sabato 28 settembre 2024

 Rita Mascialino‘Insieme falceremo il vento’: Poesie di Angioletta Masiero. Recensione.


La silloge poetica Insieme falceremo il vento di Angioletta Masiero (2023: Prefazione di Gian Domenico Mazzocato, Nota Introduttiva di Maria Braga: Illustrazioni di Massimo Beretta e Silvana Malagoli) offre, come dalla didascalia ‘Storie in versi di auto, piloti e pilotesse’, componimenti relativi a macchine da corsa dei più famosi brand e a uomini e donne alla loro guida altrettanto famosi.


Si tratta di una raccolta di liriche di eco marinettiana nella superficie del tema: l’automobile da corsa e la corrispondente velocità quali simboli della vita da viversi in un progresso vertiginoso e infinito. Angioletta Masiero affronta tuttavia l’argomento molto diversamente.  Certo, ciò che senz’altro colpisce per primo anche nelle poesie dell’Autrice è il linguaggio spesso esprimente tonalità di sferzante entusiasmo per motori poderosi di marchi importanti, per personalità di eccezionali personaggi – anche formidabili donne pilotesse – che hanno interpretato l’esistenza non solo entro le rassicuranti andature della quotidianità, ma anche come estrema emozione connessa all’esperienza della potenza, come la possono dare, nell’ambito, ritmi accessibili solo a chi pone il rischio della vita non come evento da evitare, bensì come avventura  da affrontare in un pericoloso azzardo, e a tutto ciò Angioletta Masiero ha dato coinvolgente memoria poetica nella sua opera. I piloti delle sue macchine da corsa sono portati dai versi come sul magico tappeto volante aggiornato ai tempi attuali e rappresentante le più recenti e sbalorditive tecnologie in una stupefacente alleanza con bolidi che all’uomo comune suscitano meraviglia e persino turbamento solo a guardarne la sagoma simile alla creazione di un’arte astratta delle più strabilianti. Vorrei comunque evidenziare sin da ora quale fattore rilevante, presente a livello conscio e inconscio come sempre nella creatività poetica, come già all’elogio stesso dei roboanti motori e della velocità funga da contrappunto un’aria musicale connaturata all’identità più universalmente nota della donna nella cultura di tutti i tempi come viene espressa più in primo piano anche in specifici versi di ciascuna lirica – alla sensibilità della poetessa è comunque totalmente estranea l’iperbolica volontà al maschile di Marinetti inerente alla conquista delle stelle e del cosmo infinito, bensì emerge nella raccolta un sentimento di acuta nostalgia per ciò che non è più, di memoria del passato.  

Accanto dunque all’eccitazione per il più straordinario passaggio in macchina offerto da Angioletta Masiero, poetessa dall’immaginario audace, si percepisce un’altra prospettiva di tono più sottile, ma tenace, che dà l’ingresso in uno dei territori più connotativi della grande poesia, quello relativo alla caducità della vita che assume molteplici forme e significati secondo le varie visioni del mondo, anche secondo la particolarissima visione del mondo della poetessa. I due poli entro cui si realizza la raccolta, apparentemente opposti – uno riguardante la più intensa, rapida e ardita esperienza dell’esistere, l’altro riguardante il ricordo nostalgico dell’esperienza esistenziale troppo rapidamente trascorsa –, trovano una confluenza, come andiamo a vedere.

Per recepire al meglio la natura di tale confluenza è indispensabile analizzare lo speciale titolo della raccolta, che offre un’immagine qualificante l’argomento o, più profondamente, il messaggio espresso dalla poetessa.

Insieme falceremo il vento riporta l’ultimo verso della poesia Ferrari F430 (27), di cui citiamo alcuni versi emblematici dell’atmosfera di tutta la silloge:

“Ti ho desiderata tanto,/ ti ho sognata, amata,/ cercata, ammirata./ Da bambino ti tenevo/ accanto al mio lettino,/ ti guardavo, ti accarezzavo,/ la notte ti sognavo./(…) Tu sei il sogno, sei la mitica F430./ La voglia di libertà,/ di sfrecciare su strade d’aria,/ di sentire fra i capelli/ le mani del vento./(…) Mi appartieni./ Ti appartengo./ Insieme falceremo il vento.//”  

Il pilota assieme alla sua amata, l’auto, falcerà il vento stesso, l’aria, superandoli nel suo desiderio di velocità e di estrema libertà e correndo tanto rapidamente da avere la sensazione di correre nell’aria e non più nella materialità dei percorsi – senza con ciò considerare immonda la terra come diversamente Marinetti. Tornando al verso in questione, il modo di dire che funge da base al falciare il vento è il più comune tagliare l’aria, per la rapidità nell’entusiasmo della corsa. Ma falciare il vento non coincide del tutto con il tagliare l’aria – le parole, per quanto intese sinonimicamente, non sono mai semanticamente uguali, ma solo simili se non talora anche molto diverse secondo i diversi contesti. Tagliare si può con diversi strumenti, falciare si può solo con la falce e questo strumento introduce un’azione e una semantica che apre uno scenario diverso per qualche aspetto fondamentale dal tagliare. Di base la spazialità intrinseca all’azione del falciare rimanda concretamente e usualmente all’erba o al grano o ai raccolti che si falciano – o falciavano soprattutto in altri tempi – e, nel senso traslato che su quello concreto si costruisce, si riferisce alla più sinistra figura rappresentata con la falce con cui viene abbattuta la vita degli individui, ossia il loro breve tempo concesso secondo miti di antica origine. Angioletta Masiero attua un positivo e sorprendente rovesciamento del simbolo della falce che non riguarda più il falciare le persone, bensì il vento, ciò che, nel contesto, modifica anche il simbolismo del vento, dotandolo del volto del tempo occhieggiante sotto quello della velocità. Vediamo come il vento sia, tra le ulteriori numerose simbologie ad esso collegate, spesso sentito dai poeti e nei miti come il tempo che fugge veloce, come una sua voce, vento e tempo collegati a ricordare agli umani la caducità della vita. Ad esempio, nel solitario Leopardi delle Rimembranze il vento reca dalla torre del borgo lo scandire dell’ora facendosi voce del tempo che passa e della transitorietà dell’esistere. Come variazione sul tema, nella lirica di Neruda El viento en la isla, Il vento nell’isola, isola metafora della vita sulla Terra, il tempo chiama il poeta con la voce del vento per portarlo lontano, nell’ignoto, così che l’uomo chiede aiuto all’amore – alla donna amata che lo rappresenta – per restare ancora, per avere una sosta prima di ricominciare il solitario viaggio – anche l’ultimo viaggio. Nella poetessa Masiero la sovrapposizione del vento al tempo avviene attraverso la condivisione della velocità e dell’intangibilità: vento che corre veloce come il tempo, vento che è intangibile come il tempo. La falce, nel suo senso simbolico, falcia il vento in veste di tempo esistenziale, non la vita quindi, bensì falcia il tempo limitato dell’esistere per dare spazio a un tempo infinito. In altri termini, il falciare il vento, che nel contesto assume, sul piano simbolico, anche la connotazione del tempo con cui condivide la velocità e l’impalpabilità, indica l’abbattimento della fuggevolezza e rapidità riservate all’esistere. Questo eccezionale abbattimento che rovescia  l’azione simbolica della falce come accennato, può avvenire nello slancio titanico del cuore della poetessa, in un potentissimo eros di vita, di volontà di vita ad oltranza che vuole superare i confini riservati all’umano. Alla confluenza sopra anticipata le due strade – l’intensa interpretazione del vivere all’insegna della rapidità e la rapidità dello scorrere del tempo esistenziale – si sovrappongono e imboccano l’unico percorso che va oltre o vuole andare oltre la brevità della corsa dell’esistenza. Ribadendo ancora, la simbolica falce abbatte e supera sia la corsa del rapido vento superandolo, sia la corsa del rapido tempo esistenziale a vantaggio della possibile continuazione della corsa nel percorso di un tempo infinito.

Venendo al su accennato punto di vista connaturato alla donna, esso è espresso nella presenza dell’avverbio insieme. Esso, all’inizio del sintagma, pone subito in primo piano l’altro con cui si viaggia, rimarcando con ciò il suo significato: l’auto amata con cui si corre, certo, ma anche e soprattutto, nell’indeterminatezza dell’espressione linguistica che contraddistingue il titolo, anche una persona – ovviamente amata anch’essa – con cui si vivrà in un’unione che falcerà il vento/tempo esistenziale leopardianamente solitario, superandolo e abbattendolo, come, ricordiamolo ancora, la presenza della simbolica falce poetica indica nel suo utilizzo innovativo. Non si tratta per così dire di una eventuale hybris individuale o solipsistica, più adatta all’espressione di una visione maschile, si tratta di un impeto di vita che possiamo definire eroico al femminile, come se la corsa verso l’unico percorso fosse pilotata da una donna non solitaria ma insieme nell’amore più grande, questo è il messaggio più profondo che ci dà la poetessa Angioletta Masiero nella meravigliosa e speciale corsa che mai si interrompe – e che non termina nel letto celeste di Marinetti, celeste, ma sempre letto adatto alla stasi, meno che mai alla rapidità che in esso al contrario si interrompe. Diamo un esempio illustre per evidenziare la grande differenza tra il sentire della donna Angioletta Masiero e quello di un uomo, il poeta Ezra Pound: “What thou lovest well remains, the rest is dross” (Canti Pisani, Canto LXXXI), Quel che ami davvero, rimane, il resto è scoria” (Trad. di RM), versi immortali che tuttavia mancano dell’amore per l’umanità: ciò che tu ami, non un essere vivente quindi, ma qualcosa – azioni e ambiti di varia natura, situazioni e altro, mete da raggiungere –, qualcosa quindi che tu in solipsistica solitudine maschile ami, resta, il resto è scoria. E il resto, nel contesto, sono niente meno che le persone, escluse dall’utilizzazione del pronome what che non si può riferire grammaticalmente alle persone, mentre con l’avverbio insieme a introduzione dell’azione del falciare c’è la macchina, sì, ma nel senso simbolico anche la persona amata, non solo, possono essere anche più persone nel noi del titolo indeterminato, ossia comprendente l’umanità intera guidata nel caso dalla donna nella corsa che può non interrompersi in uno spazio senza confini, senza limiti. Angioletta Masiero fa un vero capolavoro di rimbalzi concreti e simbolici nelle liriche  di questa silloge sempre riferibili al doppio binario in cui vengono a sovrapporsi l’oggetto e la persona, il senso concreto e il senso simbolico, così che prevale un’unione tra gli esseri umani che si realizza nell’incitamento a non interrompere la corsa e a superare la solitudine, questo come è nella natura della donna che genera la vita e da sempre accompagna la stessa con la speranza della continuazione nell’unico percorso, sciogliendo il suo canto.  

L’immagine nel titolo pervade tutta la silloge, che si svolge, come è stato sottolineato, su due piani: uno più di superficie, l’altro più profondo, dal titolo in poi. Ovunque, in tutte le due parti – ‘Storie di auto’ e ‘Piloti e pilotesse’ – che compongono la raccolta si respira l’aria della più appassionata nostalgia per la vita di tanti grandi personaggi la maggioranza dei quali non è più, del più imbattibile amore per la vita in sé, ossia si trovano sparsi ovunque versi di pura creatività poetica poggianti su una visione dell’esistenza che va al di là delle concrete e luccicanti macchine da corsa per quanto belle esse siano. Ed è la pilotessa Angioletta Masiero, la donna, a condurre insieme oltre il tempo con il suo amore che non si arresta nei piccoli spazi terreni, ma che si espande nel mistico viaggio nell’infinito.

Così, analizzando la complessa semantica espressa nella silloge Insieme falceremo il vento della poetessa Angioletta Masiero. Una silloge che si spende, nel profondo, all’insegna di una corsa che al bivio citato si fa coraggiosa e più intensa volontà di abbattere lo speciale vento, di falciarlo in un anelito di vita e di speranza invincibili.

Moltissimo ci sarebbe ancora da dire, ma ci vorrebbe allora uno spazio maggiore di quello a disposizione di una Recensione.

Prima di concludere seguono alcune tra le tante citazioni possibili dalle belle e profonde liriche al proposito:

“(…) Adesso che dentro sento/ tutti gli inverni del tempo/ e ho dimenticato/ i profumi delle primavere/ si smorza la mia voce/ un poco ogni sera./ Il mio pensiero è scia di polvere/ lasciata sulla strada delle ore./ Tempeste gelate mi hanno raffreddato il sangue/ e mi accorgo/ di aver perso quella luce/ che mi rideva negli occhi./ Non ci saranno  altri raduni, mai più quel suono/ di clacson e motori/ a riscaldarmi il cuore./ (…)” (Me le porto nel cuore: 26)

“(…) Eri polvere di stelle, Rudy,/ polvere di un tempo ormai passato./ Non contano più gli anni,/ né i giorni lontani./ Sei dentro un nuovo tempo./ Sei nel battito dell’universo/ (…)” (Rodolfo Valentino e la sua Isotta Fraschini: 32)

“(…) Per anni e anni Antonietta Avanzo continuò/ a scrivere nel vento/ le sue passioni ardenti, le sue sfide./ Se ne andò a ottantotto anni./ Ma quando l’alito della notte/ sfiora la luna bianca/ sembra di udire nell’aria/ il pulsare antico del suo coraggio/ che non ha tempo né fine/ (…) (La baronessa volante: 65)

“(…) Ora sei nel vento che piega le betulle,/ nel dirupo coperto di ginestre,/ sei nel sole sbriciolato/ sugli alberi del bosco/ e nel vasto fluire della luce/ nell’obliquo pennello del tramonto (…) (La leggenda di Jim Clark: 110)

Qui termina questa Recensione di Insieme falceremo il vento come messaggio potente d’amore, di vita da vivere intensamente inviato all’umanità dalla donna e poetessa Angioletta Masiero che nelle sue liriche spezza la sua lancia tale da abbattere il tempo limitato della vita terrena per aprire l’infinito orizzonte alla speranza della continuazione della corsa insieme all’altro, agli altri.

                                                                                                             Rita Mascialino

 

Angioletta Masiero (Rovigo) è scrittrice e poetessa pluripremiata, giornalista premiata nel 2014 dall’Ordine dei Giornalisti del Veneto con Medaglia d’Argento per i trentacinque anni di giornalismo continuativo e di spessore su importanti Testate del Veneto, ricercatrice in ambito culturale relativamente a personaggi del Polesine, inserita nell’Accademia dei Concordi e del Soroptimist di Rovigo “Donne Polesane Letterate Illustri dal 500 ai giorni nostri”, Presidente da 26 anni della storica Sezione Provinciale di Rovigo per l’UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), Referente Provinciale Theleton per le Malattie Genetiche Rare e tanto altro.

martedì 24 settembre 2024

 Premio conferito a Rita Mascialino ECCELLENZA CULTURA 'GIAN ANTONIO CIBOTTO' VII Ed. 2024


Domenica 22 settembre 2024, LENDINARA DI POLESINE (RO ), storico Teatro ottocentesco 'Ballarin', Celebrazione della VII Ed. del Premio 'Gian Antonio Cibotto', fondato e presieduto da ANGIOLETTA MASIERO, donna impegnatissima culturalmente e nel sociale, scrittrice e poetessa pluripremiata, tra l'altro Presidente UILDM (Unione Italiana Lotta contro la Distrofia Muscolare - Sede Nazionale Roma) per la Sede Provinciale di Rovigo da ventisei anni, Referente Theleton per le Malattie Genetiche Rare, giornalista premiata nel 2014 con Medaglia d'Argento per i Trentacinque anni di giornalismo di spessore dall'Ordine dei Giornalisti del Veneto, e molto molto altro.
Al 'Romanzo a Racconti' di Rita Mascialino 'Il dovere e la giustizia' (Cleup Editrice Università di Padova, 2018) è stato assegnato il prestigiosissimo Premio 'ECCELLENZA CULTURA', Premio che mi viene particolarmente caro anche perché mi viene dal VENETO, regione in cui, a Padova, ho vissuto quattro anni della mia infanzia e che ricordo con tanta amorevole nostalgia per il bellissimo e dolce territorio in sintonia con la accogliente cordialità della popolazione. Premio che mi onora e di cui ringrazio sentitamente Angioletta Masiero assieme a tutta la Giuria e allo staff del Premio composto da illustri personaggi della cultura in ambito nazionale e del Polesine, e che dedico alla memoria della sofferta vita della protagonista Silvana Marini, non più con noi dal febbraio 2019, grandissima donna friulana, di Udine, di rara intelligenza, capace da sola di tenere in piedi cinque cantoni e anche di più nel duro ambito del vecchio Friuli, di cui il romanzo dà uno scorcio psicologico assieme alla descrizione delle arcigne montagne Nord Orientali e dei loro misteriosi specchi lacustri nel loro aspetto arcaico, non turistico.

A Lendinara la Mascialino è stata gentilmente accompagnata in macchina dall'amica carissima Anna Centeleghe, che vive a Udine, ma è di famiglia veneta di Feltre BL.

Dalla Motivazione redatta dalla Presidente Angioletta Masiero relativa alla parte dedicata in particolare a Silvana Marini:
"(...) 'Il dovere e la giustizia' è esemplare per stile e contenuti. La protagonista del romanzo a racconti non è un personaggio di fantasia, ma una persona reale, una vicina di casa dell'autrice. Silvana Marini di Udine è una donna giusta, onesta, una donna che rappresenta il Friuli segreto. Nonostante i seri problemi di salute Silvana non si è mai tirata indietro, ha aiutato la sua famiglia in tutti i modi. Questa donna generosa, nell'Intervista che chiude il libro, ha dichiarato: 'Fino all'ultimo si deve vivere dando il meglio nel proprio possibile'. Un'opera di alti valori e significati (...)"
A Silvana Marini, in totale oggettività in sua memoria!
Rita Mascialino



Immagine: a sinistra nella fotografia la Fondatrice e Presidente del Premio 'Gian Antonio Cibotto', a destra l'Assessora Silvia Saggioro con la scultura Premio, al centro Rita Mascialino visibilmente e profondamente commossa. (https://www.rovigo.news/undici-polesani-premiati-al-settimo-premio-
cibotto/)

venerdì 6 settembre 2024

 

Rita Mascialino, 

Considerazioni sulla sessualità: Kubrick, Dante, Leonardo da Vinci e l’attualità europea 

Potrà apparire a prima vista non consono o quantomeno bizzarro un possibile parallelo tra Kubrick (1928-1999) e Dante (1265-1321) in relazione all’attualità dell’Unione Europea relativamente alla gestione della sessualità: il regista del capolavoro Eyes Wide Shut è uomo della contemporaneità, il poeta della super divina Commedia è uomo del Medioevo. Le epoche sono reciprocamente molto distanti e c’è tutto un progresso scientifico, culturale e politico di mezzo fino all’epoca attuale. Entrambi gli artisti però, nel riconoscimento del limite nella gestione del sesso, sono concordi. Quali uomini universali che superano tutti i tempi e i luoghi, essi non considerano positivamente il sesso sfrenato, estremo, e credo abbiano ragione: la sfrenatezza istintuale nel sesso, da qualsiasi punto di vista la si consideri, non potrà mai essere un valore, in nessun tempo, in nessuna società, ossia non potrà mai essere motore di progresso qualsiasi, ma solo di eventuale decadenza.

Immagine: 24orenews.it/

Diamo qualche dettaglio a possibile giustificazione del giudizio testé espresso, come è sempre necessario quando si esprimono giudizi, opinioni.

Nel film Eyes Wide Shut, il grande regista Stanley Kubrick, tra il molto altro – si tratta di un messaggio filmico non superficiale, bensì articolatissimo e profondo – mette in relazione il sesso sfrenato e scollegato dalla sfera del sentimento con una possibile maggiore disponibilità alla violenza ideologica e pratica fino a condurre all’omicidio senza che si abbia nessuno scrupolo. Certo, si uccide anche senza la sfrenatezza nel sesso – Kubrick nel film non fa soverchia differenza neanche tra le fantasie estreme e le applicazioni concrete delle stesse –, ma non è questa una riflessione su altro che tolga il senso del limite, qui l’argomento è la considerazione della sessualità, divenuta così importante attualmente anche stando alle Raccomandazioni nonché Regolamenti e Direttive, Leggi emanate dall’Unione Europea. Tuttavia è altrettanto certo che sia una caratteristica primaria della sessualità, data la sua centralità niente meno che per la perpetuazione della specie, la capacità di suscitare sensazioni di potenza soprattutto o anche solo nei maschi a fronte della loro specifica natura, producendo utili stimolazioni a nobili gesta. Tali stimolazioni al contrario, in presenza di una sessualità fuori controllo, possono agevolare nell’individuo il sorgere di consce e inconsce illusioni, anche estreme, di potenza – appunto illusioni – che per così dire non stanno chiuse nei circuiti deputati alla sessualità, ma escono e danno la loro colorazione sfrenata ad altri comportamenti, precipuamente a comportamenti di violenza esaltandoli. In altri termini: l’assenza di limite, l’assenza di freni, la penosa e patetica credenza di poter fare qualsiasi cosa dovuta all’illusione che dà la potenza sessuale, ovviamente in negativo – per il positivo ci vuole ben altro che l’illusione di potenza generata dall’istintualità sfrenata – possono contribuire a portare in rovina gli individui e alla lunga con essi la società in cui operano. Allora si deve limitare o magari conculcare la libertà sessuale? Assolutamente no, essa va caso mai maggiormente rispettata e comunque non avversata, ma questo è altro tema per ulteriori riflessioni. Solo che in una democrazia che voglia progredire verso l’alto, non verso il basso come è andata viepiù cadendo dai suoi inizi nel dopoguerra europeo, non ci può e non ci deve più essere posto per la sfrenatezza istintuale, bensì si deve far posto, ampio posto ai doveri, veri doveri, quelli che impongono l’esercizio della disciplina, per tutti, maschi e femmine, doveri che le illusioni di potenza fuori range possono contrastare. Sono idee vecchie? No, basta vedere in che stato è la società attualmente, in generale. Sono idee da considerare, nessuno obbliga alla condivisione. Non ha detto il nostro grande italiano Leonardo da Vinci che ‘Impedimento non mi piega. Ogni impedimento è distrutto dal rigore. Destinato rigore. Ostinato rigore. Non si volta chi è a stella fisso’? Non si deve per questo diventare come lui, magari si potesse con un po’ di disciplina, ma condivido in pieno che serva tuttavia il rigore, l’unico che dà vera sensazione di potenza, non illusione di potenza, l’unico che dà la possibilità di sperimentare il piacere di essere davvero potenti e non poco. Anche il sesso pertanto, pur giustamente libero nelle scelte, va tenuto sotto controllo, senza che prenda il sopravvento sulla personalità, nella mente degli individui stimolandoli ad azioni non nobili.

Venendo ora al nostro Dante, all’italiano Dante, nel V Canto dell’Inferno il sommo poeta cita Semiramide – lasciamo perdere la storicità o la leggendarietà della stessa, qui ci interessa solo l’opinione dantesca in merito alla sessualità sfrenata – Che a vizio di lussuria fu sì rotta,/che libito fé licito in sua legge. La sua sfrenatezza nella sessualità le fece cambiare le leggi nel suo Paese. Era stato permesso quindi  legalmente a tutto il popolo di contravvenire a ogni limite nella gestione della sessualità, così che non fosse più una vergogna solo della Regina.

Prendiamo per concludere l’esempio di un Paese avanzatissimo, la Germania, libero, democratico e faro della libertà, un Paese dove è legale, tra l’altro e se non ho capito male (La Repubblica, dicembre 2020), fare sesso nudi a Berlino e altrove, ovunque capiti nei luoghi pubblici – chiedo scusa, ma mi sovviene l’involontaria associazione alla legalità introdotta dalla dantesca Semiramide. Questo non sorprende nessuno in Germania e non so se anche già altrove non sorprenda nessuno e sia bene accolta tale legalità. Giustamente, perché ognuno a casa propria fa quello che vuole, ovviamente nella legalità e in Germania la legalità c’è. Ritengo comunque che il sesso libero nei luoghi pubblici, per fare appunto solo un esempio conclusivo, appartenga alle forme dell’istintualità sfrenata, quella che quando prende il sopravvento porta danno e nessun vantaggio. È proprio utile e così indispensabile a una democrazia che voglia e debba andare verso l’alto fare sesso nudi nei luoghi pubblici? Ritengo senz’altro secondo la mia opinione di cittadina italiana ed europea, che sia utile, sempre che si voglia fare dell’uomo una bestia completa, più esattamente: sempre che si voglia per qualche motivo tornare nel più semplice dei modi e di gran carriera allo stato bestiale di un’umanità appartenente all’Ordine dei Primati, la libertà sessuale intesa come mancanza di limite, l’istintualità sfrenata dimentica del sentimento lo possono ottenere molto velocemente in qualità di modello per i giovani e anche per i vecchi – in discesa si va forte anche se si rischia di rompersi l’osso del collo, la salita è faticosa. E se avesse ragione il detto di Bartali, il campione ciclistico secondo cui l’è tutto da rifare? E se qualcuno riflettesse più profondamente e con cognizione di causa sul messaggio di Kubrick e di Dante a proposito del controllo della sessualità pur libera ovviamente, per non parlare di Leonardo da Vinci e del suo magnifico, straordinario e sovrano elogio del rigore? Non si rifarebbe tutto come avrebbe voluto Bartali, ma si comincerebbe almeno con qualcosa, per altro con qualcosa di molto più importante per la personalità degli umani di quanto si possa credere, come è stato accennato più sopra. Forse non è ancora troppo tardi, detto senza nessuna illusione di potenza. E se ad esempio la Germania volesse continuare, come è suo totale e inviolabile diritto sovrano a casa sua, con le leggi su accennate e tante altre? Benissimo, basta che non le imponga ad altri che magari non le vogliono a casa loro.

                                                                              Rita Mascialino




 



mercoledì 7 agosto 2024

 Rita Mascialino, Identità di grammaticale di genere e identità dell'essere umano

Partendo dal punto di vista democratico secondo il quale ognuno ha diritto di scegliersi un sesso diverso da quello somatico sul piano psicologico, anche diritto di mutare il sesso somatico stesso in base a terapie e operazioni chirurgiche, partendo da ciò viene difficile accettare la confusione che ne è sorta a proposito dei generi grammaticali nell’Unione Europea. Come conseguenza del cambio di sesso sul piano psicologico, sembra che ci siano molti problemi sull’uso del genere maschile o femminile per l’identificazione anagrafica, tanto più che tale genere può essere alternato in base ai desideri del momento per così dire, anche in seno ad una stessa giornata come nel genere oggi cosiddetto fluido. Quale soluzione del problema grammaticale che è derivato da tutto ciò, pare che il maschile e il femminile non potranno più esistere nei documenti, bensì potrebbero essere sostituiti da un asterisco in luogo delle desinenze discriminanti o per tutti gli esseri umani in differenziatamente, a parte ulteriori modifiche che si possono prevedere vista l’incertezza delle ipotesi sul tema dei generi ad esempio secondo le indicazioni proposte o emanate di volta in volta dai pensatori dell’UE, i quali non sono ancora riusciti a uscire dall’impasse, trovando una soluzione logica sul piano orale e scritto.

Studio Fotografico Valentina Venier - Udine, Via grazzano 38

Mi occuperei in questa riflessione principalmente della presenza eventuale di un asterisco che nasconda il genere dell’individuo, del cittadino in democrazia per rispetto della Privacy, come è stato proposto dall’Unione Europea. Tutto ciò con difficoltà e complicazioni – non complessità – relative agli appellativi illocutivi nell’uso comune per le persone quando ci si vuole appunto rivolgere ad esse – tipo signore o signora, per far un solo esempio –, questo perché colui o colei o coloro dotato o dotata o dotati e dotate di un sesso psicologico diverso da quanto usualmente creduto in base al sesso somatico, potrebbe o potrebbero sentirsi, per altro giustamente, offeso offesa offesi offese o discriminato discriminata discriminati discriminate ingiustamente. Si vedono immediatamente gli appesantimenti e le prolissità burocratiche del caso. Gli asterischi eviterebbero la prolissità, ma non l’accumulo costante degli asterischi stessi e porterebbero nel tempo a cambiamenti linguistici di perdita di differenziazioni come già ad esempio  l’inglese ne mostra di suo in una semplificazione che non appartiene alla personalità latino-italiana e che quindi, nella fattispecie, produrrebbe, forse, qualche stravolgimento identitario non proprio positivo su cui  si potrebbe riflettere in altra sede – i popoli non sono tutti uguali e non lo devono obbligatoriamente diventare.

C’è da chiedersi per primo a proposito degli appellativi e dei documenti, delle lettere e dei certificati e di tutto il resto di analogo: perché si deve nascondere il proprio sesso somatico o genetico? La risposta appare semplice quanto circolare: perché si vuole avere un sesso diverso e il permanere di quello somatico nella grammatica del linguaggio sarebbe sentito come una non accettazione della propria scelta diversa, ossia ci si sentirebbe come persone diverse, prive della cittadinanza per così dire. Ma per fare un esempio celebre: Giulio Cesare era soprannominato il marito di tutte le mogli  e la moglie di tutti i mariti e questo non lo disturbava minimamente, almeno all’apparenza, era un maschio forte, tanto forte e non gliene poteva importare di meno delle prese in giro – oggi assolutamente e giustissimamente vietate – per le sue scelte etero e omo di cui non faceva nessun mistero secondo l’occasione. Per altro le nozze tra gay pare fossero all’epoca consentite per quanto si verificassero molto raramente e solo tra maschi. Certo, Giulio Cesare era, detto con una diafora, Giulio Cesare, un grande uomo, scrittore e audace guerriero, nonché politico a Roma, ma, in ogni caso, credo si debba produrre qualche soluzione migliore di quella relativa al nascondimento dei generi, agli asterischi o altro di simile. 

Ma allora, che cosa proporrei io stessa? Molto difficile a idearsi, ci pensano già, come accennato, autorevoli pensatori e pensatrici al Consiglio Europeo senza trovare soluzioni soddisfacenti che non rechino danno a nessuno e che non aumentino lo stato confusionale. Se tuttavia dovessi esprimermi, io lascerei, grammaticalmente in tutti i documenti, il genere rappresentato somaticamente – o geneticamente – con l’aggiunta ‘detta’ e nome maschile per una donna e ‘detto’ con nome femminile per un maschio, ponendo una fine che valuto del tutto decorosa per chiunque alla quaestio riguardante i generi grammaticali che pare presentarsi come infinita, non risolvibile, soprattutto non risolvibile dando la validità assoluta a preferenze psicologiche che possono variare dando luogo a una giostra assurda delle identità. Ribadendo: direi di lasciar valere i generi somatici e genetici con l’aggiunta dei nuovi nomi nei documenti anagrafici e di qualsiasi tipo, questo per non creare disfunzioni burocratiche e a nessun livello per nessuno e in perfetta trasparenza e diritto di ciascuno.

Ritengo davvero poco accettabile la rivoluzione linguistica grammaticale a proposito dei generi, io non vorrei mai avere un asterisco in luogo della mia identità di genere che è quella di una donna, mi sentirei defraudata di parte essenziale dell’identità, del riconoscimento della mia identità somatica a prescindere da quella psicologica visto che la potrei avere senza nasconderla, ossia se ne avessi un’altra diversa sul piano psicologico io personalmente rinuncerei anche al ‘detta’ con nome maschile perché non me ne potrebbe importare di meno, ma appunto questo fa parte della mia personalità che non deve coinvolgere la personalità di tutti, ci mancherebbe. In ogni caso non mi andrebbe bene di nascondermi dietro un asterisco – ciò che non accetterei mai a prescindere da qualsiasi legge in merito –, troppo forte è in me il senso della più compatta identità personale pur comprensiva delle possibili e più varie sfumature identitarie, sono Rita Mascialino e come tale voglio essere riconosciuta a prescindere da eventuali possibili varietà psicologiche che posso avere come è nella norma delle cose in fatto di identità di genere. In ogni caso accetterei al massimo, se avessi una doppia identità di tipo sessuale e di personalità corrispondente che non ho, il nome di genere diverso come ‘detta’ con nome maschile scelto una volta per tutte, con buona pace della morfologia.

Non mi occupo qui del problema della scelta del sesso psicologico alle elementari o alle medie, quando la fanciullezza e la preadolescenza possono giocare scherzi notevoli al proposito, appunto non me ne occupo in questa riflessione in cui mi sono occupata della semantica grammaticale di genere estesa ai documenti, agli appellativi illocutivi e ai nomi aggiunti con il ‘detto’ e ‘detta’, semantica degli asterischi e dei nascondimenti da me assolutamente rifiutata su base del pensiero oggettivamente democratico e logico. In un’epoca di trasparenza, almeno dichiarata e richiesta in ogni settore, proprio il nascondimento dell’identità sessuale, somatica o genetica e di conseguenza anagrafica, ritengo sia, anzi debba essere inaccettabile a tutti i livelli.

Per altro, nella fattispecie, c’è tuttavia un problema non da poco da tenere presente: la situazione generale di non comprensione della semantica relativa al concetto e termine diritto. Nessuno toglie alle persone il sacrosanto diritto di sentirsi uomini o donne a prescindere dal loro sesso somatico o genetico e a essere riconosciuti come preferiscano, ma questo diritto non può causare possibili disfunzioni pratiche e concettuali, danni dovuti alla confusione possibile nella società, danni nella cultura umana che potrebbe così venire sottoposta, sottilmente e subliminalmente, a un trattamento di globalizzazione di genere a livello micro- e macroscopico degli individui e dei popoli deprivati in parte, nel tempo medio, del senso unitario dato da una forte e unica identità – non tutti sono Giulio Cesare –, la quale a me pare un buon mezzo per rafforzare e non per indebolire la salute mentale di ciascuno. Inoltre non riesco a evitare di ritenere che dando questo tipo di cosiddetta libertà sessuale agli individui, si dia loro un giocattolo adatto a soddisfarli e a fare perdere tempo, prezioso tempo, ciò portando via troppo spazio a interessi, mi si conceda, ben più validi che asterischi o fluidità di genere. L’identità sessuale è una composizione di sfumature in varie proporzioni nella quale una prevale sulle altre – lasciando perdere qui ogni approfondimento della questione del prevalere nell’ambito –, non è mai né può essere mai del tutto unitaria psicologicamente e questo è un dato di fatto, consciamente o inconsciamente presente, in tutti, ma ciò non può rischiare di diventare il diversivo per eccellenza, un po’come il cibo che, se assunto a volontà, dà una soddisfazione che copre magari tutte le altre possibili o molte altre possibili soddisfazioni, più interessanti e utili al progresso del singolo e dell’umanità. Per chiarire: non solo il cibo, ma anche il sesso divenuto gioco dominante – lasciando qui stare tutti gli altri giochi possibili – può indebolire il desiderio di foscoliane ‘egregie cose’ attraverso una falsa soddisfazione onnivalente e a buon mercato, molto a buon mercato, così che terribilmente il gioco con il sesso e con le illusioni a questo collegate sprechi o smorzi le forze migliori di ciascuno. Si tratta di priorità e credo che le foscoliane ‘egregie cose’, come tensione ad esse ed eventuali realizzazioni, debbano avere la priorità per il bene di tutti, per un senso più alto di democrazia e di progresso nel contesto di diritti e di doveri.

Per concludere: meglio dell’inaccettabile asterisco che nasconde, ben vengano ‘detto’ e ‘detta’ nei documenti, come più sopra, così che sia tutto trasparente e onorevole, alla luce del sole e non oscurato assurdamente aumentando la confusione e l’equivoco identitario.

                                                                                                                   RITA MASCIALINO

Mascialino, R., (4) Riflessioni sulla Tesi di Laurea di Liviana Chiolo ‘Pinocchio tra palco e pellicola’: il capitolo 1.2 

Rita Mascialino, Riflessione 4

Introduzione alle Riflessioni da parte di Liviana Filippina Cava Chiolo: 

‘In sinergia con la Dr.ssa Rita Mascialino, a seguito di un'idea frutto di una corrispondenza letteraria, seguirà un corpus costituito da una serie di riflessioni e approfondimenti incentrati sulla mia Tesi di Laurea, dal titolo 'Pinocchio, tra palco e pellicola'. Ogni settimana, circa, verrà pubblicato una notazione che metterà in rilievo una caratteristica fisica o caratteriale di uno dei personaggi dell'opera in questione; un ambiente o una determinata scena, che porteranno alla luce il vero significato semantico dell'opera di Collodi. Una fiaba che contiene al suo interno un universo incommensurabile di significati.’ (Tesi di Laurea ‘Pinocchio tra palco e pellicola’ di Liviana Filippina Cava Chiolo - Anno Accademico 2021/22, Università degli Studi di Catania DISUM Dipartimento di Scienze Umanistiche, Relatrice Chiar.ma Prof.ssa Simona Agnese Scattina)

“Scrive Liviana Chiolo nella sua Tesi (33):

‘(…) A tutti è noto che Geppetto vuole fare del figlio burattino un pagliaccio con determinate caratteristiche che gli consentono, appunto, di trarne profitto. Egli afferma nel secondo capitolo del racconto che desidera costruire: «un burattino meraviglioso che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino». Questo progetto apparentemente innocuo – posto in primo piano nel testo – fa sembrare ai nostri occhi Geppetto il buono e Pinocchio il cattivo ma in realtà nasconde al suo interno la verità più triste e amara. Facendo Geppetto, sul piano metaforico, un burattino del suo figlio adottivo, lo pone in una condizione di una doppia inferiorità rispetto agli altri ragazzi, doveva farne caso mai un ragazzino per bene, ma non lo ha fatto e nel saggio della Mascialino emerge come tutto ciò che di buono riesce a fare lo svantaggiato burattino è merito solo del suo cuore generoso che ha da sempre, prima di subire l’educazione o la diseducazione cui lo sottoporrà Geppetto e come la redenzione di sé e del padre è dovuta solo al suo buon cuore che mai perde in tutte le sue disavventure  (…)’

                                                                                              

Liviana Filippina Cava Chiolo fotografata con la famiglia nel giorno della sua Laurea

 

Per bere il bicchiere di vino, dice Geppetto, e per guadagnarsi da vivere grazie al pagliaccio o burattino o saltimbanco per come vuole addestrare Pinocchio, tutto ciò espresso, come ben sottolinea la Chiolo nella sua Tesi, nel particolare stile di Collodi che “fa sembrare ai nostri occhi Geppetto il buono e Pinocchio il cattivo, ma in realtà nasconde al suo interno la verità più triste e amara” (33). In questa Riflessione approfonditiva vorrei soffermarmi ancora sull’alcolismo del padre putativo di Pinocchio aggiungendo un chiarimento alla prima comparsa della Fata Turchina mimetizzata sotto mentite spoglie, come vedremo. Dunque il personaggio Geppetto, adombrato implicitamente in Mastr’Antonio, è un alcolizzato che ha come compagno di sbornie nella sua vita solitaria solo il suo inconscio, il suo profondo, ossia Maestro Ciliegia, il suo doppio dal naso paonazzo tipico dell’alcolizzato, come il soprannome evidenzia sia in una divertente e allegra rappresentazione per bambini, sia in una tremenda allusione indirizzata ai grandi, ben diversa da qualsiasi gioco per piccoli, questo nello stile tipico di Collodi che nasconde ai piccoli e rivela ai grandi, anche questo molto esattamente evidenziato dalla Chiolo come nella citazione di cui sopra – chiariremo in altre Riflessioni il buon cuore di Pinocchio.  Pertanto, riflettendo, vediamo come siano presenti i due personaggi di Geppetto adombrato in Mastr’Antonio, il suo doppio a livello profondo, e del pezzo di legno parlante che ancora non si chiama Pinocchio, ossia anch’esso non è presentato nella sua completa identità. Sembrerebbe che mancasse la Fata Turchina. Al contrario, è presente anch’essa, basta analizzare il testo nella sua semantica per così dire coperta, implicita, allusiva. La troviamo alla fine del capitolo associata tremendamente alla punta del naso di Mastr’Antonio-Ciliegia-Geppetto che da paonazza diventa turchina. Essa è prefigurata implicitamente non solo nell’aggettivo “turchina” che sarà il suo segno identitario in tutto il racconto, ma anche in altro, come Collodi sottolinea a chiarimento per chi non associasse il colore alla Fata. Alla fine del primo capitolo del racconto sta una particolare configurazione tipografica che spezza il termine diventata andando a capo alla fine del rigo con  diven- e ponendo all’inizio del rigo successivo tata. Dividendo “diven”- alla fine del rigo e “tata” all’inizio del rigo successivo si vengono a trovare vicini “tata turchina”, ciò con cui la consonanza o assonanza con Fata Turchina non potrebbe essere maggiore e più evidente. La “tata turchina”, associata alla Fata, e quasi mamma del futuro Pinocchio, al naso paonazzo di un alcolizzato fa della Fata Turchina la compagna di un bevitore estremo, di un beone, ciò che colora essa stessa di paonazzo, di turchino. Questo si evince dall’analisi del testo di Collodi, che avrebbe potuto evitare nella sua revisione della bozza da pubblicare le figure di suono della consonanza e assonanza nella separazione del termine citato, se non ne avesse voluto l’effetto. È impossibile che Collodi, espertissimo in giochi di parole quale era e noto per questo, non si sia accorto di tale assonanza per così dire visibile, assonanza creata appositamente. La Fata era anch’essa una beona? Certamente no, viene associata però nel testo di Collodi molto corrosivamente – e inequivocabilmente – a un beone come sua possibile compagna e, se non come mamma, tuttavia come futura facente funzione di mamma per Pinocchio. Così i protagonisti del racconto: Maestro Ciliegia-Mastr’Antonio-Geppetto, Pezzo di Legno Parlante, Fata Turchina, appaiono mascherati nel primo capitolo in un capolavoro espressivo di Collodi, ben diversamente dalla prassi esegetica consueta, tradizionale.” 



Liviana Filippina Cava Chiolo fotografata con la famiglia nel giorno della sua Laurea





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giovedì 25 luglio 2024

Mascialino, R., (3) Riflessioni sulla Tesi di Laurea di Liviana Chiolo ‘Pinocchio tra palco e pellicola’: il capitolo 3.5. Riflessione N. 3

Introduzione alle Riflessioni da parte di Liviana Filippina Cava Chiolo:

‘In sinergia con la Dr.ssa Rita Mascialino, a seguito di un'idea frutto di una corrispondenza letteraria, seguirà un corpus costituito da una serie di riflessioni e approfondimenti incentrati sulla mia Tesi di Laurea, dal titolo 'Pinocchio, tra palco e pellicola'. Ogni settimana, circa, verrà pubblicato una notazione che metterà in rilievo una caratteristica fisica o caratteriale di uno dei personaggi dell'opera in questione; un ambiente o una determinata scena, che porteranno alla luce il vero significato semantico dell'opera di Collodi. Una fiaba che contiene al suo interno un universo incommensurabile di significati.’ (Tesi di Laurea ‘Pinocchio tra palco e pellicola’ di Liviana Filippina Cava Chiolo - Anno Accademico 2021/22, Università degli Studi di Catania DISUM Dipartimento di Scienze Umanistiche, Relatrice Chiar.ma Prof.ssa Simona Agnese Scattina)


“Su Mastr’Antonio e Geppetto le Riflessioni non sono terminate con le due precedenti, ne verranno pubblicate diverse altre nel ‘corpus’ per ulteriori particolari rilevanti senza che ci sia propriamente la finalità di chiudere il discorso sui due personaggi o su qualsiasi altro personaggio e argomento, ciò che sarebbe per altro contrario al concetto stesso del riflettere e all’ambito esegetico stesso in sé che permette infiniti approfondimenti. In questa terza Riflessione cito un pezzo della Tesi di Liviana Filippina Cava Chiolo relativo alla Fata Turchina come sta nel Capitolo n. 3.5 dedicato al dramma in tre Atti ‘Profondo Pinocchio’ (Mascialino 2006):

118-119
'(…) Il monologo finale di Pinocchio ragazzo riconosce, con intensa commozione, di dovere la sua trasformazione in ragazzo per bene – non più l’impossibile burattino per bene che avrebbe voluto fare di lui il padre – proprio al burattino che era in lui, non c’è nessun riferimento a quanto hanno fatto per lui il padre Geppetto, né la Fata Turchina, che nell’opera di Collodi svanisce esattamente come svaniscono i sogni -Geppetto resta nel bene o nel male, mentre la Fata non è stata altro che il sogno di Pinocchio nella notte più turchina, un sogno e null’altro. Da Mastr’Antonio-Geppetto ha ricevuto i più negativi insegnamenti ed è solo grazie al Suo buon cuore che si è salvato. Alla fine Pinocchio è davvero l’eroe della diversità, un Pinocchio profondamente innovato sul piano puramente esegetico relativo al testo di Collodi: da discolo impenitente a ragazzo responsabile che deve al burattino del suo passato la sua nuova vita. Una riscrittura, ‘Profondo pinocchio’, che porta con sé una storia diversa di Pinocchio, una storia aderente al significato ‘profondo’ appunto del messaggio espresso da Collodi (…)'

Liviana Chiolo ha colto ed espresso esattamente come la figura della Fata Turchina sia figura del sogno di Pinocchio di avere una madre che manca all’interno del nel testo di Collodi – la Fata e le figure femminili, in cui Pinocchio si illude di volta in volta di riconoscere la sua Fata, dichiarano sempre che avrebbero funto da madre per il burattino, ma che in realtà non sono la sua mamma. Anzi, sullo scoglio – di marmo bianco, evocante per altro qualcosa di simile alla spazialità di una lapide funebre, ricordiamo al proposito che la Fatina bambina aveva il volto ‘bianco’ in quanto era morta nella prima breve versione del racconto –, sullo scoglio dunque in mare aperto il povero Pinocchio abbandonato da tutti crede di riconoscere la Fatina in una ‘bella caprettina’ dal vello turchino che lo vorrebbe aiutare. Ma la capretta gli parla tuttavia ‘belando’ come non evita di chiarire Geppetto: la bella capretta è solo una bella capretta che parla belando, ossia che non esce dal suo stato reale di animale qualsiasi trasformato in epifania della Fata Turchina dal desiderio appassionato di Pinocchio di avere un femminile come punto di riferimento per il suo cuore bambino. Proseguendo nella Riflessione approfonditiva: questa capretta viene descritta dapprima con diminutivi quali capretta e caprettina, nonché viene accompagnata da aggettivi quali bella e graziosa, che ne sfumano e addolciscono la natura. Nell’ultimo Capitolo del racconto però il Grillo parlante parla di lei come ‘graziosa capra’ – la capretta è ancora graziosa, ma è diventata una capra – e Pinocchio stesso subito dopo si riferisce ad essa come a una ‘capra’ tout court, senza più diminutivi né aggettivi edulcoranti. Siamo appunto nell’ultimo Capitolo, la parte in cui cadono in Pinocchio tutte le illusioni e resta invariato solo il suo cuore generoso. Nell’uso del termine ‘capra’ da parte di Pinocchio è caduta l’ultima grande illusione sulla presenza di una possibile figura femminile facente funzione di madre e Collodi porta il suo personaggio immortale a riconoscere la verità: la realtà del suo abbandono da parte dei genitori e dei suoi possibili sostituti – sentiamo nel termine ‘capra’ il sarcasmo quasi offensivo di Collodi per l’illusione materna che Pinocchio sta perdendo del tutto. Come nella citazione della Chiolo, Geppetto è figura reale ‘nel bene e nel male’, ma la Fata manca come persona – le fate non esistono nel concreto – e compare ancora una volta solo nel sogno di Pinocchio, svelando così la sua vera natura di illusione dovuta al buon cuore di Pinocchio. Ciò nello stile di Collodi che rivela nascondendo e nasconde rivelando, che dà un colpo alla botte e uno al cerchio, rendendo così il suo racconto adatto ai bambini e dando agli adulti i mezzi per capire il ‘Profondo Pinocchio’ cui ha dedicato tutto se stesso.”
Rita Mascialino

 SULL’UNIONE EUROPEA: PERPLESSITÀ, SE È LECITO ESPRIMERLE

di Rita Mascialino


"L’Unione Europea non è formata da popoli parlanti nella grande maggioranza una sola lingua, ma da popoli parlanti lingue diverse e con una storia diversa alle spalle. Le poche perplessità che vorrei esprimere riguardo all’Unione non sono di ordine giuridico, per il quale non ho competenze sistematiche, bensì sono di ordine culturale. Si riferiscono soprattutto alle Raccomandazioni e ai Pareri, che vengono esternati e divulgati con frequenza periodica dai vertici europei, ma che non hanno valore di Leggi e non sono pertanto vincolanti.

Lascio quindi stare le Direttive, vincolanti, o Leggi Quadro relative ai principi programmatici di ordine generale dell’Unione, le quali devono comunque essere inserite nei codici di ciascun Paese entro termini stabiliti; i Regolamenti, vincolanti, che valgono in tutta l’Unione subito e direttamente all’emanazione; le Decisioni, vincolanti, specificamente relative a un singolo Stato o l’altro, a vari soggetti e anche a persone singole, anche senza l’esplicitazione di coloro cui vengano rivolte, Leggi con cui, anche se non entro nel merito come sopra, non concordo sempre. Quanto alle Raccomandazioni e ai Pareri, tali iniziative danno inevitabilmente al governo della UE – non interessano qui considerazioni riguardanti governi diversi – l’antica e non graditissima tonalità dei governi paternalistici, dei consigli del buon papà che ritenevo non dovessero mai più presentarsi all’orizzonte nei regimi democratici, post Seconda Guerra Mondiale - per altro un buon papà straniero che parla mi pare tedesco. I popoli, almeno quelli cosiddetti Occidentali, non sono più preilluministici e medioevali, bensì si sono guadagnati il diritto di essere ritenuti in grado di decidere, nell’osservanza delle Leggi, come meglio credono l’impostazione da dare alla propria vita nel proprio Paese, nel proprio territorio, devono pertanto essere liberi da raccomandazioni e pareri governativi per di più dato da Pesi stranieri, ossia divulgati dall’alto – bastano e avanzano le Leggi che ovviamente si possono democraticamente e in trasparenza cambiare in positivo quando giudicate non più consone ai tempi e alle esigenze dei popoli appunto. Per altro, se è vero che tali Raccomandazioni e Pareri non sono vincolanti, è altrettanto vero che abbiano comunque o possano avere, proprio perché non vincolanti, un enorme effetto di persuasione su tutti gli individui, sui popoli anche non europei, questo nell’era dei democratici social. Ciò pone il governo dell’Unione Europea sul piano di un influencer che, del tutto legittimo tra i social media in tutto il mondo, non lo è per niente da parte di un governo democratico. Anche altri governi non europei, democratici e non, danno consigli a destra e a manca, ma qui, ribadisco, mi riferisco al governo dell’Unione essendo io cittadina europea e avendone perciò diritto. Esempio, non unico ovviamente: il consiglio di non mangiare un cibo o l’altro perché nocivo alla salute, non è accettabile, tanto più che è assolutamente certo quanto poco possa interessare all’Unione Europea la salute dei suoi cittadini che non può salvare raccomandando un cibo o l’altro, ciò che assomiglia per altro più a un consiglio commerciale che sanitario. Ci sono guerre vicine e industrie anche europee, centrali tedesche a carbone che in previsione, pare, saranno, quasi certamente, chiuse secondo i programmi del governo tedesco e quanto divulga l’informazione giornalistica nel merito, se sarà possibile già con il 2030, le quali centrali inquinano e danneggiano ben più di una pizza o di un formaggio. In tutta questa poca coerenza la cosa certa è che le Raccomandazioni e i Pareri della UE possono servire come forte strumento di persuasione – non di convincimento, ciò che si propone in discussioni logiche sui fatti e sulle idee e non con consigli vari –, così da preparare comunque il più adatto humus mentale per l’accettazione di vere e proprie future leggi vincolanti. Mi piacerebbe da cittadina illuministica far parte di un’Unione Europea che lasciasse tale metodo di Raccomandazioni persuasive alle prediche dei Santi Padri, ciò che li riguarda direttamente come loro diritto di predicare ai popoli. Per chiarire: nell’UE ci sono singoli Stati con storia e lingue diverse che vogliono, come è loro diritto democratico, preservare proprie identità storiche, per così dire la propria personalità – l’Internazionalismo e la Globalizzazione sono belle cose quando restano a livelli accettabili, oltrepassando i quali possono non piacere a tutte le culture, democratiche e non, ciò per cui non ci deve essere nessuna forma di più o meno aperta imposizione al proposito. Nutro qualche perplessità non solo sulle Raccomandazioni e i Pareri che piovano dall’alto dei vertici europei, ma anche, come anticipato, sulla speciale natura dell’Unione. L’Unione Europea ha già avuto altri nomi nella sua lodevole ricerca di un’identità chiara e trasparente. Chissà come mai non è stata creata una Confederazione di Stati Sovrani, un’alleanza tra Stati Europei che conservassero ciascuno le proprie prerogative storiche identitarie pur osservando Leggi europee ad hoc sulla sicurezza, sulla difesa, su principi democratici inderogabili e trasparenti, altro. Sono un’appassionata delle reciproche diversità dei popoli prodotte e custodite dalle loro lingue e dalla loro storia, dalla loro cultura, le trovo una ricchezza insuperabile pur nell’inevitabile processo di globalizzazione in atto. Un processo che deve essere però contenuto e, ripeto, non deve livellare popoli diversi, parlanti lingue diverse e aventi storia diversa, identità diversa che secondo me, cittadina europea e fiera di questa cittadinanza democratica, deve essere protetta, certo non sul piano dell’isolazionismo, cosa per altro non solo non auspicabile, ma più o meno impossibile a realizzarsi oggi, tuttavia da mantenere senz’altro entro determinati limiti non valicabili, come un massimo valore. Chissà che non sia giunto il momento di pensare a una nuova forma da dare all’Unione a vantaggio di una maggiore chiarezza e trasparenza delle finalità e di una accettazione delle diverse identità dei popoli facenti parte di essa, delle diverse idee purché rientranti nell’ambito della democrazia. Se la democrazia viene imposta, non è più democrazia, ma dittatura più o meno mimetizzata, magari anche con raccomandazioni varie e questo non è senz’altro la natura dell’Unione che deve solo diventare a mio giudizio più democratica e trasparente ancora, questo per evitare futuri mali possibili, e magari cessare anche i paternalismi, insopportabili qualora gestiti da un Governo, lasciandoli a chi di dovere, ai Papi, per definizione padri dell’umanità.
Rita Mascialino

  Rita Mascialino ,  ‘Insieme falceremo il vento’: Poesie di Angioletta Masiero. Recensione. La silloge poetica Insieme falceremo il ven...