalità degli umani di quanto si possa credere, come è stato accennato più sopra. Forse non è ancora troppo tardi, detto senza nessuna illusione di potenza. E se ad esempio la Germania volesse continuare, come è suo totale e inviolabile diritto sovrano a casa sua, con le leggi su accennate e tante altre? Benissimo, basta che non le imponga ad altri che magari non le vogliono a casa loro.

                                                                              Rita Mascialino (detta Maddalena)




 



mercoledì 7 agosto 2024

 Rita Mascialino, Identità grammaticale di genere e identità dell'essere umano

Partendo dal punto di vista democratico secondo il quale ognuno ha diritto di scegliersi un sesso diverso da quello somatico sul piano psicologico, anche diritto di mutare il sesso somatico stesso in base a terapie e operazioni chirurgiche, partendo da ciò viene difficile accettare la confusione che ne è sorta a proposito dei generi grammaticali nell’Unione Europea. Come conseguenza del cambio di sesso sul piano psicologico, sembra che ci siano molti problemi sull’uso del genere maschile o femminile per l’identificazione anagrafica, tanto più che tale genere può essere alternato in base ai desideri del momento per così dire, anche in seno ad una stessa giornata come nel genere oggi cosiddetto fluido. Quale soluzione del problema grammaticale che è derivato da tutto ciò, pare che il maschile e il femminile non potranno più esistere nei documenti, bensì potrebbero essere sostituiti da un asterisco in luogo delle desinenze discriminanti o per tutti gli esseri umani in differenziatamente, a parte ulteriori modifiche che si possono prevedere vista l’incertezza delle ipotesi sul tema dei generi ad esempio secondo le indicazioni proposte o emanate di volta in volta dai pensatori dell’UE, i quali non sono ancora riusciti a uscire dall’impasse, trovando una soluzione logica sul piano orale e scritto.

Studio Fotografico Valentina Venier - Udine, Via grazzano 38

Mi occuperei in questa riflessione principalmente della presenza eventuale di un asterisco che nasconda il genere dell’individuo, del cittadino in democrazia per rispetto della Privacy, come è stato proposto dall’Unione Europea. Tutto ciò con difficoltà e complicazioni – non complessità – relative agli appellativi illocutivi nell’uso comune per le persone quando ci si vuole appunto rivolgere ad esse – tipo signore o signora, per far un solo esempio –, questo perché colui o colei o coloro dotato o dotata o dotati e dotate di un sesso psicologico diverso da quanto usualmente creduto in base al sesso somatico, potrebbe o potrebbero sentirsi, per altro giustamente, offeso offesa offesi offese o discriminato discriminata discriminati discriminate ingiustamente. Si vedono immediatamente gli appesantimenti e le prolissità burocratiche del caso. Gli asterischi eviterebbero la prolissità, ma non l’accumulo costante degli asterischi stessi e porterebbero nel tempo a cambiamenti linguistici di perdita di differenziazioni come già ad esempio  l’inglese ne mostra di suo in una semplificazione che non appartiene alla personalità latino-italiana e che quindi, nella fattispecie, produrrebbe, forse, qualche stravolgimento identitario non proprio positivo su cui  si potrebbe riflettere in altra sede – i popoli non sono tutti uguali e non lo devono obbligatoriamente diventare.

C’è da chiedersi per primo a proposito degli appellativi e dei documenti, delle lettere e dei certificati e di tutto il resto di analogo: perché si deve nascondere il proprio sesso somatico o genetico? La risposta appare semplice quanto circolare: perché si vuole avere un sesso diverso e il permanere di quello somatico nella grammatica del linguaggio sarebbe sentito come una non accettazione della propria scelta diversa, ossia ci si sentirebbe come persone diverse, prive della cittadinanza per così dire. Ma per fare un esempio celebre: Giulio Cesare era soprannominato il marito di tutte le mogli  e la moglie di tutti i mariti e questo non lo disturbava minimamente, almeno all’apparenza, era un maschio forte, tanto forte e non gliene poteva importare di meno delle prese in giro – oggi assolutamente e giustissimamente vietate – per le sue scelte etero e omo di cui non faceva nessun mistero secondo l’occasione. Per altro le nozze tra gay pare fossero all’epoca consentite per quanto si verificassero molto raramente e solo tra maschi. Certo, Giulio Cesare era, detto con una diafora, Giulio Cesare, un grande uomo, scrittore e audace guerriero, nonché politico a Roma, ma, in ogni caso, credo si debba produrre qualche soluzione migliore di quella relativa al nascondimento dei generi, agli asterischi o altro di simile. 

Ma allora, che cosa proporrei io stessa? Molto difficile a idearsi, ci pensano già, come accennato, autorevoli pensatori e pensatrici al Consiglio Europeo senza trovare soluzioni soddisfacenti che non rechino danno a nessuno e che non aumentino lo stato confusionale. Se tuttavia dovessi esprimermi, io lascerei, grammaticalmente in tutti i documenti, il genere rappresentato somaticamente – o geneticamente – con l’aggiunta ‘detta’ e nome maschile per una donna e ‘detto’ con nome femminile per un maschio, ponendo una fine che valuto del tutto decorosa per chiunque alla quaestio riguardante i generi grammaticali che pare presentarsi come infinita, non risolvibile, soprattutto non risolvibile dando la validità assoluta a preferenze psicologiche che possono variare dando luogo a una giostra assurda delle identità. Ribadendo: direi di lasciar valere i generi somatici e genetici con l’aggiunta dei nuovi nomi nei documenti anagrafici e di qualsiasi tipo, questo per non creare disfunzioni burocratiche e a nessun livello per nessuno e in perfetta trasparenza e diritto di ciascuno.

Ritengo davvero poco accettabile la rivoluzione linguistica grammaticale a proposito dei generi, io non vorrei mai avere un asterisco in luogo della mia identità di genere che è quella di una donna, mi sentirei defraudata di parte essenziale dell’identità, del riconoscimento della mia identità somatica a prescindere da quella psicologica visto che la potrei avere senza nasconderla, ossia se ne avessi un’altra diversa sul piano psicologico io personalmente rinuncerei anche al ‘detta’ con nome maschile perché non me ne potrebbe importare di meno, ma appunto questo fa parte della mia personalità che non deve coinvolgere la personalità di tutti, ci mancherebbe. In ogni caso non mi andrebbe bene di nascondermi dietro un asterisco – ciò che non accetterei mai a prescindere da qualsiasi legge in merito –, troppo forte è in me il senso della più compatta identità personale pur comprensiva delle possibili e più varie sfumature identitarie, sono Rita Mascialino e come tale voglio essere riconosciuta a prescindere da eventuali possibili varietà psicologiche che posso avere come è nella norma delle cose in fatto di identità di genere. In ogni caso accetterei al massimo, se avessi una doppia identità di tipo sessuale e di personalità corrispondente che non ho, il nome di genere diverso come ‘detta’ con nome maschile scelto una volta per tutte, con buona pace della morfologia.

Non mi occupo qui del problema della scelta del sesso psicologico alle elementari o alle medie, quando la fanciullezza e la preadolescenza possono giocare scherzi notevoli al proposito, appunto non me ne occupo in questa riflessione in cui mi sono occupata della semantica grammaticale di genere estesa ai documenti, agli appellativi illocutivi e ai nomi aggiunti con il ‘detto’ e ‘detta’, semantica degli asterischi e dei nascondimenti da me assolutamente rifiutata su base del pensiero oggettivamente democratico e logico. In un’epoca di trasparenza, almeno dichiarata e richiesta in ogni settore, proprio il nascondimento dell’identità sessuale, somatica o genetica e di conseguenza anagrafica, ritengo sia, anzi debba essere inaccettabile a tutti i livelli.

Per altro, nella fattispecie, c’è tuttavia un problema non da poco da tenere presente: la situazione generale di non comprensione della semantica relativa al concetto e termine diritto. Nessuno toglie alle persone il sacrosanto diritto di sentirsi uomini o donne a prescindere dal loro sesso somatico o genetico e a essere riconosciuti come preferiscano, ma questo diritto non può causare possibili disfunzioni pratiche e concettuali, danni dovuti alla confusione possibile nella società, danni nella cultura umana che potrebbe così venire sottoposta, sottilmente e subliminalmente, a un trattamento di globalizzazione di genere a livello micro- e macroscopico degli individui e dei popoli deprivati in parte, nel tempo medio, del senso unitario dato da una forte e unica identità – non tutti sono Giulio Cesare –, la quale a me pare un buon mezzo per rafforzare e non per indebolire la salute mentale di ciascuno. Inoltre non riesco a evitare di ritenere che dando questo tipo di cosiddetta libertà sessuale agli individui, si dia loro un giocattolo adatto a soddisfarli e a fare perdere tempo, prezioso tempo, ciò portando via troppo spazio a interessi, mi si conceda, ben più validi che asterischi o fluidità di genere. L’identità sessuale è una composizione di sfumature in varie proporzioni nella quale una prevale sulle altre – lasciando perdere qui ogni approfondimento della questione del prevalere nell’ambito –, non è mai né può essere mai del tutto unitaria psicologicamente e questo è un dato di fatto, consciamente o inconsciamente presente, in tutti, ma ciò non può rischiare di diventare il diversivo per eccellenza, un po’come il cibo che, se assunto a volontà, dà una soddisfazione che copre magari tutte le altre possibili o molte altre possibili soddisfazioni, più interessanti e utili al progresso del singolo e dell’umanità. Per chiarire: non solo il cibo, ma anche il sesso divenuto gioco dominante – lasciando qui stare tutti gli altri giochi possibili – può indebolire il desiderio di foscoliane ‘egregie cose’ attraverso una falsa soddisfazione onnivalente e a buon mercato, molto a buon mercato, così che terribilmente il gioco con il sesso e con le illusioni a questo collegate sprechi o smorzi le forze migliori di ciascuno. Si tratta di priorità e credo che le foscoliane ‘egregie cose’, come tensione ad esse ed eventuali realizzazioni, debbano avere la priorità per il bene di tutti, per un senso più alto di democrazia e di progresso nel contesto di diritti e di doveri.

Per concludere: meglio dell’inaccettabile asterisco che nasconde, ben vengano ‘detto’ e ‘detta’ nei documenti, come più sopra, così che sia tutto trasparente e onorevole, alla luce del sole e non oscurato assurdamente aumentando la confusione e l’equivoco identitario.

                              RITA MASCIALINO (detta Maddalena)

“Il polisemico ritorno a casa di Franz Kafka.”   di Rita Mascialino (Studio posto a Introduzione della 2025 Rassegna 'Premio Franz Kaf...