sabato 29 giugno 2024

Mascialino, R., (1)Riflessioni sulla Tesi di Laurea di Liviana Chiolo ‘Pinocchio tra palco e pellicola’: il capitolo 3.5. Riflessione N. 1

Come ho già espresso in altri studi, la Tesi di Laurea di Liviana Filippina Cava Chiolo ‘Pinocchio tra palco e pellicola’ (2021/22), Università degli Studi di Catania DISUM), nella carrellata degli studi più importanti sul più celebre burattino del mondo come nella sua trattazione, pone l’accento sulla semantica dell’arte, sul significato dell’opera di cui si occupa. Si potrebbe pensare che questo sia del tutto usuale, che sia una norma delle interpretazioni relative alle opere d’arte, letterarie e visive tra le altre, ma non è affatto così – basta avere una memoria del grande Umanesimo come sorse in Italia e si diffuse poi in tutta Europa. In generale, tranne poche eccezioni che non hanno avuto troppo seguito per tanti motivi che adesso non si citano,  viene seguito da sempre il metodo esegetico della cosiddetta ‘libera interpretazione’, in cui l’interprete liberamente assegna il significato all’arte secondo le proprie idee soggettive,  non sottoposte a doverosa falsificazione e quindi verifica, arte che, di conseguenza, sarebbe priva di significato in sé e ne riceverebbe oltre che dalle idee soggettive degli studiosi soprattutto dal contesto storico, biografico, nella comparazione fra Autori, sempre liberamente interpretati. La Chiolo, con l’audacia dei giovani e l’assenso della Relatrice Chiar.ma Prof.ssa Simona Agnese Scattina, pone nella Sua ricerca accademica proprio il significato dell’arte al centro del fenomeno artistico. Riflettendo appunto, sarebbe davvero una novità inspiegabile che proprio l’arte fosse fenomeno privo di significato. Ciò non può essere, perché ogni fenomeno senza eccezioni significa in sé e l’uomo può cercare e cerca di capire il suo significato, i suoi effetti, le sue cause, la sua natura. E l’arte è il fenomeno più sconvolgente prodotto dalla mente umana.  


Vorrei qui in questo studio mettere, seppure molto brevemente, in rilievo alcune tra le interessanti asserzioni di Liviana Filippina Cava Chiolo relative a uno dei particolari con tenuti nella sua Tesi: il Capitolo 3.5
Dal dramma ‘Profondo Pinocchio’ di Rita Mascialino (Cleup Editrice Università di Padova 2006), superando oggettivamente l’ostacolo dato dal fatto che si  tratti di un’opera della scrivente condivise dall’analisi della Chiolo, nella sua Tesi, che offre ovviamente anche la trattazione approfondita di non poche altre opere di studiosi importanti nella letteratura esegetica dell’opera di Collodi. Seguiranno altre Riflessioni in ulteriori studi al proposito.

Dunque vorrei far seguire qui alcune riflessioni sul giudizio della Chiolo sul più che sinistro personaggio collodiano di Mastr’Antonio detto Ciliegia e Geppetto detto Polendina, due facce del medesimo personaggio come bene mette in rilievo la studiosa nella sua Tesi, nella fattispecie sugli esiti del metodo esegetico innovativo della Mascialino nell’osservazione del fenomeno artistico (111 e segg.):

“(…) Particolare attenzione viene data alla descrizione dei costumi e degli ambient, elementi essenziali per comprendere la psicologia dei personaggi. Si parte con la descrizione della casa di Mastr’Antonio la quale appare priva di luce perché è abitudine del vecchio falegname vivere al semi buio, per poi passare alla descrizione del suo abbigliamento: ‘è vestito di nero con toppe qui e là di varia tonalità di grigio scuro, pantaloni al ginocchio e scarpe pure nere’ e inoltre indossa una parrucca grigia tutta scomposta, un vecchio visibilmente in degrado, che nulla può se non tentare di sopprimere il pezzo di legno parlante sbattendolo al muro, incapace di dare spazio  nella sua vecchia casa a un a giovane vita. Da qui infatti le parole di rifiuto di Mastr’Antonio nei confronti di un’ipotetica vita da crescere ed educare (…)”

Ora nel dramma – e nel precedente saggio della scrivente sul quale è concepito il dramma stesso –, stando al testo di Collodi, il vecchio falegname vuole niente meno che uccidere il pezzo di legno che sospetta essere forse un bambino, spaccandolo contro il muro. Si tratta delle intenzioni omicidiarie di un vecchio che dobbiamo definire un assassino, sempre se ci atteniamo a quanto sta nella semantica del testo collodiano e siccome Mastr’Antonio è il doppio di Geppetto, il suo inconscio come nell’esegesi di Mascialino messa in evidenza da Chiolo, abbiamo un padre, per quanto inconscio e putativo, assassino, un padre che vorrebbe uccidere il piccolo per toglierselo d’attorno. Questo a livello inconscio, livello su cui sta il personaggio di Mastr’Antonio, per chiarire riflettendo: in una prima ideazione Collodi aveva creato un solo personaggio (Mascialino 2004: 21), Mastro Ciliegia detto Geppetto, così che il genitore adottivo di Pinocchio, nelle intenzioni consce e inconsce di Collodi era un padre, per quanto putativo, assassino del figlio. Successivamente, trattandosi di una fiaba per piccoli – oltre che per grandi come ebbe a dire l’Autore – sdoppiò tale terribile padre in due personaggi, indicando tuttavia senza equivoco e con insuperabile maestria letteraria come essi fossero il volto di un unico personaggio visto nel suo doppio profilo conscio e inconscio.

Afferma la Chiolo al proposito nella sua trattazione del Dramma (112), molto precisamente e con ammirevole competenza nell’uso dei termini tecnici letterari e psicologici, come si riscontra per altro in tutta la Tesi:

“(…) Il dialogo conflittuale tra Geppetto e Mastr’Antonio rappresenta l’incontro tra conscio e inconscio – tra lo spirito più giovanile e quello più rassegnato alla vita – che genera uno scontro fino a determinare la definitiva scomparsa di uno dei due. Infatti dopo che Geppetto ottiene il pezzo di legno lascia il vecchio nella sua casa cupa e lo rimuove completamente dalla sua vita (…)”

Adesso Mastr’Antonio non serve più e non comparirà mai più esplicitamente nella vicenda, salvo che stare chiuso nell’inconscio di Geppetto come incancellabile presenza oscura del personaggio che si ravvede poi, per quanto solo in parte – non dimentichiamo la presenza di Mastr’Antonio nel suo inconscio –, redenzione dovuta alla grande generosità del figlio adottivo, Pinocchio.

Come mai Collodi abbia avuto un’opinione così triste della paternità – per altro espressa in tutta la vicenda di Pinocchio e fino alla fine –, sarà oggetto di ulteriori Riflessioni sulla profonda Tesi di Liviana Filippina Cava Chiolo a proposito della sua trattazione del Saggio esegetico e del Dramma (Mascialino 2004-2006).

                                                                                                                    Rita Mascialino

Introduzione alle Riflessioni da parte di Liviana Filippina Cava Chiolo:

‘In sinergia con la Dr.ssa Rita Mascialino, a seguito di un'idea frutto di una corrispondenza letteraria, seguirà un corpus costituito da una serie di riflessioni e approfondimenti incentrati sulla mia Tesi di Laurea, dal titolo 'Pinocchio, tra palco e pellicola'. Ogni settimana, circa, verrà pubblicato una notazione che metterà in rilievo una caratteristica fisica o caratteriale di uno dei personaggi dell'opera in questione; un ambiente o una determinata scena, che porteranno alla luce il vero significato semantico dell'opera di Collodi. Una fiaba che contiene al suo interno un universo incommensurabile di significati.’ (Tesi di Laurea ‘Pinocchio tra palco e pellicola’ di Liviana Filippina Cava Chiolo - Anno Accademico 2021/22, Università degli Studi di Catania DISUM Dipartimento di Scienze Umanistiche, Relatrice Chiar.ma Prof.ssa Simona Agnese Scattina)


martedì 18 giugno 2024




"Vestigia dell’Impero di Carlo Magno nella struttura generale dell’Unione Europea”
di Rita Mascialino

“Le tracce del passato non sono facilmente estinguibili ed è interessante vedere come esse si ripresentino, sebbene spesso sotto inconsce mentite spoglie, ossia siano ancora o forse sempre attive secondo la storia dei popoli. Approfondendo globalmente – senza entrare in dettaglio – la struttura dell’Unione Europea dei popoli, balzano all’osservazione tracce dello scheletro profondo di detta Unione con l’organizzazione medioevale carolingia a piramide. Carlo Magno (742 (?)-814 Aachen, Aquisgrana, nel Rheinland-Westfalen, regione tedesca al confine tra l’altro con il Belgio), fu re dei Franchi, una delle stirpi germaniche, e imperatore dell’Impero Carolingio o Sacro Romano Impero (Roma, 800) e fu colui che strutturò più ampiamente e potentemente il sistema feudale, già presente nei concetti di ‘Ehre’ e ‘Treue’ verso il re, onore e fedeltà insuperabili, molto profondamente connotativi già della cultura germanica più antica. Ricordando lo scheletro dell’organizzazione sociopolitica dell’Alto Medioevo e detto per più che sommi capi: in scala gerarchica, i vassalli erano persone potenti, nobili o ecclesiastici, che giuravano fedeltà a nobili o prelati ancora più potenti di loro, in genere re o imperatori o alte cariche religiose in cambio di benefici materiali e privilegi; i valvassori, meno potenti, erano vassalli di vassalli e i valvassini, di scarso valore, erano vassalli di valvassori, tutti legati da vincoli di giuramenti in cui l’onore consisteva nel tener fede ai giuramenti di più o meno esplicita sudditanza. Restavano fuori da gerarchie di tal fatta i contadini e gli artigiani, infine veniva il popolo più diseredato ai limiti della sopravvivenza. Si trattava di un sistema sociopolitico che si reggeva su alleanze finalizzate a creare maggiore stabilità tra i vari regni, ducati, contee, marchesati, baronie e simili che, riuniti grazie ai vassallaggi sotto più potenti sovrani che elargivano privilegi e simili a coloro che si facevano vassalli e così via in una rete di alleanze e sudditanze di diverso rango, potevano forse resistere meglio al nemico: l’unione fa la forza, dice un vecchio o anche vecchissimo adagio pare derivato dal latino ‘viribus unitis’ e da altro. Tale sistema non democratico a base di preferenze e clientele fu abolito ufficialmente dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione Francese all’insegna del grande Maximilien de Robespierre. Ora non è cosa troppo ardua vedere che lo scheletro di tale sistema sociale e politico di antica origine e in auge soprattutto dall’Alto Medioevo con Carlo Magno, sopravviva ancora oggi nelle democrazie sebbene sbiadito, ma riconoscibile nella corrispondenza ai diversi livelli feudali. Facciamo un esempio analogico con la più democratica Unione Europea di popoli ovviamente tutt’altro che feudale, in cui si possono notare resti di vestigia medioevali nella strutturazione del potere democratico. Sempre riferendoci direttamente all’Unione Europea, il vertice, senza il quale nessun gruppo anche di due sole persone può funzionare, è costituito da presidenti eletti a rotazione democratica, non dinastica. Appare comunque evidente una certa foscoliana corrispondenza d’amorosi sensi tra Francia e Germania con la Francia vassalla privilegiata della più potente Germania, come andiamo a vedere per qualche particolare. Le tre lingue di lavoro o 'Arbeitssprachen' della Comunità Europea sono il francese, l’inglese e il tedesco, le lingue più importanti per così dire, quelle che si usano in tutte le circostanze di lavoro e di comunicazione; togliendo l’inglese, che è la lingua della comunicazione mondiale, restano appunto il francese e il tedesco. Va ricordato, opportunamente, che la madre dell’imperatore del Sacro Romano Impero, appunto il tedesco Carlo Magno, e moglie di Pipino il Breve, era Berthe de Laon, Alta Francia, celebre anche come Berthe au grand pied, Berta dal gran piede o dai gran piedi o anche, con il regolare accrescitivo della lingua italiana: la Piedona, alias Bertrada di Laon, appartenente alle altissime sfere di potere. Un Carlo Magno quindi a metà, per così dire genitorialmente, tra la Francia e la Germania, un po’ come l’attuale capitale dell’Unione Europea, Bruxelles, che è stata posta – in ricordo, non si sa se conscio o inconscio, comunque amorevole dei casati nell’Alto Medioevo e per senso di giustizia – proprio tra la Francia e la Germania, così come il cuore dell’antico imperatore Carlo Magno si divideva tra la madre e il padre, territorialmente tra la Francia e la Germania. Quanto all’Italia, malgrado la sua posizione geografica di cosiddetta signora del Mediterraneo e sede dell’incoronazione di Carlo Magno a imperatore avvenuta grazie a Papa Leone III a Roma, essa starebbe, ovviamente secondo le vestigia rinvenute di cui sopra, solo tra i meno importanti valvassini, sudditi dei valvassori e dei vassalli, in cambio non di privilegi o benefici più rilevanti, bensì di prestiti rilevanti da restituire all’Impero, come proprio oggi avviene con l'Unione Europea, sempre permanendo nelle vestigia in analogia con la struttura politico-sociale medioevale carolingia. Pare di fatto, che l’Unione Europea conceda prestiti, per così dire, a chi si comporti bene, ossia obbedisca fedelmente alle opinioni di chi conta di più, mi pare che più o meno siano sempre soprattutto i tedeschi a dare il là quali magnifici direttori di orchestre sinfoniche - i tedeschi eccellono nella composizione di musica sinfonica - , se non sbaglio ovviamente: ‘errare humanum est’, locuzione tratta in libera traduzione, ma comunque fedelissima nel significato, da Cicerone (Arpino 106 a.C.-Formia 43 a.C.) nelle celebri ‘Filippiche’ sferrate contro Marco Antonio nel 44. Certo, i legami di sangue sono più importanti di ogni altro tipo di legame, bisogna riconoscerlo, per cui noi possiamo – o non possiamo? – dire che i Romani sono i diretti avi degli italiani, per altro anche loro hanno avuto un grande Impero rafforzato da un sistema di Stati cosiddetti ‘clientes’, clienti – quasi come nel sistema feudale tedesco, si fa per dire. Forse le vestigia medioevali nell’Unione Europea possono riferirsi come loro antica origine proprio agli Stati clienti di Roma con cui hanno qualche analogia, magari un po’ sbiadita. Per aggiungere una ulteriore somiglianza tra Impero Carolingio Medioevale e struttura dell'Unione Europea: la sede dell'Impero di Carlo Magno era itinerante, la spostava secondo l'opportunità, così - sul piano dell'analogia - anche la sede del Consiglio, delle varie Commissioni e Delegazioni e quant'altro non si trovano solo a Bruxelles, ma anche a Lussemburgo, Strasburgo e altrove.
Chissà, le vestigia sono oggetto di ardue ricerche archeologiche, preistoriche e storiche, qui si è dato solo uno spunto per la riflessione critica. Anche l'Europa democratica può essere sottoposta, per
qualche aspetto, al giudizio dei cittadini come è criticabile culturalmente e storicamente anche l'operato dell'Imperatore Carlo Magno - che per altro pare sapesse leggere ed è sicuro che non sapesse scrivere -, il quale risolveva attraverso lo strumento della guerra ogni problema sorto con la dissidenza dei popoli, ma appunto: all'epoca si trattava di un Impero feudale con governo assolutistico, non di una democrazia che dispone di altri strumenti.
Per concludere il breve excursus, pare che l’Italia, del passato dell'Impero Romano, abbia conservato non più gli Stati clienti, bensì sia diventata essa stessa un cliente – o un valvassino, democratico si intende e sempre restando nell’ambito di possibili vestigia.”
RITA MASCIALINO



domenica 16 giugno 2024

 

 Mascialino, R.

(2024) Fabrizio Nicoletti, ‘Il cavallo neroRecensione. * * *

 

 Mascialino, R.

(2024) Fabrizio Nicoletti, ‘Il cavallo neroRecensione. * * *  

*Opera dal titolo Il cavallo nero a firma dell'Artista Fabrizio Nicoletti come omaggio a Franz Kafka su ispirazione riferita all’esegesi innovativa di Rita Mascialino (1996 e segg.) relativa alla metamorfosi in cavallo nero identificata nel racconto di Franz Kafka Der plötzliche Spaziergang (2012), La passeggiata improvvisa. 

*Recensione con immagine apparsa nella Rassegna 16 giugno 2024  del 'Premio Franz Kafka Italia ®' Edizioni 2024, www.franzkafkaitalia.it,  nel sito www.spazialitadinamica.it, nonché sulla Rivista Culturale cartacea e online OCEANONEWS (Bari BA), Direttore Vito Massimo Massa, Capo Redattore Maria Teresa Infante, giugno 2024. 

     


                                                                                                                      

 Fabrizio Nicoletti - Artista Esclusivo del 'Premio Franz Kafka Italia ®':

-Premio Franz Kafka Italia ®' all'Immaginazione XVII Ed. 2024.  

-Primo Premio al ‘Premio Franz Kafka Italia ®’ per il Disegno Artistico XVIII Ed. 2024.

"Il Disegno Artistico dell'Architetto Fabrizio Nicoletti intitolato Il cavallo nero, realizzato in stile surrealista con tecnica mista a carboncino, acquarello e tempera su cartoncino, evidenzia l’eccellente padronanza nelle due arti sia per la geometria dei tracciati, sia per la raffinata stesura delle sfumature cromatiche. L’opera si riferisce al celebre racconto di Franz Kafka Der plötzliche Spaziergang, La passeggiata improvvisa (1912) come omaggio dell'Artista a Kafka sulla base dell’esegesi innovativa del racconto da parte di Rita Mascialino (1996 e segg.) relativa all’identificazione della metamorfosi in cavallo nero implicita al testo kafkiano. La rappresentazione di tale metamorfosi nel passaggio dal testo di parole alla condensazione portata dall'immagine è interpretata con impatto artisticamente originale da Nicoletti: mentre in Kafka dominano le tenebre al punto che non si distinguono i contorni dell’animale che si sta ergendo nella sua vera forma dall’oscurità della notte attorno ad esso così che l’evento si verifica nel buio più totale – immagine kafkiana non riproducibile in un ambito visivo concreto e solo  per così dire di casa nell’ambito delle immagini mentali dove tutto è possibile –, nell’opera di Fabrizio Nicoletti è presente  uno sfondo bianco, riservando il nero alla imponente coda del morello e ai capelli di colui che si sta trasformando, quasi essi siano un gentile inizio di criniera. Di profonda risonanza semantico-emozionale risulta la scelta estetica di dare alla metamorfosi l’impronta della scomposizione angolata di eco cubista come essa avvenisse a pezzi  da armonizzare in linee morbide successivamente, particolarmente adatta ad esprimere il divenire faticoso di una fusione stilizzata  e simbolica tra umano e cavallino che allude con un tocco sinistro, seppure diversamente, all’atmosfera della metamorfosi che informa la tenebrosa ideazione dell’inconscio kafkiano che appare quasi come un buco nero dalla creatività che tutto ingoi  per poi ricreare la vita nell’arte. Tale kafkiana creatività si ripropone  elegantemente modificata in Nicoletti, ma non in modo da non poter essere riconosciuta nella sua matrice di riferimento, nella dinamica della metamorfosi nella parte centrale e posteriore del corpo tra l’umano e l’equino, nonché anche negli arti anteriori umani e già quasi cavallini, così che il simbolico animale pare essere in procinto di introiettare ormai quanto di umano resti.  A dare respiro a tale inquietante quanto emozionalmente molto suggestivo effetto estetico insito nel disegno di Fabrizio Nicoletti stanno le cromie degli azzurri e dei rosa portate dagli acquarelli in alto nello sfondo che si riferiscono a un’oscurità non totale, segno di ancoraggio ancora presente ai colori della vita non assorbiti o non assorbibili totalmente per l'Artista Nicoletti dall’oscurità per quanto foriera di estrema potenza creativa come nel completo titanismo kafkiano della metamorfosi in cavallo nero, la quale appunto in Nicoletti non abbandona del tutto sentimenti più umani.

Così nel complesso Disegno Artistico, dalla profonda semantica espressa in un'estetica finissima, di Fabrizio Nicoletti Il cavallo nero, di cui si sono esplicitati i poli più significativi riferiti comparativamente alla medesima metamorfosi in Kafka."

                                                                                                                        Rita Mascialino

Franz Kafka 1906 (Foto Alamy Stock)

 
10 febbraio 2024 - Studio Fotografico Valentina Venier - Udine


venerdì 14 giugno 2024

 PREMIO UILDM 'CRISTINA CAMPO', Presidente Angioletta Masiero, PREMIO ALLA CARRIERA conferito a Rita Mascialino l'8 giugno 2024, Celebrazione Sala Consiliare, Rovigo RO.


Angioletta Masiero (Polesella Rovigo)

La Fondatrice e Presidente del Premio ANGIOLETTA MASIERO, donna eccezionale di vasta cultura e di grosso impegno nella Lotta alla Distrofia Muscolare - è Presidente da quasi un trentennio della Sezione Provinciale UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) Rovigo (Sede Centrale Roma) ed è Referente per Telethon nella Ricerca per le malattie genetiche rare. Conduce Premi Letterari prestigiosi, conduce trasmissioni culturali televisive e radiofoniche tra cui la famosa Radio Blue. Tiene stabilmente conferenze e insegna Storia della Letteratura da decenni presso l'Università Popolare Polesana. È stata nominata dalla Commissione Pari Opportunità e Assessorato alla Cultura di Porto Viro ‘Donna Polesana che si è distinta nel settore artistico e letterario’. Ha ricevuto nel 2014 la Medaglia d’Argento per i trentacinque anni di fitta e importante attività giornalistica.  È stata inserita nel Catalogo dell’Accademia dei Concordi e dei Soroptimist di Rovigo ‘Donne Polesane Letterate Illustri dal 500 ai giorni nostri’. È Presidente dello storico circolo culturale ‘Gruppo Autori Polesani’. Angioletta Masiero è anche attiva nella lotta contro la violenza sulle donne, dove si prodiga per formare la più giusta disposizione nel rapporto fra i generi. Come completamento della sua attività culturale ha studiato dizione e recitazione con il Maestro e noto attore teatrale Giorgio Albertazzi, è sceneggiatrice e regista teatrale ed è attrice e voce recitante in contesti letterari, in primis poetici e teatrali. È tra i Soci Fondatori di varie Associazioni culturali importanti. È molto molto altro. Nella sua profonda umanità tiene costanti incontri e corsi nelle scuole per avvicinare i giovani al grande tema della disabilità con la finalità precipua di diffondere conoscenza scientifica delle citate malattie e solidarietà sociale verso i diversamente abili.
Un grande ringraziamento alla Presidente per il prestigioso Premio alla Carriera ricevuto e per la importante Motivazione. Grazie Presidente!
Rita Mascialino

mercoledì 12 giugno 2024

Rita MascialinoIdentità grammaticale di genere e identità dell'essere umano 


Partendo dal punto di vista democratico secondo il quale ognuno ha diritto di scegliersi un sesso diverso da quello somatico sul piano psicologico, anche diritto di mutare il sesso somatico stesso in base a terapie e operazioni chirurgiche, partendo da ciò viene difficile accettare la confusione che ne è sorta a proposito dei generi grammaticali nell’Unione Europea. Come conseguenza del cambio di sesso sul piano psicologico, sembra che ci siano molti problemi sull’uso del genere maschile o femminile per l’identificazione anagrafica, tanto più che tale genere può essere alternato in base ai desideri del momento per così dire, anche in seno ad una stessa giornata come nel genere oggi cosiddetto fluido. Quale soluzione del problema grammaticale che è derivato da tutto ciò, pare che il maschile e il femminile non potranno più esistere nei documenti, bensì potrebbero essere sostituiti da un asterisco in luogo delle desinenze discriminanti o per tutti gli esseri umani in differenziatamente, a parte ulteriori modifiche che si possono prevedere vista l’incertezza delle ipotesi sul tema dei generi ad esempio secondo le indicazioni proposte o emanate di volta in volta dai pensatori dell’UE, i quali non sono ancora riusciti a uscire dall’impasse, trovando una soluzione logica sul piano orale e scritto.

Mi occuperei in questa riflessione principalmente della presenza eventuale di un asterisco che nasconda il genere dell’individuo, del cittadino in democrazia per rispetto della Privacy, come è stato proposto dall’Unione Europea. Tutto ciò con difficoltà e complicazioni – non complessità – relative agli appellativi illocutivi nell’uso comune per le persone quando ci si vuole appunto rivolgere ad esse – tipo signore o signora, per far un solo esempio –, questo perché colui o colei o coloro dotato o dotata o dotati e dotate di un sesso psicologico diverso da quanto usualmente creduto in base al sesso somatico, potrebbe o potrebbero sentirsi, per altro giustamente, offeso offesa offesi offese o discriminato discriminata discriminati discriminate ingiustamente. Si vedono immediatamente gli appesantimenti e le prolissità burocratiche del caso. Gli asterischi eviterebbero la prolissità, ma non l’accumulo costante degli asterischi stessi e porterebbero nel tempo a cambiamenti linguistici di perdita di differenziazioni come già ad esempio  l’inglese ne mostra di suo in una semplificazione che non appartiene alla personalità latino-italiana e che quindi, nella fattispecie, produrrebbe, forse, qualche stravolgimento identitario non proprio positivo su cui  si potrebbe riflettere in altra sede – i popoli non sono tutti uguali e non lo devono obbligatoriamente diventare.

C’è da chiedersi per primo a proposito degli appellativi e dei documenti, delle lettere e dei certificati e di tutto il resto di analogo: perché si deve nascondere il proprio sesso somatico o genetico? La risposta appare semplice quanto circolare: perché si vuole avere un sesso diverso e il permanere di quello somatico nella grammatica del linguaggio sarebbe sentito come una non accettazione della propria scelta diversa, ossia ci si sentirebbe come persone diverse, prive della cittadinanza per così dire. Ma per fare un esempio celebre: Giulio Cesare era soprannominato il marito di tutte le mogli  e la moglie di tutti i mariti e questo non lo disturbava minimamente, almeno all’apparenza, era un maschio forte, tanto forte e non gliene poteva importare di meno delle prese in giro – oggi assolutamente e giustissimamente vietate – per le sue scelte etero e omo di cui non faceva nessun mistero secondo l’occasione. Per altro le nozze tra gay pare fossero all’epoca consentite per quanto si verificassero molto raramente e solo tra maschi. Certo, Giulio Cesare era, detto con una diafora, Giulio Cesare, un grande uomo, scrittore e audace guerriero, nonché politico a Roma, ma, in ogni caso, credo si debba produrre qualche soluzione migliore di quella relativa al nascondimento dei generi, agli asterischi o altro di simile. 

Ma allora, che cosa proporrei io stessa? Molto difficile a idearsi, ci pensano già, come accennato, autorevoli pensatori e pensatrici al Consiglio Europeo senza trovare soluzioni soddisfacenti che non rechino danno a nessuno e che non aumentino lo stato confusionale. Se tuttavia dovessi esprimermi, io lascerei, grammaticalmente in tutti i documenti, il genere rappresentato somaticamente – o geneticamente – con l’aggiunta ‘detta’ e nome maschile per una donna e ‘detto’ con nome femminile per un maschio, ponendo una fine che valuto del tutto decorosa per chiunque alla quaestio riguardante i generi grammaticali che pare presentarsi come infinita, non risolvibile, soprattutto non risolvibile dando la validità assoluta a preferenze psicologiche che possono variare dando luogo a una giostra assurda delle identità. Ribadendo: direi di lasciar valere i generi somatici e genetici con l’aggiunta dei nuovi nomi nei documenti anagrafici e di qualsiasi tipo, questo per non creare disfunzioni burocratiche e a nessun livello per nessuno e in perfetta trasparenza e diritto di ciascuno.

Ritengo davvero poco accettabile la rivoluzione linguistica grammaticale a proposito dei generi, io non vorrei mai avere un asterisco in luogo della mia identità di genere che è quella di una donna, mi sentirei defraudata di parte essenziale dell’identità, del riconoscimento della mia identità somatica a prescindere da quella psicologica visto che la potrei avere senza nasconderla, ossia se ne avessi un’altra diversa sul piano psicologico io personalmente rinuncerei anche al ‘detta’ con nome maschile perché non me ne potrebbe importare di meno, ma appunto questo fa parte della mia personalità che non deve coinvolgere la personalità di tutti, ci mancherebbe. In ogni caso non mi andrebbe bene di nascondermi dietro un asterisco – ciò che non accetterei mai a prescindere da qualsiasi legge in merito –, troppo forte è in me il senso della più compatta identità personale pur comprensiva delle possibili e più varie sfumature identitarie, sono Rita Mascialino e come tale voglio essere riconosciuta a prescindere da eventuali possibili varietà psicologiche che posso avere come è nella norma delle cose in fatto di identità di genere. In ogni caso accetterei al massimo, se avessi una doppia identità di tipo sessuale e di personalità corrispondente che non ho, il nome di genere diverso come ‘detta’ con nome maschile scelto una volta per tutte, con buona pace della morfologia.

Non mi occupo qui del problema della scelta del sesso psicologico alle elementari o alle medie, quando la fanciullezza e la preadolescenza possono giocare scherzi notevoli al proposito, appunto non me ne occupo in questa riflessione in cui mi sono occupata della semantica grammaticale di genere estesa ai documenti, agli appellativi illocutivi e ai nomi aggiunti con il ‘detto’ e ‘detta’, semantica degli asterischi e dei nascondimenti da me assolutamente rifiutata su base del pensiero oggettivamente democratico e logico. In un’epoca di trasparenza, almeno dichiarata e richiesta in ogni settore, proprio il nascondimento dell’identità sessuale, somatica o genetica e di conseguenza anagrafica, ritengo sia, anzi debba essere inaccettabile a tutti i livelli.

Per altro, nella fattispecie, c’è tuttavia un problema non da poco da tenere presente: la situazione generale di non comprensione della semantica relativa al concetto e termine diritto. Nessuno toglie alle persone il sacrosanto diritto di sentirsi uomini o donne a prescindere dal loro sesso somatico o genetico e a essere riconosciuti come preferiscano, ma questo diritto non può causare possibili disfunzioni pratiche e concettuali, danni dovuti alla confusione possibile nella società, danni nella cultura umana che potrebbe così venire sottoposta, sottilmente e subliminalmente, a un trattamento di globalizzazione di genere a livello micro- e macroscopico degli individui e dei popoli deprivati in parte, nel tempo medio, del senso unitario dato da una forte e unica identità – non tutti sono Giulio Cesare –, la quale a me pare un buon mezzo per rafforzare e non per indebolire la salute mentale di ciascuno. Inoltre non riesco a evitare di ritenere che dando questo tipo di cosiddetta libertà sessuale agli individui, si dia loro un giocattolo adatto a soddisfarli e a fare perdere tempo, prezioso tempo, ciò portando via troppo spazio a interessi, mi si conceda, ben più validi che asterischi o fluidità di genere. L’identità sessuale è una composizione di sfumature in varie proporzioni nella quale una prevale sulle altre – lasciando perdere qui ogni approfondimento della questione del prevalere nell’ambito –, non è mai né può essere mai del tutto unitaria psicologicamente e questo è un dato di fatto, consciamente o inconsciamente presente, in tutti, ma ciò non può rischiare di diventare il diversivo per eccellenza, un po’come il cibo che, se assunto a volontà, dà una soddisfazione che copre magari tutte le altre possibili o molte altre possibili soddisfazioni, più interessanti e utili al progresso del singolo e dell’umanità. Per chiarire: non solo il cibo, ma anche il sesso divenuto gioco dominante – lasciando qui stare tutti gli altri giochi possibili – può indebolire il desiderio di foscoliane ‘egregie cose’ attraverso una falsa soddisfazione onnivalente e a buon mercato, molto a buon mercato, così che terribilmente il gioco con il sesso e con le illusioni a questo collegate sprechi o smorzi le forze migliori di ciascuno. Si tratta di priorità e credo che le foscoliane ‘egregie cose’, come tensione ad esse ed eventuali realizzazioni, debbano avere la priorità per il bene di tutti, per un senso più alto di democrazia e di progresso nel contesto di diritti e di doveri.

Per concludere: meglio dell’inaccettabile asterisco che nasconde, ben vengano ‘detto’ e ‘detta’ nei documenti, come più sopra, così che sia tutto trasparente e onorevole, alla luce del sole e non oscurato assurdamente aumentando la confusione e l’equivoco identitario.

                                                                                                                   RITA MASCIALINO 

____________________________________________________

Immagine: Rita Mascialino presentata (18 marzo 2018, La Valletta Brianza) dal giornalista e scrittore Claudio Pina alla Presentazione di Pietre d'inciampo di Paolo Menon (Bellavite Editore: Missaglia (Lecco): marzo  2018 - Studio introduttivo di Rita Mascialino Le 'Pietre d'inciampo' di Paolo Menon o il canto dell'uomo per la memoria di Dio, saggio (pp. 35).


domenica 2 giugno 2024

Rita Mascialino, In onore di Franz Kafka l'omaggio 

della metamorfosi nel cavallo nero 

'Centenario della Morte di Franz Kafka 2024'


FRANZ KAFKA 1910
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/


L'articolo è  stato pubblicato per primo sulla Rivista Culturale online «Lunigiana Dantesca» (CLSD), Rubrica Letteraria 'OTIUM,' N. 206, giugno 2024, Direttore il dantista Mirco Manuguerra su gentile concessione.

È stato inoltre pubblicato sulla Rivista Culturale in formato cartaceo «OCEANONEWS» (Oceano Edizioni), Direttore Vito Massimo Massa.

Citazione dell'omaggio del Direttore a Kafka unitamente al saggio pubblicato: 

IL KAFKA UNICO DI RITA MASCIALINO

«Lunigiana Dantesca» ha sempre cercato di onorare le ricorrenze dei grandi autori, per cui ringraziamo di cuore Rita Mascialino per averci permesso di farlo anche con un nome del livello di Franz Kafka (1883-1924) per l’occasione del centenario della sua scomparsa.
La studiosa è (anche) una valente germanista e dall’alto della sua profonda conoscenza della lingua tedesca ha proposto fin dal 1996 questa lettura rivoluzionaria di un racconto breve di Kafka, "La passeggiata improvvisa" (1912), dove lo scrittore boemo segna in realtà un momento fondamentale della sua produzione.
Ebbene, nel possente Cavallo nero – in cui, secondo l’analisi di Mascialino, il protagonista si trasforma (tema assolutamente insospettato dall'intera critica precedente) – è emersa la vis titanica dell’animo di Kafka, un animo che si ribella all’alienazione rappresentata dall’orrendo scarafaggio in cui viene trasformato dai genitori nella celebre Metamorfosi.
Con ciò l’analisi di Rita Mascialino scuote nei fondamenti l’intera esegesi kafkiana spalancando l’idea di ulteriori scenari e percorsi ancora del tutto inesplorati sull’opera omnia del grande autore di Praga.

                                                       MIRCO MANUGUERRA
_____________________________________________________________________________________________

"Sono trascorsi cento anni da quando Franz Kafka, ebreo ceco di lingua e cultura tedesca nella colonia di Praga, lasciò la vita nella clinica a Kierling Vienna dove lo avevano accompagnato gli amici in una macchina scoperta con la neve e il vento che infuriavano. Non poteva più parlare ormai data l’aggressività della malattia che aveva invaso anche laringe, faringe, esofago – morì di fame perché da tempo non poteva più mangiare –, ma con il suo forte carattere e la sua altrettanto forte umanità comunicava ugualmente con il suo mezzo preferito, ossia con la scrittura di biglietti – per altro lavorò ad un racconto anche sul letto di morte fino alla fine. Può essere considerata, addirittura, una fortuna che Kafka sia morto prima che le rozze mani dei nazisti potessero avere il piacere di internarlo e di incenerirlo in uno dei loro forni crematori, così come invece poterono fare con le sue tre sorelle nei campi di concentramento polacchi: Elli e Valli a Chelmno, Ottla ad Auschwitz – Ottla aveva chiesto di poter accompagnare al Lager un gruppo di bambini per non lasciarli soli nel grande spavento, morendo con loro nel forno crematorio. Franz Kafka, negli anni, rifiutò il tedesco, la sua lingua madre dove, a giudizio di chi scrive, raggiunse apici espressivi che nessun altro tedesco mai aveva raggiunto e si può supporre difficilmente potrà raggiungere, estremo definitivo rifiuto dovuto al riconoscimento che tale lingua conteneva in sé il germe della violenza. 

Per onorare Franz Kafka da parte mia, quale appassionata studiosa delle sue opere, dedico alla sua memoria, nel Primo Centenario della sua morte o del suo ingresso nella fama di vita eterna nella cul-tura umana (1924-2024),  la mia scoperta attuata sul piano squisitamente esegetico relativa alla sua straordinaria quanto criptica metamorfosi in cavallo nero (Mascialino 1996 e segg.), mai identificata prima in più di un secolo di pubblicazioni da parte della più autorevole critica mondiale, la quale ha invece pubblicato ovunque un’immagine che in Kafka non c’è: esiste solo nelle interpretazioni degli studiosi, come vedremo con qualche riferimento.

La metamorfosi eccezionale dal punto di vista letterario e della personalità di Kafka è espressa nel racconto breve “Der plötzliche Spaziergang” (1912), La passeggiata improvvisa.

Tutto si svolge sul piano di una serie continua di soli periodi ipotetici introdotti dalla congiunzione condizionale wenn, ‘se’: sintetizzando, se al protagonista fosse stato possibile abbandonare per sempre la famiglia, in cui era in generale disprezzato e non proprio ben visto e che lui stesso non apprezzava, avrebbe potuto realizzare pienamente la sua personalità, il suo straordinario talento di scrittore, magnificamente simboleggiato nella metamorfosi nel cavallo nero del racconto – o dell’esegesi innovativa (Mascialino 1996 e segg.).

Venendo direttamente in medias res, il sintagma che non è stato compreso da nessuno studioso è «(…) hinten die Schenkel schlagend» (in Max Brod, a cura di, 1935/1964), tradotto dalla critica con ‘battendosi dietro con  le mani le cosce e frasi cosiddette sinonimiche, come se Kafka, uscendo di casa dopo cena e lasciando di stucco la famiglia con questa insolita decisione, si fosse battuto le cosce o le natiche beffando offensivamente la famiglia, come a dire, eufemisticamente: ve la faccio in barba, vi mando tutti al diavolo. Azione impossibile a Kafka, che come eleganza mentale e fisica non temeva rivali.

E di fatto non si tratta di battersi le cosce con le mani, come nella Slapping-Image (Mascialino 2010), immagine del battersi, mentre l’immagine valida, corrispondente al testo di Kafka, è la Black-Horse-Image (Mascialino 2010), immagine del cavallo nero. L’equivoco ha natura espressamente sintattico-morfologica: la forma verbale schlagend è un participio presente, non un gerundio che in tedesco per altro non esiste come tale. Ossia: hinten die Schenkel schlagend non è un gerundio attivo e transitivo con soggetto il protagonista del racconto proiezione di Kafka e con complemento oggetto le cosce, come è stato interpretato piuttosto conformisticamente da tutti. Ma a tagliare la testa al toro, se ce ne fosse bisogno e a parte altre considerazioni, c’è  l’avverbio hinten, dietro, nello stato in luogo, mentre per come è stato creduto nelle traduzioni esistenti si tratterebbe di un moto a luogo – battersi con  qualcosa, le mani nel caso, dietro, in tedesco è un moto a luogo delle mani verso il retro, ciò che in tedesco avrebbe voluto la preposizione di moto a luogo nach, ossia ci sarebbe dovuto essere nach hinten, preposizione che non c’è nel testo tedesco di Kafka e la cui mancanza è spia certa di un’azione di stato in luogo, non nella spazialità quindi di battersi dietro le cosce in un moto a luogo delle mani verso il retro come è stato sempre creduto di comprendere e interpretato. Proseguendo, schlagen  non è quindi nella diatesi transitiva, né in un gerundio con soggetto il protagonista e complemento oggetto die Schenkel, le cosce, ma sta nella diatesi intransitiva con un diverso significato, spazialmente affine, ma non il medesimo ovviamente: grammaticalmente si tratta di un Nominativo Assoluto nella diatesi intransitiva di schlagen, che non può quindi avere il complemento oggetto essendo intransitivo nel contesto kafkiano, nominativo assoluto che ha come soggetto le cosce che sbattono – o scalciano trattandosi di un cavallo –, non un  protagonista che si batta dietro nell’altro significato di schlagen transitivo. Per chiarire ancora: il soggetto del sintagma in questione non è il protagonista, bensì sono le cosce – dietro – posteriori, che l’essere umano non ha, non essendo quadrupede. L’idea è dunque quella di un cavallo le cui cosce posteriori, dietro, scalcino – in uno stato in luogo, senza che il luogo diventi un altro in un moto a luogo – per alzarsi per così dire in piedi, in modo che l’animale possa ergersi in tutta la sua possente figura: simbolicamente, è il metaforico travestimento spettacoloso dell’inconscio kafkiano più profondo e creativo che avviene nell’oscurità più totale della notte, tenebroso come la notte stessa. 

Ma non basta: la critica, giustamente, afferma che il protagonista decida a trasformazione avvenuta di andare a trovare un amico per vedere come stia. Tuttavia anche questa interpretazione si ferma ad un livello di mera superficie: sembra che il protagonista umano, ergendosi e divenendo della sua vera statura battendosi le cosce, vada a trovare un amico a notte fonda per vedere come stia. Invece, in base ai termini dalla polisemia criptica e sottile scelti da Kafka nel contesto simbolico, il protagonista, soggetto della metamorfosi in cavallo nero, è il vero ego di Kafka e l’amico a cui vuole far visita si ri-vela essere lo stesso Kafka, il Kafka narratore: è lui, l’umano protagonista Kafka, l’artefice del-l’eccezionale metamorfosi in cavallo nero. In altri termini: secondo i vocaboli scelti da Kafka per l’immagine, e su cui qui non ci si può dilungare come si dovrebbe, il protagonista della passeggiata improvvisa, ormai trasformato in cavallo nero, va a far visita al se stesso umano per vedere come stia, perché chi si è trasformato nel cavallo nero è Kafka stesso, è lui in persona, che nel destriero si è proiettato e pienamente identificato.

Ma dove sarà mai finito, allora, il protagonista umano? Secondo le spazialità più sottili dei termini esso sta fin da principio del racconto nel suo luogo naturale, ossia nel libro, nel racconto che è la sua vera casa, non quella genitoriale che ha ipotizzato di poter abbandonare.

Questo detto molto molto in breve e sperando di essere stata comprensibile ai lettori – Kafka è autore profondo, criptico, al punto che in Germania talora non viene letto e analizzato nelle scuole in quanto ritenuto incomprensibile.

Ho voluto dedicare alla memoria di Franz Kafka per il suo Primo Centenario questa scoperta, pub-blicata per la prima volta, come accennato, già nel 1996 e successivamente negli anni fino ad oggi in tante pubblicazioni da parte mia più ricche di ulteriori dettagli e spiegazioni, in quanto la metamorfosi descritta si contrappone all’altra grande metaforica trasformazione, quella in scarafaggio, avvenuta, si fa per dire, stando Kafka nella casa paterna, genitoriale, ed attuata con il verbo verwandeln, ossia Die Verwandlung, tradotto con ‘La metamorfosi’, verbo e sostantivo tedeschi che si adoperano quando la trasformazione avviene dall’esterno, agìta da agenti esterni, come ad esempio con la bacchetta magica e comunque in tutti i casi analoghi – di fatto Gregor all’inizio del racconto si trova trasformato in scara-faggio, ossia è stato trasformato da qualcuno in scarafaggio, nella fattispecie dal padre e non solo, ossia ancora:  non si è trasformato da sé in tale insetto ributtante. Invece per la metamorfosi in cavallo nero Kafka adopera nel corso del racconto il sostantivo Veränderung da verändern, che, pur significando trasformazione o metamorfosi esso stesso, si riferisce a una trasformazione che avviene dall’interno, operata dall’individuo che si trasforma, non da agenti esterni a lui, e in questa trasformazione in cavallo nero sta tutta la grossa autostima di Kafka, il quale sapeva di essere uno scrittore potentemente creativo e profondo – se solo se ne fosse potuto andare definitivamente via dalla casa genitoriale dimentican-dola per sempre. Ribadendo: Kafka sapeva chi era in verità.

Così, in onore ed eterna memoria di Franz Kafka non scarafaggio, ma straordinario cavallo nero uscito dal più creativo e potente nonché misterioso e inquietante inconscio, tinto di un poderoso eros come è intrinseco all’affascinante e vitalissimo animale in cui si è proiettato Kafka, valga la mia scoperta come il riconoscimento più vero – zu seiner wahren Gestalt, così si esprime Kafka nel racconto – della personalità di un genio letterario tra i più grandi, senz’altro il più originale, di tutti i tempi.                                                                                                       RITA MASCIALINO"


BIBLIOGRAFIA

1935/1964

Kafka, F.

Der plötzliche Spaziergang, Frankfurt am Main: S. Fischer Verlag GmbH (1935/64): Herausgeber Max Brod: 7 Bde, Werke: Bd. 1 Erzählungen, 26.

1996

Mascialino, R. 

Traduzione conformistica e non conformistica (Franz Kafka, Der plötzliche Spaziergang - La passeggiata improvvisa). In ‘Quaderni sulla Traduzione Letteraria’ (coord. R. Mascialino). Udine: LaNuovaBase Editrice: Suppl. Panarie, Rivista Friulana di Cultura (Dir. Silvano Bertossi): Editore Vittorio Zanon. 

2010

ESSCS 27th International Congress University of Groningen (The Netherlands). 

President Gerhard J. Dalenoort (Cognitive Systems, Department of Psychology), London United Kingdom, 6-8 July 2010. General Topic: LANGUAGE: Specific area: 'Evolutionary Text Analysis'. Presenting scholar:  Rita Mascialino: How Pragmatism distorts the meaning of literary texts: Der plötzliche Spaziergang (The Sudden Walk/Stroll) by Franz Kafka'.

 2011

Mascialino, R.

Il cavallo nero o l’altra metamorfosi di Franz Kafka (La passeggiata improvvisa). Cleup Editrice Università di Padova: pp. 115.


 FABRIZIO NICOLETTI

IL CAVALLO NERO (2024)

 Omaggio alla prima metamorfosi di Franz Kafka secondo l'esegesi innovativa di Rita Mascialino (1996 e segg.)


'PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA ®' XVII ED. 2024 

all'IMMAGINAZIONE

conferito a Fabrizio Nicoletti


PRIMO PREMIO al 'PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA ®' XVIII ED. 2024

per il DISEGNO ARTISTICO

conferito a Fabrizio Nicoletti

_____________

proposito del Centenario Kafkiano vedi anche i due specifici Video YouTube  2024 e le due Rassegne delle due Edizioni del Premio 2024, inoltre le due Mostre Virtuali Personali presentate da Rita Mascialino rispettivamente degli Artisti VINCENZO PIAZZA e  EUGENIU TIBIRNAC  con nove opere di ciascuno e con analisi e interpretazioni di Rita Mascialino. 




it.wikipedia.org/




_______________




  Rita Mascialino ,  ‘Insieme falceremo il vento’: Poesie di Angioletta Masiero. Recensione. La silloge poetica Insieme falceremo il ven...