mercoledì 7 agosto 2024

Mascialino, R., (4) Riflessioni sulla Tesi di Laurea di Liviana Chiolo ‘Pinocchio tra palco e pellicola’: il capitolo 1.2 

Rita Mascialino, Riflessione 4

Introduzione alle Riflessioni da parte di Liviana Filippina Cava Chiolo: 

‘In sinergia con la Dr.ssa Rita Mascialino, a seguito di un'idea frutto di una corrispondenza letteraria, seguirà un corpus costituito da una serie di riflessioni e approfondimenti incentrati sulla mia Tesi di Laurea, dal titolo 'Pinocchio, tra palco e pellicola'. Ogni settimana, circa, verrà pubblicato una notazione che metterà in rilievo una caratteristica fisica o caratteriale di uno dei personaggi dell'opera in questione; un ambiente o una determinata scena, che porteranno alla luce il vero significato semantico dell'opera di Collodi. Una fiaba che contiene al suo interno un universo incommensurabile di significati.’ (Tesi di Laurea ‘Pinocchio tra palco e pellicola’ di Liviana Filippina Cava Chiolo - Anno Accademico 2021/22, Università degli Studi di Catania DISUM Dipartimento di Scienze Umanistiche, Relatrice Chiar.ma Prof.ssa Simona Agnese Scattina)

“Scrive Liviana Chiolo nella sua Tesi (33):

‘(…) A tutti è noto che Geppetto vuole fare del figlio burattino un pagliaccio con determinate caratteristiche che gli consentono, appunto, di trarne profitto. Egli afferma nel secondo capitolo del racconto che desidera costruire: «un burattino meraviglioso che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino». Questo progetto apparentemente innocuo – posto in primo piano nel testo – fa sembrare ai nostri occhi Geppetto il buono e Pinocchio il cattivo ma in realtà nasconde al suo interno la verità più triste e amara. Facendo Geppetto, sul piano metaforico, un burattino del suo figlio adottivo, lo pone in una condizione di una doppia inferiorità rispetto agli altri ragazzi, doveva farne caso mai un ragazzino per bene, ma non lo ha fatto e nel saggio della Mascialino emerge come tutto ciò che di buono riesce a fare lo svantaggiato burattino è merito solo del suo cuore generoso che ha da sempre, prima di subire l’educazione o la diseducazione cui lo sottoporrà Geppetto e come la redenzione di sé e del padre è dovuta solo al suo buon cuore che mai perde in tutte le sue disavventure  (…)’

                                                                                              

Liviana Filippina Cava Chiolo fotografata con la famiglia nel giorno della sua Laurea

 

Per bere il bicchiere di vino, dice Geppetto, e per guadagnarsi da vivere grazie al pagliaccio o burattino o saltimbanco per come vuole addestrare Pinocchio, tutto ciò espresso, come ben sottolinea la Chiolo nella sua Tesi, nel particolare stile di Collodi che “fa sembrare ai nostri occhi Geppetto il buono e Pinocchio il cattivo, ma in realtà nasconde al suo interno la verità più triste e amara” (33). In questa Riflessione approfonditiva vorrei soffermarmi ancora sull’alcolismo del padre putativo di Pinocchio aggiungendo un chiarimento alla prima comparsa della Fata Turchina mimetizzata sotto mentite spoglie, come vedremo. Dunque il personaggio Geppetto, adombrato implicitamente in Mastr’Antonio, è un alcolizzato che ha come compagno di sbornie nella sua vita solitaria solo il suo inconscio, il suo profondo, ossia Maestro Ciliegia, il suo doppio dal naso paonazzo tipico dell’alcolizzato, come il soprannome evidenzia sia in una divertente e allegra rappresentazione per bambini, sia in una tremenda allusione indirizzata ai grandi, ben diversa da qualsiasi gioco per piccoli, questo nello stile tipico di Collodi che nasconde ai piccoli e rivela ai grandi, anche questo molto esattamente evidenziato dalla Chiolo come nella citazione di cui sopra – chiariremo in altre Riflessioni il buon cuore di Pinocchio.  Pertanto, riflettendo, vediamo come siano presenti i due personaggi di Geppetto adombrato in Mastr’Antonio, il suo doppio a livello profondo, e del pezzo di legno parlante che ancora non si chiama Pinocchio, ossia anch’esso non è presentato nella sua completa identità. Sembrerebbe che mancasse la Fata Turchina. Al contrario, è presente anch’essa, basta analizzare il testo nella sua semantica per così dire coperta, implicita, allusiva. La troviamo alla fine del capitolo associata tremendamente alla punta del naso di Mastr’Antonio-Ciliegia-Geppetto che da paonazza diventa turchina. Essa è prefigurata implicitamente non solo nell’aggettivo “turchina” che sarà il suo segno identitario in tutto il racconto, ma anche in altro, come Collodi sottolinea a chiarimento per chi non associasse il colore alla Fata. Alla fine del primo capitolo del racconto sta una particolare configurazione tipografica che spezza il termine diventata andando a capo alla fine del rigo con  diven- e ponendo all’inizio del rigo successivo tata. Dividendo “diven”- alla fine del rigo e “tata” all’inizio del rigo successivo si vengono a trovare vicini “tata turchina”, ciò con cui la consonanza o assonanza con Fata Turchina non potrebbe essere maggiore e più evidente. La “tata turchina”, associata alla Fata, e quasi mamma del futuro Pinocchio, al naso paonazzo di un alcolizzato fa della Fata Turchina la compagna di un bevitore estremo, di un beone, ciò che colora essa stessa di paonazzo, di turchino. Questo si evince dall’analisi del testo di Collodi, che avrebbe potuto evitare nella sua revisione della bozza da pubblicare le figure di suono della consonanza e assonanza nella separazione del termine citato, se non ne avesse voluto l’effetto. È impossibile che Collodi, espertissimo in giochi di parole quale era e noto per questo, non si sia accorto di tale assonanza per così dire visibile, assonanza creata appositamente. La Fata era anch’essa una beona? Certamente no, viene associata però nel testo di Collodi molto corrosivamente – e inequivocabilmente – a un beone come sua possibile compagna e, se non come mamma, tuttavia come futura facente funzione di mamma per Pinocchio. Così i protagonisti del racconto: Maestro Ciliegia-Mastr’Antonio-Geppetto, Pezzo di Legno Parlante, Fata Turchina, appaiono mascherati nel primo capitolo in un capolavoro espressivo di Collodi, ben diversamente dalla prassi esegetica consueta, tradizionale.” 



Liviana Filippina Cava Chiolo fotografata con la famiglia nel giorno della sua Laurea





_________________________________



Nessun commento:

Posta un commento

  Rita Mascialino ,  ‘Insieme falceremo il vento’: Poesie di Angioletta Masiero. Recensione. La silloge poetica Insieme falceremo il ven...