lunedì 24 novembre 2025

 

RITA MASCIALINO: LA SCOPERTA DELLA METAMORFOSI KAFKIANA IN CAVALLO NERO

Prima di citare la mia scoperta: un grazie più che sentito all’architetto e artista Vincenzo Piazza che per il Primo Centenario della Morte di Franz Kafka (Video YouTube 2024) ha voluto omaggiare la scoperta della metamorfosi in cavallo nero di Rita Mascialino (1966 e segg.) con la sua più che splendida Incisione dal titolo ‘Il cavallo nero’, divenuta il simbolo principe del Centenario kafkiano, e con una sua raffinatissima plaquette (Editrice dell’Angelo) delle nove sue pregiate Illustrazioni e delle mie corrispondenti analisi semantiche comparative; un grazie anche più che sentito all’architetto e artista Fabrizio Nicoletti per il suo omaggio intitolato alla scoperta di Rita Mascialino (1996 e segg.)   ‘Il cavallo nero’, Disegno Artistico divenuto dal 2024 simbolo del ‘Premio Franz Kafka Italia ®’. Grazie ad entrambi.


Immagine: Dépliant Cleup.

Ora segue questo breve studio di chiarimento di alcuni punti rilevanti che mi paiono indispensabili come aggiunta agli altri numerosi studi già esistenti sul tema.  Non esiste solo la metamorfosi kafkiana in scarafaggio nero, nota in tutto il mondo in quanto identificabile sul piano esplicito del linguaggio, quindi facilmente in quanto dichiarata da Kafka, bensì esiste anche una metamorfosi in cavallo nero sul piano implicito del linguaggio, molto criptica nell’espressione linguistica e pertanto difficile da identificare, nonché nota solo grazie alla mia scoperta. Le due metamorfosi si sono susseguite nel medesimo anno 1912, dapprima quella in cavallo nero, nel gennaio, vedi La passeggiata improvvisa, successivamente ai primi di dicembre quella in scarafaggio, vedi La metamorfosi.  La passeggiata improvvisa, ossia la metamorfosi in creativo cavallo nero, raggiunta e dichiarata, per modo di dire, se solo avesse potuto abbandonare la famiglia dove era ostacolato nella sua attività di scrittore e umiliato,  è un’espressione dell’autostima e autoconsapevolezza del proprio valore di narratore attraverso la proiezione di sé in un poderoso cavallo nero sorgente dal profondo nella notte nera fuori dalla casa paterna, ossia nell’ambito della più potente e libera creatività simboleggiata appunto dal colore nero. Proiezione che ha luogo nella mente di Kafka, non causata da terzi, dall’esterno quindi, come il termine esplicito Veränderung, metamorfosi, che compare una sola volta nel racconto e che in tedesco e che indica una trasformazione attuata dal soggetto stesso.   La seconda dovuta a terzi, in seno alla famiglia precisamente.  La metamorfosi in scarafaggio dovuta alla famiglia, al padre in particolare ma non solo, esplicita nel termine utilizzato da Kafka Verwandlung, che appunto significa in tedesco una metamorfosi attuata da altri, dall’esterno del soggetto, diversa dalla precedente, come, per fare un esempio, quella attuata tra l’altro dalla bacchetta magica del mago o della strega. Certo, la metamorfosi esplicita è chiara e tonda, immediatamente comprensibile, quella in cavallo nero è oltremodo criptica, quasi Kafka dovesse e volesse tenerla solo per sé, per non farla distruggere anch’essa dalle umiliazioni subite dai familiari. Questa metamorfosi, implicita al linguaggio utilizzato e difficile senz’altro da capire, è stata riconosciuta sul piano squisitamente esegetico – potremmo dire di metodologica umanistica memoria – da Rita Mascialino (1996 e segg.) a fronte di più di un secolo di interpretazioni che non l’hanno colta e che tutte hanno interpretato il sintagma arduo alla comprensione hinten die Schenkel schlagend come se Kafka uscisse dopo cena battendosi il sederino come per farla in barba alla famiglia e anzi diventando un cavallo nero addirittura a furia di batterselo. Ciò non è solo errato come dimostra inequivocabilmente la traduzione e interpretazione della forma grammaticale e lessicale tedesca, ma anche direi offensivo nei confronti di Kafka, la cui estrema eleganza mentale e fisica mai avrebbe potuto compiere un simile gesto volgare e stolto. Non spiegherò qui per l’ennesima volta e in un breve studio tutta la dimostrazione dettagliata di questa straordinaria metamorfosi che rimando tra l’altro al sito www.franzkafkaitalia.it e al saggio Il cavallo nero o l’altra metamorfosi di Franz Kafka (La passeggiata improvvisa).  Dopo la breve premessa, aggiungo al proposito che mi è capitato tempo fa di leggere in internet che la mia scoperta della straordinaria metamorfosi di Kafka in cavallo nero, implicita al linguaggio utilizzato da Kafka, viene intesa da qualcuno come ‘presunta’, quindi non sicura, naturalmente senza aver verificato le interpretazioni 'sicure, non presunte' per le quali Kafka si batte il sederino per farla in barba ai genitori mentre esce dopo cena e poi continua per diventare con questa azione, altamente non presunta, ma  certa, eretto nelle sua vera statura. Io non polemizzo mai, lascio stare quando qualcuno vuole polemizzare, polemiche che considero retaggio campestre con tutto il rispetto dovuto ai campi. Uno disse anche che non c’erano ‘prove’ di quanto affermassi (la mia dimostrazione dettagliatissima non contava come prova!!) e che ci sarebbe voluta una persona ‘autorevole’ che avesse legittimato la mia scoperta. Davvero, prima di finire i giochi data la mia età già avanzata mi sento non di polemizzare, cosa che è accaduta, che io ricordi, solo una volta nella mia già relativamente lunga esistenza, quando ero molto giovane, ma almeno di esprimere la mia opinione, senza naturalmente offendere nessuno, la cafoneria è sempre stata estranea alla mia mente. Un’opinione che mi sta molto a cuore come più sopra: relativa alla mia scoperta di una metamorfosi di Kafka in cavallo nero nel racconto ‘La passeggiata improvvisa’, rimasta inattinta dalla critica per più di un secolo di pubblicazioni non più distruttibili in tutto il mondo, a prova indelebile ormai dell’interpretazione errata. Ora la scoperta, se fosse stata appannaggio di un accademico, nessuno avrebbe osato definirla ‘presunta’, sarebbe stata oro colato, ovviamente, non presunta, ma certa. Essendo tale metamorfosi identificata e scoperta da una donna, italiana, la cosa deve essere rigorosamente ‘presunta’, non certa, ci mancherebbe che una donna fosse in grado di una tale scoperta che nessun uomo ha mai fatto fino al momento – io l’ho scoperta quando avevo diciannove anni, anche se l’ho pubblicata nel 1996 per la prima volta in uno studio su una Rivista friulana. Un giornale importante disse che l’argomento era troppo specifico per la pagina culturale di un giornale. Io lasciai perdere, appunto non polemizzo mai, per abitudine mentale dalle origini con la sola eccezione di un caso, che io ricordi. Mi sento però, ripeto, di difendere, finché posso ancora, almeno la mia – credo di poter dire ‘grande’ – scoperta con le forze, seppure non più giovanili, di chi ha ragione e non vuole cedere ai più forti. Primo: chiedo scusa per quella c he può apparire un’audacia, ma la persona ‘autorevole’ – spero che non si senta offeso nessuno per la mia affermazione che non usurpa nessun titolo – è Rita Mascialino che ha compreso il linguaggio criptico di Kafka al proposito, tanto criptico che nessun altro lo ha compreso in più di un secolo di interpretazioni del racconto in questione. Ma io, Rita Mascialino, l’ho potuta scoprire perché non ho mai condiviso, per carattere e forma mentis, la libera soggettiva interpretazione e ho sempre preferito rendere ‘a Cesare quanto è di Cesare e a Dio quanto è di Dio’ (Matteo, 22,21 in traduzione Paoline 1963: 1068), ossia dare ai testi e ai loro autori la semantica che loro compete. Certo, errori sono sempre possibili, ma non nel Metodo degli specialisti, in questo ambito non sono accettabili, comunque, come in un mio Aforisma: “L’Italia è un Paese dove le idee sbagliate durano molto a lungo”, nel caso in questione hanno superato  molti molti secoli da vittoriose fino alla scoperta della Mascialino. Non dispiacerà magari che sia stata una donna e non un uomo a fare la scoperta? Ne ho fatte molte altre di scoperte e anzi, ancora una altrettanto straordinaria nel racconto stesso, di cui ugualmente non posso qui narrare in dettaglio. Al proposito di un metodo che superi la libera interpretazione soggettiva e più o meno campata in aria in generale, ho ideato il Metodo Spaziale e fondato il ‘Secondo Umanesimo Italiano ®’, riprendendo il fulcro della battaglia dei grandi Umanisti Italiani, la lotta anche molto vivace dell’interpretazione interlinguistica o traduzione dei testi classici, ossia la ricerca del loro significato oggettivo, non contraffatto per incompetenza o ad usum Delphini come nella loro indignazione per le contraffazioni e gli errori, come nel loro aggiornamento e approfondimento del metodo filologico. La Mascialino ha, ovviamente nella diversa epoca, aggiornato il metodo esegetico secondo i conseguimenti in ambito neurofisiologico, radicando il suo Metodo Spaziale o Metodo Mascialino in una solida base, togliendo l’interpretazione dei testi letterari dal loro essere campati in aria e in balìa della soggettività degli interpreti – degli studiosi, non dei lettori in generale che resta legittima in quanto primo approccio non specialistico all’opera letteraria. In aggiunta all’aggiornamento testé citato: sottoponendo le interpretazioni ottenute con il Metodo Spaziale sempre alla verifica e falsificazione della logica, dimostrando ogni dettaglio esegetico, ogni scoperta, in primis quella kafkiana, fin o a che tutto il quadro esegetico non mostrava e non mostra contraddizioni. Ho voluto qui, appunto finché mi è ancora possibile, far sentire la mia voce a difesa del mio operato e di Kafka – sì, di Kafka, evitando di farlo passare per una persona volgare e stolta quale non era e non è mai stato. Mi sia concesso dunque, possibilmente senza che nessuno si infastidisca, di difendere la mia scoperta, il mio Metodo grazie al quale ho fatto anche tante altre scoperte, appunto finché mi è ancora possibile far sentire la mia voce viva.

Rita Mascialino


Immagine: Scorcio di Studio di Rita Mascialino. Fotografia propria

giovedì 20 novembre 2025

                 Spazialità strutturali parallele: l’Impero di Carlo Magno

Re dei Franchi, e l’Unione Europea dei popoli

di Rita Mascialino


Le tracce del passato dell’umanità, come sia l’unità della specie e la sua evoluzione, sia la sfaccettatura delle culture dimostrano, non sono del tutto cancellabili ed è interessante vedere come esse si ripresentino in genere sotto inconsce vestigia. In altri termini: come esse siano, per qualche tratto importante, parzialmente o anche in gran parte individuabili e attive secondo la preistoria e la storia dei popoli, memorizzate nei variegati sviluppi linguistici, nella particolarità delle ideazioni, in ciò che forma l’identità dei popoli. L’accennata identità dei popoli non ha a che vedere con il concetto vichiano dei corsi e dei ricorsi storici, quasi questi fossero dovuti a misteriose e fatali entità a sé stanti: è l’appartenenza alla medesima specie da un lato come sintesi di simili comportamenti e l’identità culturale di ciascun popolo dall’altro che portano a riproporre, inevitabilmente secondo le circostanze, caratteristiche di personalità in particolare riconoscibili come proprie di ciascun popolo. Anche negli individui sono riconoscibili comportamenti che non possono essere cancellati e che si ripresentano secondo le opportunità fornite dall’esperienza, senza con ciò far parte di entità quali che siano – vedi al proposito anche i Quaderni relativi all’ Identità dei popoli: Analisi semantiche e focalizzati principalmente, anche se appunto non solo, sulla semantica delle lingue.

Nell’ambito testé accennato è interessante vedere come la spazialità più generale e anche particolare dell’Unione Europea porti vestigia antiche di antichi imperi, in primis dell’Impero Feudale di Carlo Magno, Re della stirpe germanica dei Franchi. Osservando la struttura profonda della democraticissima Unione Europea dei popoli, si possono rilevare impalcature proprie dell’Impero Medioevale tutt’altro che democratico di Carlo Magno sia come impero di popoli diversi in sé, sia come realizzazione di tale unione dei popoli in un impero, in un Reich, detto in tedesco – per chiarire: regno si dice Königreich, impero Reich. Una opportuna osservazione: si  deve ammettere a parziale discolpa di Carlo Magno che non è facile essere democratici in un Reich di popoli con lingue diverse e usi e costumi mentali diversi, dove le dissidenze sono per forza anche molto accese – per via appunto della diversa identità culturale dei popoli sottomessi o raggruppati – e più efficacemente risolvibili con l’uso della forza come appunto fece Carlo Magno, che da regnante e imperatore non impiegò mai la diplomazia, ma solo la violenza. Segue una solo accennata sintesi informativa su Carlo Magno visto che l’Unione Europea ha diverse strutture associabili al suo Impero Feudale e ha nel Karlspreis, Premio Carlo Magno, un po’ l’emblema dell’Unione Europea.

Carlo Magno (747/748 luogo di nascita incerto) morì nell’814 ad Aachen, Aquisgrana, entrambi i nomi riferiti nella derivazione, seppure diversamente, alle acque di cui era ed è ricca la città, situata nella regione tedesca denominata dopo la Seconda Guerra Mondiale Nordrhein-Westfalen, ossia Renania Settentrionale-Vestfalia, confinante tra l’altro con il Belgio proprio con Aquisgrana stante nei pressi del confine. Carlo Magno fu Re dei Franchi, una delle stirpi germaniche più importanti includente vari altri popoli germanici conquistati e fu incoronato da Papa Leone III a San Pietro in Roma (A.D. 800) quale primo imperatore del cosiddetto Sacro Romano Impero o Heiliges Römisches Reich e protettore della Chiesa di Roma che gli aveva conferito il diritto divino di governare che nessun capo germanico aveva mai conosciuto nella sua consuetudine. Carlo Magno, come accennato diventato dal 1950 a partire dall’istituzione del Premio Carlo Magno il simbolo dell’Unione Europea*, fu uno straordinario condottiero sempre vincente nelle spedizioni belliche, un eccellente guerriero germanico, anche feroce – basti ricordare la strage dei Sassoni (782) che non vollero convertirsi al cristianesimo. Tali Sassoni preferirono essere decapitati sulla pubblica piazza piuttosto che perdere la loro identità storica e culturale, come accadde a Verden nella Bassa Sassonia o Niedersachsen, dove Carlo Magno pare desse ogni singolo ordine per ciascun prigioniero facendone massacrare così circa quattromilacinquecento in un solo giorno, occorre riconoscere: con grande teutonica capacità organizzativa.  Carlo Magno fu un classico esempio tra i tanti del tipico re guerriero, capo del popolo e capo militare dell’esercito. Fu colui che strutturò più ampiamente e potentemente il sistema feudale, basato sugli arcaici concetti germanici di ‘Ehre’ e ‘Treue’ verso il re, verso il capo di tutto il popolo, dei popoli: ‘onore’ e ‘fedeltà’ insuperabili e immutabili, detto con una analogia per chiarire, nella loro realizzazione per così dire assoluta e dittatoriale, concetti molto profondamente connotativi appunto soprattutto delle culture germaniche, e fu colui che guidò alla vittoria i suoi eserciti in campagne militari ovunque vi fosse una dissidenza al suo governo, poi alla sua alleanza con la Chiesa di Roma**.  

Premettiamo adesso un brevissimo cenno di memoria concernente lo scheletro dell’organizzazione sociopolitica del Medioevo in Europa al tempo dei Regni delle stirpi carolinge. Al vertice sociopolitico stavano re, nobili e signori, ed esistevano corrispondentemente popoli in scala gerarchica. I vassalli erano, dal significato derivato dal termine celtico gwas, servo, latinizzato in vassus e poi vassallus, anche vasallus, servitori nobili o ecclesiastici, che in cambio di benefici, terre e beni, giuravano fedeltà, subordinazione e aiuto militare a nobili o prelati più potenti di loro, re o imperatori o alte cariche religiose – venivano concessi anche privilegi come speciali diritti e favori senza espliciti obblighi militari e subordinazione. Nella gerarchia seguivano poi i valvassori, o servi di servi, quindi meno potenti dei vassalli, nonché i valvassini, di ancora minore valore, o servi di servi di servi, comunque tutti legati da vincoli basati sull’onore e sulla fedeltà. Restavano fuori da tali gerarchie di potere i contadini e gli artigiani, infine veniva il popolo più diseredato ai limiti della sopravvivenza, il servo della gleba, ossia della zolla, della terra. Si trattava di un sistema sociopolitico che si reggeva su alleanze con i ‘servi’ di cui testé finalizzate a creare maggiore stabilità tra i vari regni, ducati, contee, marchesati, baronie e simili che, riuniti grazie appunto ai vassallaggi sotto più potenti sovrani, formavano un’unione di popoli diversi sotto lo scettro sovrano dell’imperatore, nella fattispecie il franco Carlo Magno, in una rete di alleanze e sudditanze di diverso rango, ciò onde poter resistere per il possibile al meglio di fronte ad attacchi nemici. Tale sistema proprio del potere assoluto imperiale, a base di preferenze e clientele, fu abolito ufficialmente nel Settecento dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione Francese resa possibile dall’impegno infaticabile di Maximilien de Robespierre (Arras 1758-Parigi Place de la Concorde 1794).

Veniamo quindi adesso all’esempio analogico con la democratica Unione Europea dei popoli ovviamente tutt’altro che feudale, in cui si possono notare tuttavia vestigia medioevali nella strutturazione del potere, delle gerarchie, soprattutto della conduzione germanica o tedesca. Riferendoci direttamente all’Unione Europea, il vertice, senza il quale nessun gruppo anche di due sole persone può mai essere gruppo e funzionare come tale, è costituito da presidenti eletti a rotazione democratica, non di dinastie nobiliari. Appare comunque evidente una certa corrispondenza positiva tra uno Stato o l’altro, diciamo una preferenza, ad esempio tra Francia e Germania con la Francia vassalla privilegiata della più potente Germania, come andiamo a vedere per qualche particolare significativo.

Le tre lingue di lavoro o Arbeitssprachen dell’Unione Europea sono il francese, l’inglese e il tedesco. Togliendo l’inglese che ha una vita a sé stante come lingua della comunicazione mondiale che nessuno per ora può spodestare date le sue caratteristiche su cui qui non ci soffermiamo, restano appunto il francese e il tedesco. Opportunamente, va tenuto presente che la madre dell’Imperatore del Sacro Romano Impero, appunto Karl der Große, e moglie di Pipino il Breve – Pipino il Breve o il (più) Giovane, figlio dell’altrettanto memorabile franco Carlo Martello, era francese. Bertrada di Laon, nota come Berthe de Laon, Berta di Laon, Alta Francia, celebre anche come Berthe au grand pied, Berta dal gran piede o dai gran piedi o anche, con il regolare accrescitivo nella lingua italiana: la Piedona, apparteneva ai livelli più importanti di potere. Un Carlo Magno quindi genitorialmente diviso a metà tra la Francia, da parte di madre, e la Germania, da parte di padre, un po’ come, spazialmente, l’attuale capitale dell’Unione Europea, Bruxelles, in Belgio, confinante con Francia e Germania tra l’altro, città che è stata scelta – in evidente ricordo dei casati dell’Imperatore tedesco nel Medioevo e per senso di equità – proprio perché trait d’union tra Francia e Germania. Questo appunto così come il cuore di Carlo Magno si divideva tra la madre e il padre, territorialmente appunto tra la Francia e la Germania. Quanto all’Italia, secondo la diversa considerazione del capo della democratica Unione di popoli di diverse culture – in luogo del Sacro Romano Impero o Heiliges Römisches Reich –, malgrado la sua posizione geografica di cosiddetta signora del Mediterraneo e sede dell’antica sopra citata incoronazione, essa starebbe, più o meno di fatto e ovviamente secondo le annunciate vestigia rinvenute, solo tra i meno importanti valvassini, sudditi dei valvassori a loro volta sudditi dei vassalli a loro volta sudditi dell’Imperatore. Tutto ciò in cambio non propriamente di privilegi o benefici, di più antica origine imperiale romana, bensì di prestiti più o meno rilevanti da restituire all’Impero, pardon: all'Unione Europea, tutto questo sempre e comunque permanendo nelle citate vestigia della struttura politico-sociale medioevale carolingia rinvenibili nell’Unione Europea di conio tedesco – vedi Premio. L’Unione Europea concede prestiti, per così dire, soprattutto o di preferenza a chi obbedisca fedelmente alle opinioni dei capi o di chi conti di più, mi pare che più o meno siano sempre soprattutto i tedeschi a dare il metaforico , sul piano analogico, quali magnifici direttori di orchestre sinfoniche a più strumenti come è loro riconosciuta reale e grandissima abilità. Per aggiungere una ulteriore importante somiglianza tra struttura dell’Impero Carolingio Medioevale e struttura dell'Unione Europea: la sede del Reich o Impero, sacro e romano, ma sotto l’egida guerriera del Re dei Franchi e Imperatore Carlo Magno, veniva spostata secondo l'opportunità:

“La particolarità del Sacro Romano Impero è che non aveva una vera e propria capitale, cioè sede stabile del sovrano e del governo, ma l’imperatore, la famiglia e l’intera Corte (consiglieri e dignitari vari), nonché servi e milizie imperiali si spostavano da un capo all’altro dell’impero. Tanto che nei periodi di massimi spostamenti venne soprannominata dai posteri ‘reggia mobile’. Solo nell’ultimo periodo Carlo Magno preferì stabilirsi ad Aquisgrana, perché le acque termali della città giovavano ai suoi reumatismi e alla sua gotta (…)” (bluedragon,it/medioevo/carlo_magno.htm)  

Così, sul piano di lontane orme del passato, velate dal tempo, ma sempre identificabili come schema di base, anche la sede del Consiglio, delle varie Commissioni e Delegazioni e quant'altro non si trovano solo nella sede a Bruxelles, ma anche a Lussemburgo, Strasburgo e altrove nell’Unione, magari in una possibile forma di democratica divisione territoriale del potere, certo non secondo il detto latino, di origine incerta, divide et impera, nella confusione delle parti il potere per così dire con un ossimoro assoluto-democratico si impone al meglio.

Le spazialità medioevali del vassallaggio esistenti in tutti gli Imperi e riscontrate anche nell’Unione Europea stessa – solo come vestigia ovviamente – possono ricordare a loro volta oggettivamente gli Stati clientes della Roma latina con cui mostrano qualche analogia qui e là, magari sfocata, ma riconoscibile anch’essa. È evidente che l’Unione Europea, nella sua strutturazione generale acquisisca sempre più Stati, con lingue e identità corrispondentemente diverse come, meno diffusamente, ma comunque presenti, già nell’Impero carolingio, per restare entro il parallelo presentato, nazioni che assomigliano, solo per qualche aspetto come testé sottolineato, agli Stati clienti dell’Impero Romano con il quale i popoli germanici ebbero un contatto diretto molto intenso, con Roma prima e dopo il crollo, Stati clienti a loro volta ripresentatisi e rinverditi, pur con elaborazioni, nel vassallaggio dell’Impero Carolingio Medioevale e, in qualche misura, nell’attuale Unione Europea a conduzione  tedesca più o meno diretta – in ogni caso la Germania è, pare e in ogni caso, crisi o non crisi, lo Stato più potente dell’Unione – la rimonta del popolo tedesco nelle crisi è qualcosa di straordinario e del tutto vincente.

In base alle vestigia feudali riscontrate nel confronto con l’attuale Unione Europea, Premio Carlo Magno/Kalergi compreso e in testa nella sua ispirazione come dal Primo Premio assegnato all’inaugurazione in onore addirittura del conte Kalergi autore dell’Idealismo pratico e del concetto della Pan-Europa, l’Unione Europea dei popoli pacifisti pare avere un duplice profilo: ufficiale e più profondo, ciò senza andare qui nel dettaglio della legiferazione.

Questo solo per comparare scheletri del passato ancora individuabili nei volti del presente, ciò mostrando come difficilmente il passato anche più antico venga cancellato, non solo a livello linguistico, ma anche nell’organizzazione delle società, nella loro storia come possibile ombra o fantasma, o evoluzione che non si estingue e che nella sua continuità si presenta indelebile pur nei foscoliani travestimenti del tempo, senza che ciò rientri per niente, come anticipato più sopra nella premessa e ribadendo, nei cosiddetti corsi e ricorsi storici di qualsiasi tipo, con cui non ha niente a che fare perché dei ricorsi, come già anticipato, non esiste la possibilità di esistenza in sé, come tali.

Così per concludere, come è stato mostrato, importanti vestigia del Reich di Carlo Magno si rinvengono nell’Unione Europea, della quale l’Imperatore e Re dei Franchi, il tedesco Karl, è divenuto simbolo tanto da intitolare il Premio nelle sue modiche di e ad Aquisgrana, conferito all’inaugurazione avvenuta già nel maggio del 1950 a Richard Nikolaus conte di Coudenhove-Kalergi, autore appunto come anticipato soprattutto del libro Paneuropa (1922) e del libro che ne costituisce la base teorica Praktischer Idealismus (1925) ***  

 

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 *Particolare e rilevante al proposito è l’istituzione nel 1949, con periodicità annuale, del ‘Premio Carlo Magno della città di Aquisgrana’’, Karlspreis der Stadt Aachen, quindi omaggio nazionale della Germania a Carlo Magno, già organizzato in piena grave indigenza materiale e morale dei tedeschi nel mezzo dei processi tenuti a carico dei nazisti in Europa, negli Stati Uniti e nella Russia Sovietica subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e oltre. È un Premio che, soprattutto in base alla data della sua organizzazione e inaugurazione nei primi mesi del 1950, testimonia della volontà e capacità della Germania di programmare la sua rinascita dalle ceneri e dalla miseria morale causata dal trascorso nazismo. Il Karlspreis si dichiara all’insegna della pace e della democrazia, le quali, secondo quanto attesta la storia di Carlo Magno e si inferisce agevolmente dalla stessa, nulla hanno a che vedere con l’esistenza di Carlo Magno, che risolveva ogni dissidenza solo con guerre, anche le conversioni al cattolicesimo furono da lui ottenute con il metodo della forza. Per altro Alcuino (York 735 circa-Tours 804) aveva dato, come era d’uso all’epoca tra i potenti, un soprannome a Carlo: David, re d’Israele, che fu sempre un modello di re altrettanto guerriero per Carlo. Come è noto, Carlo Magno, grandissimo quanto brutale guerriero di stampo prettamente germanico, non riuscì a imparare a scrivere malgrado ci provasse a lungo sia personalmente, sia con un maestro eccellente come l’anglosassone Alcuino, concreto artefice della rinascita cosiddetta carolingia – che non ha niente a che vedere con un Primo Rinascimento, concetto che cade alle più semplici falsificazioni cui qui solo si accenna. Di rinascite e rinascimenti ce ne sono stati e ce ne possono essere sempre tanti ovunque, anche nell’Unione Europea ci potrebbe essere ed an zi sarebbe auspicabile una rinascita, ma mai ci possono essere collegamenti con il Rinascimento italiano, straordinario movimento intellettuale e artistico, filosofico, culturale in generale universalmente riconosciuto nel nome datogli già da Vasari (Arezzo 1511-Firenze 1574). Proseguendo, Alcuino fu tra l’altro consigliere di Carlo e profondo organizzatore della Schola Palatina, una scuola che secondo Carlo Magno doveva insegnare a tutti a leggere e scrivere e tanto altro, come commovente desiderio di questo particolare re guerriero che dovette soffrire molto della sua schiacciante inferiorità culturale, scuola che non ottenne comunque o risultati sperati. Alcuino fu anche promotore della nomina di Carlo a Imperatore del Sacro Romano Impero. A onore della cronaca, qualche studioso dice comunque, un po’ stranamente, che il Re dei Franchi avesse imparato a leggere, anche il latino che pare parlasse fluentemente – ciò su cui avanzo qualche serio dubbio. Si faceva leggere i libri da Alcuino, da altri monaci, magari, volendo vedere il re nudo – ovviamente non il Re dei Franchi concretamente –, perché in primo luogo e semplicemente non sapeva leggere, ossia fosse completo analfabeta malgrado gli sforzi personali e quale allievo dell’importante maestro. Ciò non toglie che fosse re guerriero straordinario e persona intelligente. Pose comunque le basi attraverso serie di guerre annuali per una sottomissione con la forza e così unione di alcuni popoli germanici, di gran parte della Francia, della Spagna, dell’Italia nel suo Regno e poi Impero o Reich, forma autoritaria di unione di popoli diversi parlanti non solo il tedesco o lingue germaniche, bensì anche lingue del tutto diverse, non di ceppo germanico. Tornando al Premio sopra citato, esso fu opportunamente rinominato nel 1987 Internationaler Karlspreis zu Aachen, ossia ‘Premio Internazionale Carlo Magno ad Aquisgrana’, ossia non più direttamente come omaggio della città di Aquisgrana al grande Imperatore germanico, ma ad Aquisgrana, con una mutata spazialità non da poco che ha reso il Premio internazionale avente il centro propulsore nel mondo ad Aachen, Aquisgrana, appunto in Germania. Tale Karlspreis ebbe il suo primo vincitore assoluto nel maggio del 1950, l’austriaco Richard Nikolaus Graf von Coudenhove-Kalergi – nel 2016 ottenne il Premio anche Papa Francesco, in ricordo dell’alleanza di Carlo Magno con i vari Papi. Kalergi aveva pubblicato nel 1923 le sue idee su una possibile unione paneuropea, da ciò il Premio conferitogli. Kalergi pubblicò anche il libro Praktischer Idealismus (1925), ‘Idealismo pratico’, un libro, come alla luce dell’analisi semantica da me attuata, ricco di concetti non fondati né nella logica né nei fatti, frutto di idee dell’autore appunto campate in aria, appunto infondate e assurde, ciò che in ogni caso non delegittima affatto il conferimento del Primo Premio al Karlspreis, ci mancherebbe: i gusti culturali sono tutti legittimi nella libertà di stampa e di pensiero che caratterizza per fortuna le democrazie. I più importanti input della Paneuropa (1922) del Kalergi sono stati effettivamente fatti propri dall’Unione Europea. Comunque c’è da dire che il progetto Kalergi, alla base dell’Unione Europea, non è stato, come si sente forse dire, il primo progetto per un’Europa che riunisse i popoli europei in modalità discutibili per altro, molto discutibili, ci aveva già provato appunto il Reich o Impero di Carlo Magno – da ciò il Premio a lui intitolato – con la sottomissione dei popoli sotto la sua spada, unico strumento di unificazione dell’Impero realizzato da Carlo Magno. Ora forse è il caso comunque di evidenziare come un Premio intitolato all’Imperatore tedesco Carlo Mango non sia appropriato a diventare il simbolo democratico internazionale dell’Unione Europea dei popoli.

**Vi è un interessante accostamento, storicamente documentato, tra Carlo Magno e Davide Re d’Israele, come più sopra accennato: “(…) fu soprattutto con i Carolingi che l’accostamento ai re d’Israele, e a Davide in particolare, divenne consuetudine. Fin dalla loro vittoria contro gli Arabi (732), e ancora di più dopo l’introduzione dell’unzione regale al tempo di Pipino il Breve, i Franchi avevano considerato se stessi come il “nuovo Israele”, di cui continuavano i successi nella storia, ed erano perciò destinati a rinnovare il regnum Davidicum. Così l’entourage di Carlomagno si rivolgeva a lui chiamandolo Davide (…) (D’Angelo 2016: Università di Roma La Sapienza)”. Per altro re Davide era il modello, per così dire, di regnante-guerriero personalmente prediletto da Carlo Magno: “(…) Il suo modello era Davide, il più saggio e il più forte dei Re. Come immagine imitativa gliel’aveva imposta ostinatamente Alcuino (…) Davide era biondo, bello e forte. Aveva le fulgenti virtù del guerriero vittorioso e quelle, più interiori e rare, del governante di popoli. Era devoto alla divinità, protetto da Dio, fino a considerarsi interprete delle sue volontà nella gesta terrene (…) Nei convegni di palazzo cui partecipavano gli eruditi chiamati da Carlo alla sua corte, tutti prendevano d’abitudine uno pseudonimo. Quello di Carlo era Davide. ‘Davide, il tuo omonimo’, lo rassicurava Alcuino (…)”  (Granzotto 1978: Mondadori Editore).

*** Dei corposi testi Paneuropa (1922) e Praktischer Idealismus (1925) seguiranno, prevedibilmente per la «Lunigiana Dantesca», le Recensioni (Mascialino) fornite doverosamente di citazioni dalla lingua tedesca e traduzioni (RM) della stessa in italiano.

                                                                                         RITA MASCIALINO




 









 

giovedì 28 agosto 2025

 

Franz Kafka o l’impossibile reduce nella casa del duplice padre

di Rita Mascialino

 

Testo della nota di Kafka (1920 senza titolo, scritta da Kafka in un quadernino e pubblicata postuma nel 1936 da Max Brod con il titolo Heimkehr, ‘Ritorno a casa’):

“Ich bin zurückgekehrt. Ich habe den Flur durchschritten und blicke mich um. Es ist meines Vaters alter Hof. Die Pfütze in der Mitte. Altes, unbrauchbares Gerät, ineinanderverfahren, verstellt den Weg zur Bodentreppe. Die Katze lauert an dem Geländer. Ein zerrissenes Tuch, einmal im Spiel um eine Stange gewunden, hebt sich im Winde. Ich bin angekommen. Wer wird mich empfangen? Wer wartet hinter der Tür der Küche? Rauch kommt aus dem Schornstein, der Kaffee zum Abendessen wird gekocht. Ist dir heimlich, fühlst du dich zu Hause? Ich weiß es nicht, ich bin sehr unsicher. Meines Vaters Haus ist es, aber kalt steht Stück neben Stück, als wäre jedes mit seinen Angelegenheiten beschäftigt, die ich teils vergessen habe, teils niemals kannte. Was kann ich ihnen nützen, was bin ich ihnen und sei ich auch des Vaters, des alten Landwirts Sohn.  Und ich wage nicht an der Küchentür zu klopfen, nur von der ferne horche ich, nur von der Ferne horche ich stehend, nicht so, daß ich als Horcher überrascht werden könnte. Und weil ich von der Ferne horche, erhorche ich nichts, nur einen leichten Uhrenschlag höre ich oder glaube ihn vielleicht nur zu hören, herüber aus den Kindertagen. Was sonst in der Küche geschieht, ist das Geheimnis der dort Sitzenden, das sie vor mir wahren. Je länger man vor der Tür zögert, desto fremder wird man. Wie wäre es, wenn jetzt jemand die Tür öffnete und mich etwas fragte. Wäre ich dann nicht selbst wie einer, der sein Geheimnis wahren will.”

 

“Io sono tornato. Ho varcato l’ingresso e mi guardo attorno. È il vecchio casale di mio padre. La pozzanghera al centro. Attrezzi vecchi, inutilizzabili, incastrati gli uni negli altri, bloccano il passaggio alla scala che va in soffitta. Il gatto è appostato alla ringhiera. Un panno lacerato, un tempo avvolto per gioco attorno a una stanga, si alza nel vento. Io sono arrivato. Chi mi riceverà? Chi aspetta dietro la porta della cucina? Del fumo esce dal camino, si sta preparando il caffè della cena. Ti è familiare, ti senti a casa? Non lo so, sono molto insicuro. Casa di mio padre lo è di certo, ma freddi stanno i singoli individui uno vicino all’altro, come se ciascuno si occupasse degli affari suoi, che io in parte ho dimenticato, in parte non ho mai conosciuto. A che cosa posso servire, che cosa sono per loro, e sia io anche il figlio del padre, del vecchio coltivatore della terra. E non oso bussare alla porta, solo in distanza sto in ascolto, solo in distanza sto in piedi in ascolto, non così da poter essere sorpreso come uno che origlia.  E siccome sto in ascolto in distanza, non riesco a sentire nulla, sento solo un leggero ticchettio di orologio o forse credo soltanto di sentirlo, proveniente dai giorni dell’infanzia. Che altro accade in cucina, è il segreto di coloro che là siedono e lo serbano davanti a me. Quanto più si indugia davanti alla porta, tanto più estranei si diventa. Come sarebbe se adesso qualcuno aprisse la porta e mi chiedesse qualcosa. Non sarei allora io stesso come uno che vuole serbare il suo segreto.”    (Traduzione di Rita Mascialino)

 

Franz Kafka (1906), Alamy Stock Photo

La complessa annotazione scritta da Kafka mette al primo inizio la cosa importante: l’azione del ritornare a casa, espressa lapidariamente e specificata subito dopo con il verbo durchschreiten, qui tradotto con varcare, come anche con l’azione dell’essere arrivato, altrettanto lapidaria e solenne, ritorno e arrivo enfatizzati nel testo tedesco dalla lapidarietà, dal punto che impone dopo la sola azione del verbo una pausa e, nella traduzione qui proposta, azioni enfatizzate attraverso l'esplicitazione del soggetto, non necessaria in italiano. Le due frasi lapidarie implicano una, pur brevissima, pausa del respiro nel protagonista, emozionato come nell’espressione linguistica di cui sopra pur nel controllo sovrano – ma non insensibile – dello speciale reduce. Una parola sulla commozione kafkiana. Si tratta di un sentimento tenuto a bada molto razionalmente ed elegantemente in questo autore, nella fattispecie: quasi come se l’uomo che tornasse a casa avesse un nodo alla gola pensando al proprio ritorno, così da avere bisogno di una pausa nel respiro prima di proseguire. Ritorno e arrivo che si snodano su binari simbolicamente multipli nella immaginifica narrazione kafkiana. Sul binario concreto: si tratta della casa del padre riconosciuta come tale dal figlio e cui allude il fumo della preparazione del caffè del dopo cena – ma già qui il fumo, in tale contesto, è anche un segno della distruzione –, una casa in cui il figlio non sa se sentirsi in famiglia pur essendo appunto il figlio. La scala che porta alla soffitta – e che è ancora disponibile per Odradek-Kafka nel racconto La preoccupazione del padre di famiglia –, nel ritorno del figlio, è sbarrata dai rottami accumulati come se ci fosse stata una tempesta. Ma la casa kafkiana è sempre duplice. Al binario metaforico allude la presenza del panno ora senza stanga e lacerato, buttato via assieme alle cose abbandonate, comunque riconosciuto come oggetto un tempo munito di stanga, se anche già solo per gioco, comunque ad evocazione di un vessillo, già dall’infanzia comunque non una cosa seriamente intesa dai grandi, dal padre che ha permesso il gioco ai piccoli con un simbolo tanto importante come  verosimilmente l’appartenenza al proprio popolo e così la sua riduzione a straccio inutilizzabile, dimenticato tra le cose da buttare via.  Commovente è il fatto che tale simbolo implicitamente dell’esistenza degli ebrei come popolo – e dell’umanità stessa come vedremo subito –, pur se lacerato e già ridicolizzato come cosa da giochi infantili, alzi ancora i suoi resti al vento, come in un’azione di resistenza da parte di chi non voglia essere cancellato per sempre, come in una rappresentazione dell’identità e della dignità del popolo cui si riferisce, capace di alzarsi ancora, ad oltranza, anche se semi distrutto e scacciato da ogni luogo, senza casa – così nel polisemico testo kafkiano. Davvero in Kafka l’appartenenza al suo popolo e all’umanità stessa è qualcosa di vissuto drammaticamente e profondamente, qualcosa di incessantemente doloroso. In una breve digressione ritenuta opportuna: sappiamo che Kafka verso la fine dei suoi giorni rifiutò la lingua tedesca, la sua lingua madre cui diede profondità insuperate e prevedibilmente insuperabili, adducendo quale causa del rifiuto: l’individuazione in essa, molto profeticamente, del germe della violenza, ciò per cui avrebbe intrapreso, se avesse ancora potuto, il viaggio in Palestina, dove avrebbe voluto servire il suo popolo, come ebbe a scrivere egli stesso. Tornando al racconto, ad un certo punto Kafka si riferisce ai familiari utilizzando il termine Stück, pezzo, vocabolo che è idoneo nella quasi totalità dei casi a designare oggetti inanimati. Solo in un caso si può riferire a persone, considerate tuttavia con ironia o con deprezzamento – vedi genere neutro del vocabolo e del pronome jedes ad esso riferito, deprezzamento di cui è la semantica nel racconto. E certo non si può pensare – tranne stando fuori dalla logica – che gli oggetti abbiano faccende di cui occuparsi e che il protagonista non abbia mai conosciuto queste faccende, come risulta da traduzioni della libera interpretazione. In italiano il vocabolo pezzo non si adopera mai per le persone, per cui è stato scelto nella traduzione di cui sopra il termine individui, qui pure con sfumatura poco positiva, e si è aggiunta la comparazione con oggetti per specificare al meglio il significato insito nel termine Stück come appunto del pronome di riferimento jedes neutro, riduttivo nel contesto come genere attribuito a persone.

Proseguendo, sulla scia della casa del padre concreto e della bandiera abbandonata nei rottami, si apre nell’eco anche un terzo binario più universale riguardante il ritorno, l’arrivo della vita al punto di partenza come percorso esistenziale che ritorna là, da dove è partito, ossia il ritorno al padre dell’umanità, che come vedremo subito, non esiste altro che in credenze fallaci, di un’umanità infantile. A conferma, un’osservazione sul termine Landwirt, composto con Land, terra, paese, sopra tradotto con coltivatore della terra. Un termine, Land, che si addice al binario concreto nel senso di appezzamento di terra e anche a quello simbolico di terra come luogo in cui vive l’umanità, per altro un termine che compare spesso nella narrazione kafkiana, anche ad esempio nel anche nel famoso racconto Vor dem Gesetz, Davanti alla Legge, per qualificare l’uomo che si presenta appunto davanti alla Legge per essere accolto in essa, ossia ein Mann vom Lande, un uomo di campagna, nella metafora un uomo che proviene dalla Terra, spostandosi in tal modo l’ambito da quello terreno a quello metafisico. Così anche qui il vecchio coltivatore della terra è il padre concreto, agricoltore, ma anche il padre nel più ampio spazio della Terra, il proprietario o padrone metafisico – ricordiamo che nel racconto biblico il padre universale è il creatore della Terra, per così dire il proprietario terriero, sempre permanendo nel livello plurisimbolico del racconto, dell’opera kafkiana.  

Specifichiamo meglio questo speciale ritorno kafkiano nel racconto supersimbolico. Nessun padre c’è mai stato per Kafka, ossia il padre concreto non è, secondo il figlio, mai stato un padre per lui e non ne ha mai aspettato il ritorno come quello di uno di famiglia – l’ingresso è reso difficile dai rottami sparsi. Parallelamente il padre per così dire celeste c’era all’inizio della vita, ma solo nelle credenze di un’infanzia concreta e metaforica, per cui nessuno, non solo Kafka, può ritornare da qualche parte, da qualcuno, se non c’è niente e nessuno ad attenderlo, ad accoglierlo. Di fatto solo il ticchettio dell’orologio si fa sentire nell’ambito concreto e più universale, ticchettio dell’orologio che presenta il tempo impersonale che scorre per l’esistenza associato molto in lontananza alla duplice età infantile, come possibili illusioni dei piccoli in padri provvidi e dell’umanità bambina, ancora fiduciosa in padri celesti. Ribadendo: il fatto che il ticchettio quasi impercettibile provenga da molto lontano o non ci sia per niente – il tempo è muto per come vi allude Kafka con il fatto che forse non vi sia neanche un ticchettio, ossia domini nella realtà delle cose solo il nulla più muto –, non si riferisce nella polisemica narrazione kafkiana solo all’infanzia del protagonista, dei bambini, ma coinvolge anche l’infanzia dell’umanità, epoca in cui potevano sorgere e sussistere credenze e come speranze vane. Al proposito, a conferma, Kafka non usa il possessivo relativamente a suoi giorni dell’infanzia, non dice ‘aus meinen Kindertagen’, ma solo ‘aus den Kindertagen’, espressione che si presta appunto al meglio alla metafora, al simbolo universalmente esteso all’umanità. Non è senza significato, in tale ambito simbolico, il fatto che il ritorno abbia luogo di sera: nella sera della vita, quando sì è vicini alla notte, all’abbandono della vita come, nell’intreccio di simboli, per Kafka stesso ormai anche concretamente – sarebbe morto di lì a pochi anni. Kafka crede di sentire e vorrebbe sentire, origliando senza assumere la tipica spazialità più o meno curva dell’origliatore, qualcosa della vita della duplice casa, ma sente solo la voce del tempo che scorre del tutto impersonale come ticchettio dell’orologio. Così in questa brevissima narrazione Kafka presenta il nulla del suo ritorno alla casa concreta del padre terreno e il nulla relativo a un eventuale implicito ritorno al padre eterno che non attende chi a lui ritorni perché sta appunto solo come antica credenza nell’infanzia dei bambini e dell’umanità intera, come segno del potere sugli uomini, sui figli comunque nella fattispecie.

Di fronte al nulla del duplice ritorno resiste tuttavia ancora nella mente più recondita e nel cuore di Kafka, sempre secondo quanto sta nello straordinario racconto, lo straccio di vessillo implicitamente ebraico – si è nel cortile della casa paterna, ebraica, dove il padre non ha onorato la sua origine scegliendo la cultura e la lingua tedesca, soprattutto per il figlio, e lasciando l’ebraismo in piccole, insignificanti liturgie. Tale straccio di bandiera si alza ancora al vento malgrado in pezzi e abbandonato fuori dalla casa, come una proiezione, si potrebbe dire eroica, del Kafka ebreo, in pezzi, ma ancora consapevole di essere un ebreo – per quanto errante – nella sua implacabile ricerca di verità. In aggiunta, sempre sul piano più esteso della narrazione come è stato qui individuato: anche l’umanità secondo Kafka risulta errante e niente di più né di diverso.

Il racconto termina con il segreto di coloro che siedono nella casa – sempre metaforicamente duplice –, segreto che conservano davanti al figlio senza nulla aver mai rivelato o chiarito in proposito, ma nel finale c’è anche il segreto che potrebbe avere Kafka stesso e che conserverebbe, di cui quindi non si saprebbe niente, ma che si può inferire dal contesto implicito della narrazione: il segreto relativo al non illudersi sulla figura di padri incapaci di essere tali ed esistenti solo come duplice volto di un potere assoluto, come inganno per la credulità degli ingenui. Ancora un’osservazione sul plurale che compare relativo a coloro che siedono in essa, allusione ai genitori e alla doppia paternità inesistente. Il fatto che siedano evoca, sempre nel contesto, spazialità di un potere assoluto, che non ascolta né da spiegazioni, ma che pretende sottomissione non interessandosi altro che del proprio potere, come il protagonista ha ormai ben chiaro nella sua disillusa e non lieta visione del mondo.

Per concludere con una breve sintesi: Kafka, fuori dalla porta della casa del duplice padre, si trova accomunato ai rottami buttati via nel cortile, fuori sì dalla casa paterna senza un padre degno del ruolo e senza un padre celeste. Tuttavia non è da solo, bensì si trova in compagnia del vessillo lacerato, che ha ancora l’estrema dignità di alzarsi comunque per continuare ad esistere con la propria indomita individualità anche se come logoro straccio *, così come ugualmente l’impossibile reduce  sta dritto, non curvo, non piegato sebbene fuori dalla porta della polisemica casa cercando di ascoltare se vi sia vita all’interno, appunto restando eretto, senza cedimenti, sentendo null’altro che lo scorrere del tempo, ossia nulla. Sta non solo in qualità di ebreo errante per eccellenza che, scacciato da tutti o non accettato da nessuno, non può ritornare da nessuna parte perché è venuta a mancare l’illusoria duplice meta, ma parallelamente nella qualità esistenziale di uomo senza possibilità di tornare dai padri perché inesistenti come tali. Kafka sceglie dopo un’esistenza di ostinati dubbi l’unica verità che gli resta incrollabile: quella che lo vede resistere nella propria identità storica fatta di rifiuti e lacerazioni, identità di appartenente alla sua cultura di origine, appartenenza che in Kafka spazza via una volta per tutte il potere della paternità biologica proiettata in quella divina sostituite dall’appartenenza culturale tutta terrena e solo terrena, per precaria che essa sia, tuttavia l’unica capace di resistere all’analisi ad oltranza di Kafka.

Così termina l’analisi dell’annotazione senza titolo di Kafka, ulteriori tanti dettagli sono stati tralasciati per non appesantire troppo la lettura dell’analisi, avendo trattato comunque ciò che schiude la semantica di superficie e profonda della narrazione kafkiana.                                                                                    

                                                                                                                      

 

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*Nel racconto Das Urteil Kafka dà una descrizione del suo amico – in realtà il suo doppio (Mascialino 1997: Franz Kafka-Racconti scelti-Traduzioni testo a fronte e analisi: Campanotto Editore: 32-33: Collana Le carte tedesche: Postfazione di Giorgio Cusatelli: Prefazione dell’autrice) – che anticipa nell’elaborazione spaziale il reduce che sta con i rottami in Heimkehr: ‘(…) An der Türe des leeren, ausgeraubten Geschäftes sah er ihn. Zwischen den Trümmern der Regale, den zerfetzen Waren, den fallenden Gasarmen stand er gerade noch (…)’, ‘Sulla porta del vuoto e saccheggiato negozio lo vedeva. Tra le macerie degli scaffali, le merci stracciate, i bracci cadenti dei lumi a gas, stava ancora dritto in piedi (…)’. Il racconto presenta il tema dell’ebraismo, al centro della visione del mondo di Kafka, attraverso l’amico del protagonista, come anticipato il suo doppio, ma ancora il figlio vive con il padre e parla con lui, non sta fuori dalla porta – l’amico sta sulla porta anch’esso, né dentro né fuori dal negozio in rovina come le merci, i tessuti lacerati mostrano. Nell’evoluzione della kafkiana visione del mondo, in Heimkehr la decisione è ormai presa, nessun discorso è più possibile, nessun inganno, resta solo l’appartenenza culturale, che non è quella tedesca in cui è vissuto tanto profondamente, ma quella ebraica. En passant: il titolo del racconto Il giudizio, come nella traduzione di R. Mascialino nel testo citato, è diverso dai vari titoli esistenti, i quali in ogni caso non corrispondono al significato del termine tedesco, ma sono frutto della libera interpretazione, come viene spiegato nell’analisi dei titoli contenuta.




venerdì 8 agosto 2025


Qualche Informazione sulle Motivazioni culturali a monte del sito www.franzkafkaitalia.it e del 'PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA ®'

Dalla homepage del sito www.franzkafkaitalia.it 


N.B.   Solo onde evitare possibili fraintendimenti: 

Questo è il sito del 'PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA ®', Premio che non ha mai avuto a che fare con il 'Premio Franz Kafka' di Praga, né ha mai collaborato con la città di Praga,  né è mai stato sponsorizzato da nessun Comune o altro Ente, come è esplicitato nei Bandi/Moduli a partire dalla Fondazione (2011), e che riceve dal Comune di Udine esclusivamente il suo illustre Patrocinio. Il 'Premio Franz Kafka Italia ®' sorge in piena autonomia collegato alla identificazione (1996 e segg.) attuata da Rita Mascialino sul piano esegetico - squisitamente umanistico - relativamente alla straordinaria e criptica, nonché prima metamorfosi prodotta da Franz Kafka nel racconto Der plötzliche Spaziergang (1912), La passeggiata improvvisa, ossia in cavallo nero nella notte nera, metamorfosi mai identificata a livello nazionale e internazionale in più di un secolo di critica kafkiana..

Il saggio di Rita Mascialino relativo alla scoperta Il cavallo nero o l'altra metamorfosi di Franz Kafka (La passeggiata improvvisa) (2011 Cleup Editrice Università di Padova) è stato insignito tra l'altro del Primo Premio al Premio Letterario Internazionale intitolato alla famosa Locanda del Doge 27 ottobre 2013, Presidente Angioletta Masiero, Celebrazione al Seminario Vescovile, Rovigo.

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Quanto alle motivazioni culturali a monte di questo Sito, esse  sono sintetizzate in cinque mete:

1. la meta di far conoscere la prima  grande metamorfosi in cavallo nero nell’opera di Franz Kafka finora sconosciuta sia ai lettori amanti delle opere letterarie sia agli studiosi specialisti;

2. la meta di evidenziare come Franz Kafka non sia autore dell’assurdo, né tanto meno sia produttore di idee assurde, né i suoi simbolismi siano assurdi e impenetrabili dalla logica perché l’autore, come secondo alcuni, avrebbe smarrito il significato e il senso delle parole. Al proposito il sito, assieme al Premio sotto descritto, fa conoscere Kafka più da vicino e in profondità così che l’estrema coerenza logica dei mondi prodotti da questo Autore si possa vedere con chiarezza;

3. la meta di spezzare una lancia a favore del significato del linguaggio in generale in quanto strumento  in grado di convogliare significati identificabili su base oggettiva,  scientifica, ossia la meta di togliergli l’etichetta di soggettività insanabile che gli viene in genere  posta da teorie correnti;

4. la meta di far rivivere con il 'Secondo Umanesimo Italiano ®', fondato da Rita Mascialino,  il nucleo innovativo centrale della grande avanguardia dell'Umanesimo Italiano, sorto in Veneto e sviluppatosi in Toscana,  e da lì diffusosi in Europa, nucleo centrale consistente nel riconoscimento della possibilità di attingere  attraverso la più puntuale e profonda esegesi linguistica dei testi in primo luogo letterari e filosofici, ma non solo, il loro oggettivo significato al di là di manipolazioni ad usum Delphini o fraintendimenti per incompetenza;

5. La meta di offrire agli studiosi e ai letterati, nonché poeti e artisti, nelle tre diverse Edizioni attuali dell'unico 'Premio Franz Kafka Italia ®':  CULTURA CARRIERA IMMAGINAZIONE - DISEGNO ARTISTICO - PITTURA,  possibilità specifiche  di far conoscere il loro valore culturale in Italia e all'estero, in internet, quindi nel mondo. È stato istituito in seno al 'Premio Franz Kafka Italia ®' anche un PREMIO ONORARIO da assegnare fuori Concorso a studiosi, letterati, artisti, che si siano particolarmente distinti per il loro impegno nella divulgazione della cultura, della scienza e dell'arte e in ogni caso ritenuti meritevoli dell'Omaggio. Tali eventuali riceventi saranno, in totale rispetto della Privacy, avvertiti dell'intenzione di assegnazione, così che possano accettare o rifiutare prima dell'assegnazione pubblica.

Una parola sul titolo del sito: franzkafkaitalia.it e del 'PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA ®'

La scoperta della metamorfosi, non identificata nell’ambito delle altre culture, è stata ottenuta attraverso il filtro concettuale ed emozionale della lingua italiana (Primo Premio per il Giornalismo 'Il Musagete' conferito a Rita Mascialino dall'Istituto Culturale della Calabria relativamente alla sua scoperta, Francavilla Marittima 2013, come pure Premio alla Cultura), da ciò il titolo del Premio comprensivo del termine ITALIA. Si tratta di una lingua, l'Italiano, che, se difetta spontaneamente di guerresca angolatura logico-analitica come la può avere il tedesco ad esempio, si costruisce sul  potentissimo meccanismo dell’intuizione estetica, base non solo dell’arte e della fantasia, ma anche e soprattutto linfa vitale dello sguardo scientifico sul mondo. Non è quindi un caso secondo la Mascialino che la sua scoperta, ed anche tutte le altre numerose di significati  innovativi come si riscontrano nelle sue opere, sia potuta avvenire grazie al poderoso quanto sottile strumento semantico-emozionale fornito dalla lingua italiana. In altri termini: è il filtro estetico-intuitivo tipico dell’italiano che ha agevolato a livello profondo la comprensione dei significati linguistici, un filtro conosciuto in modo consono dalla Mascialino e sempre confrontato con altri filtri conosciuti in modo altrettanto consono dalla stessa, un filtro al quale la Mascialino ha affiancato la teconologia psichica dell’analisi scientifica. Ma mentre la tecnologia dell’analisi può essere acquisita attraverso la produzione dell’abitudine al riscontro delle proprie idee con i fatti  concreti e con la logica, l’apparato intuitivo non si lascia apprendere con un corrispondente esercizio. Si tratta di un meccanismo per eccellenza inconscio che poggia, tra molto altro, sulla presenza di ipersensibilità  nel percepire i percorsi del cervello, pure inconsci, nella loro forma immaginifica e creativa, estetica, che l’analisi spezza successivamente. E la Lingua Italiana è un giacimento prezioso di tale modo di vedere il mondo.

Rita Mascialino (detta Maddalena)

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Per gli interessati alla Celebrazione del Centenario della Morte di Franz Kafka (2024):

-Video YouTube (youtube.com/watch?v=yAuSOkXqFB4) con Grafiche Digitali e Incisioni dell'Artista Vincenzo Piazza e analisi delle opere  di Kafka e delle Illustrazioni  a firma di Rita Mascialino - Video  anche sotto il titolo: PRIMO CENTENARIO DELLA MORTE DI FRANZ KAFKA (2024)

ILIJA SHAULA, studioso serbo-americano, ha intervistato Rita Mascialino precipuamente sui temi del 'Premio Franz Kafka Italia ®' (non collegato al 'Premio Franz Kafka' di Praga né alla città di Praga, né mai sponsorizzato da nessun Comune), della sua scoperta della straordinaria metamorfosi kafkiana in cavallo nero (Der plötzliche Spaziergang 1912), mai identificata prima a livello della critica nazionale e internazionale (Mascialino 1996 e segg.), del 'Secondo Umanesimo Italiano ®', altro. Segue testo dell'Intervista a Rita Mascialino, Rivista Letteraria Internazionale Serbo-Americana 'Literary workshop "Kordun" ',  07. 27. 2025, di ILIJA SHAULA, Direttore della Rivista  di cui al link sotto  segnato:

https://www.literaryworkshopkordun.com/engleski/strana/4232/ilija-saula-rita-maskalin-smisliti-znaci-ici-izvan-stvarnosti

Immagine: Ilija Shaula

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RITA MASCIALINO: – INVENT IS TO GO BEYOND REALITY

Franz Kafka remains one of the most enigmatic, yet prophetically resonant figures in European literature. In this dialogue with Rita Mascialino, a philosopher and scholar of Kafka's deep semantics, we examine not only the symbols of his work, doors, keys, and horses, but also what remains unspoken. Silence, the violence embedded in language, and self-transcendence through the black horse become the foundation for a reflective inquiry into truth, power, and existential metamorphosis.


Literary workshop Kordun – 07.27. 2025.
Discussed, Ilija Saula
1 Dear Rita Mascialino, Where and when were you born? How was your childhood and education? What determined your further interest and pursuit of literature?

-I was born in Genoa on February 10, 1946. I dedicated a literary memory to my childhood in the novel Le carezze negate (Cleup Editrice Università di Padova, 228 pp.), published in 2005. I attended primary school in Padua, then lower and secondary school in Udine, and later graduated in Foreign Languages and Literatures from the University of Venice, known as Ca’ Foscari, where I studied under Professor Ladislao Mittner. I would have preferred to pursue Chemistry, but I had to accept my father's decision. Consequently, I began teaching German in secondary school while simultaneously earning a degree in Educational Studies. Later, I undertook various specializations in Criminology and Graphology.

My interest in literature was sparked by the marvelous fairy tales I had to read during my lonely childhood. Each evening, I was required to retell one to my father, along with an explanation of its linguistic meaning. It was a demanding and rigorous education; my father was very strict and instilled in me a strong sense of discipline through firm methods.

 
BETWEEN MEANING AND IMAGINATION: RECLAIMING TEXTS IN CONTEMPORARY CULTURE

2 Can you tell us exactly what Second Italian Humanism represents for contemporary European and world art?

-That would require a much longer discussion, but I will try to offer a brief synthesis.

The issue lies within the broader domain of imagination, both scientific and artistic, because art, like any other phenomenon, can and should be analyzed and interpreted through rigorous methods. Importantly, interpretation is not the first but the final step in scientific research.

There is a common misconception that the meaning of art cannot be approached scientifically and must be left entirely to subjective invention. This notion is problematic, as it implies that art possesses no inherent meaning, a deeply flawed concept.

Italian Humanism, which has been the most advanced avant-garde movement globally in terms of intellectual freedom, culture, and democracy, aimed to reveal the true meaning of texts through precise translation and linguistic interpretation. The unchecked freedom of interpretation, especially in literature, philosophy, and religion, has allowed institutions like the Church to distort the meaning of texts ad usum Delphini, a practice still pervasive today across cultural domains.

Italian Humanism rose in opposition to this tendency, confronting both deliberate manipulation and ignorance, as Martin Luther famously demonstrated in his Sendbrief vom Dolmetschen (1530). Its emergence was largely driven by debates around mistranslations and led to a renewal of philological practices.

Coming to the ‘Secondo Umanesimo Italiano ®’ (Second Italian Humanism), which I founded in 2000 and officially registered in 2015, it echoes the great Italian avant-garde spirit of the 13th, 14th, and 15th centuries, though not in every aspect. Its focus is narrowed to the pursuit of objective textual meaning, a cornerstone of democratic culture.

For contemporary European and global art, the Secondo Umanesimo Italiano ®, both as method and theory, updated to current scientific standards, represents a call for respect toward the intrinsic meaning of literary texts. This is essential for cultural seriousness, for the dignity of readers, and for cultivating a deeper sense of democracy. Interpretation is not a simplistic task, as many might assume; however, Second Italian Humanism places this profound challenge at the heart of democratic discourse.

 

KAFKA AND THE RESPONSIBILITY OF INTERPRETATION: AN AWARD BEYOND RECOGNITION

 

3 Why do you like Kafka? How do you see his work influencing the modern world and the future?

-There are many writers and poets I admire, artists of all kinds, such as Shakespeare, whose King Lear I reinterpreted in new ways, and Collodi, whose Pinocchio I have also approached with entirely renewed readings. However, I chose Kafka as the core of my pursuit for serious and objective exegesis.

In 1996, through rigorous linguistic analysis and interpretation, I discovered a hidden metamorphosis in Kafka’s short story Der plötzliche Spaziergang (The Sudden Walk): a transformation into a black horse, cryptically expressed. This discovery stands against more than a century of superficial and often absurd interpretations shaped by uncritical free association.

Kafka confronts the essential question of human existence beyond comforting illusions. His writing reaches into the deepest philosophical and scientific inquiry, the meaning of life itself, and thus will never lose relevance. That is the enduring power of his work.

4 Your love for Kafka led to the point that you were one of the initiators and now one of the jury members for the Franz Kafka Italia National Award, which has honored numerous celebrated writers, artists and painters since 2011. It is the only award bearing Kafka’s name in Europe besides the international prize in Prague. Can you tell us more about it?

-The discovery of Kafka’s metamorphosis into a black horse. which I presented at the ESSCS International Congress in London, presided by Gerhard J. Dalenoort of the University of Groningen, compelled me to take action against profoundly misleading interpretations. These misreadings are not only misguided but, I dare say, offensive: they distort Kafka’s refined sensibility, his intelligence, and also mislead his readers.

To address this, I founded the Premio Franz Kafka Italia ® - a symbolic gesture of resistance against the cultural damage caused by false interpretations, and a call to uphold integrity in literature, democracy, and the dignity of authors.

Alongside the Franz Kafka Prize in Prague, the Italian Kafka Award is one of only two Kafka recognitions worldwide. While the Prague Prize, fittingly awarded in his hometown, remains the most renowned, my Italian Prize differs in its fundamental aim: to protect the truth of Kafka’s work and advocate for a more scientific and objective interpretation of literary and philosophical texts.

This mission reflects the deeper values of Italian Humanism. Each edition of the Prize, held three times a year, begins with my analysis and interpretation of a selected Kafka text, an intellectual prologue and tribute to the author’s profound legacy.


TO INVENT, TO INTERPRET, TO RESIST: A VOICE BEYOND LIMITS

5 How do you see the political influence of the Catholic Church on human society and human culture in the past and today?

-I fully and democratically support each individual's freedom of religion. However, speaking personally, I do not appreciate any religion or any church, nor do I subscribe to religious thinking. I do not believe in gods or goddesses.

6 You are not only a writer and cultural critic, but also a film and art critic. Can you tell us more about your critical (theoretical) and novelistic work?

-In my semantic analysis of films, I always seek to innovate the prevailing critical frameworks. Semantics, in my view, is the deepest raison d’être of art, of all the arts. It is free interpretation that often misses the target. To be clear, I refer here to the work of scholars and critics, not to the broader public, common readers or general audiences.

When it comes to my novels, short stories and poems, I need space for my imagination, not for scholarly interpretation, but for my inner world, for the deepest aspects of my personality. I continue to analyze literary, artistic and philosophical texts, yet I also require the freedom that creative writing affords. In these works, I am not bound by reality; I can transcend limits and legitimately invent.

7 Your study of Kafka’s metamorphosis into a black horse is a remarkable contribution to literary scholarship. How do you perceive your role?

-I see it as it ought to be seen, as a demonstration of the urgent need to transform our methods of analyzing the meaning of literary texts and art in general.

8 Do you think Europe today needs a new movement of humanism and renaissance?

Certainly. Humanity in general, Europe included, always needs new humanism and renaissance movements, unless it is willing to embrace barbarism.

9 How do you personally see today’s world, Europe, and prevailing cultural trends?

Most critically.

 

THE BLACK HORSE IS KAFKA’S TRUE SELF

 
10 If you were Kafka, what would you write about in a Kafkian way today?

-I’m sorry, but I cannot see myself as Kafka. I can understand Kafka, but I am not Kafka. I cannot answer your question.

11 How do you interpret the transformation of Kafka’s protagonist in The Metamorphosis? Is the insect a reflection of inner condition or social exclusion?

-There are at least two German terms for metamorphosis: Verwandlung, which titles Kafka’s famous tale, and Veränderung, which appears in The Sudden Walk. German is a highly analytical language, rich in nuances. Verwandlung refers to a metamorphosis imposed by external forces, as though conjured by a magic wand, while Veränderung denotes transformation brought about by the individual from within.

Verwandlung, in The Metamorphosis, reflects the impact of Kafka’s father's negative judgment within the family. In contrast, the Veränderung into a black horse occurs outside of the family context and stems from Kafka’s own extraordinary sense of self-worth.

12 Kafka's works often repeat symbols like gates, keys, and labyrinths. What do these reveal about the nature of truth and power?

Kafka, being profoundly intelligent, experienced, as did humanity at large, the constraining weight of power. His entire body of work is concerned with truth, but this concept is so complex that it cannot be explained in a few words. I’m sorry.

13 Kafka’s tone is often dreamlike and surreal. Do you see his visions as artistic resistance or as prophetic insight into modern existence?

-Kafka’s most important and explicit prophecy concerns the insertion of violence into the German language, which he ultimately rejected, even though it was his mother tongue. His death spared him from the fate of later German concentration camps, in which he and his sisters would likely have been interned and burned.

14 Is there a particular symbol in Kafka’s work that speaks to you personally? How have you interpreted it in your own reflections?

-Each word written by Kafka resonates with me. But the symbol that speaks to me most deeply is the black horse, a magnificent image that reveals how Kafka truly saw himself, beyond the Verwandlung imposed by ordinary people, by envious minds, and by an uncomprehending father.

15 What role does Kafka’s silence play, not in what he wrote, but in what he withheld,  in understanding his view of the world?

-Kafka was not someone who found pleasure in offending humanity. He was neither arrogant nor cruel. On the contrary, he was too intelligent and too humane to insult those who could not match his depth. He did not need to be offensive. Instead, he chose silence to express his dismay with the poverty of spirit in much of humanity.

 

THE BLACK HORSE OF MEANING

From metaphors of metamorphosis to silence as resistance, Rita Mascialino’s journey through Kafka is not merely exegetical; it is existential. It confronts the violence in language, honors the dignity of interpretation, and calls forth a new humanism anchored in precision and reverence. In every word, a symbol. In every omission, a truth withheld. In the black horse, the self is unbound.
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https://www.literaryworkshopkordun.com/engleski/strana/4232/ilija-saula-rita-maskalin-smisliti-znaci-ici-izvan-stvarnosti

martedì 22 luglio 2025

 'TRILOGIA PER RITA'

Poesie di HENNA DENA per Rita Mascialino 

(vedi Rita Mascialin o Facebook)

Proprio oggi, 22 luglio giorno del mio onomastico aggiunto in onore, memoria e gratitudine per Maddalena Fornasari, Sarizzola AL, nonna materna alla quale devo molto se non tutto nella mia vita, mi è giunto un omaggio che mi ha sbalordito a dire poco. Ho ricevuto e sempre ricevo tanti elogi, espressi con sincerità, meritati o non meritati, comunque elogi per la mia attività, per le mie analisi semantiche, per la mia ricerca della verità semantica dell'arte e dei testi sulla scia di un da me ripreso 'Secondo Umanesimo Italiano ®', ma mai nessuno pubblico. È il primo, importante e unico omaggio pubblico che mi viene da una poetessa che ho conosciuto a Firenze quando volevo a tutti i costi trasferire il Premio Franz Kafka Italia ® a Firenze, presso il prestigiosissimo 'Auditorium al Duomo', Responsabile Scientifico-Culturale Gianfranco Tognarini, marito di Henna Dena, oggi in pensione, trasferimento cui alla fine ho dovuto rinunciare per i costi inarrivabili. L'omaggio è la TRILOGIA PER RITA, della poetessa e scrittrice HENNA DENA. Sono tre poesie - meravigliose - a me dedicate che mi commuovono nel profondo e che mai mi sarei aspettata, mai da nessuno, profondissime ed emozionanti. Henna Dena ha voluto generosamente mostrare pubblicamente - e audacemente vito che è l'unica testimonianza pubblica per Rita Mascialino detta Maddalena - quanto essa ritiene della Mascialino, molto lusinghieramente, ma di cuore. A suo ringraziamento cito la TRILOGIA PER RITA di HENNA DENA

Cpertina della silloge poetica Oltre il cuore (Cleup Editrice Università di Padova 2019)  di HENNA DENA 

‘Trilogia per Rita’
Poesie di Henna Dena
1
'Nel silenzio che illumina'
“A te, Rita,
che sai discernere
la voce vera tra mille ombre
incise su carta,
e ascolti l’eco sottile
che ogni parola custodisce.
Esplori l’invisibile,
e tra ogni riga scorgi il battito
segreto del testo,
quello che parla anche quando taci.
Tu non cerchi il clamore,
preferisci il lume delicato
della comprensione profonda,
quella che dissente dalla fretta
e sceglie di entrare nel cuore della forma.
E in quel lento silenzio che illumina,
tu resti presenza,
chiave che apre
stanze con la sola forza dell’ascolto.
Sei la dimora delle parole,
il respiro che non si vede
ma tiene in vita tutto.
A te, Rita.”
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2
'L’eleganza che abita l’ombra'
"A Rita
Che non cerca il riflettore,
ma illumina chi sa guardare.
Non grida la sua verità,
la scrive tra i silenzi.

Nelle stanze segrete della mente,
dove il sapere è respiro e radice,
cammina scalza, senza bisogno di scena.

Ha letto il mondo
come si legge una ferita antica:
con rigore, con stupore,
penetrando il mistero.

E tu, Rita, che conosci il battito delle parole
prima ancora che si pronuncino,
sei quella voce che resta
anche quando tutto tace.
Chi ti incontra
non sempre ti vede,
chi ti vede… non ti dimentica più.
A Rita."
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3
'A te Rita'
"Hai letto quaranta mila mondi,
ma nessuno ha saputo leggere te.
Tra le righe dell’ombra e la luce delle virgole,
sei rimasta nuda, integra, di verità.
Ogni parola che tocchi
diventa specchio,
ogni silenzio che ascolti
diventa chiave.
Non sei tu a cercare i segni:
sei tu che li fai parlare.
E io,
che ti ho incontrata in mezzo al rumore,
ho visto in te il battito
silenzioso del vero.
Non serve aggiungere nulla.
Tu sei l’intelligenza con radici
e il cuore con ali.
A te, Rita."
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Poesie che mi sommuovono irrefrenabilmente fino alle lacrime, una sorpresa addirittura proprio nel giorno del mio secondo onomastico Maddalena, l'unico riconoscimento pubblico che mi viene alla mia venerabile età. GRAZIE Henna Dena, che hai voluto esprimere il tuo giudizio sulla mia attività, su me stessa come persona, come personalità, magari mimetizzata in genere sotto la sicurezza delle mie idee, ma che tu hai colto 'oltre il cuore', nel profondo più profondo, audacemente appunto, senza paura di esporti pubblicamente, a mia totale e sbalorditiva sorpresa, ovviamente graditissima, così che sono anche adesso emozionatissima e commossa, molto commossa. Non potrò mai ringraziarti abbastanza e proprio oggi mi hai sorpreso con la Trilogia di poesie bellissime in sé, profondissime, davvero non ho parole adeguate per esprimere la mia meraviglia e gratitudine!
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A Henna Dena e a tutti gli amici!
Rita Mascialino detta Maddalena

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