Rita Mascialino, Dante e il binario esegetico della valletta dei principi: analisi e interpretazione
(Divina Commedia, Purgatorio, Canto VII,73-81)
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Il
luogo così stupendamente rappresentato da Dante (riferimenti: saggio Dante
di Rita Mascialino pubblicato in occasione della celebrazione del Settecentenario della morte di Dante, Cleup Editrice Università di Padova 2021) si trova nel Purgatorio, detto anche Antipurgatorio, dove scontano la loro pena gli imperatori, i re, i principi e i nobili negligenti,
coloro che, pur non essendosi macchiati di colpe gravi, dedicarono più tempo ai
piaceri della vita di quanto ne dedicarono alla cura dei loro alti doveri, alla
fede, a Dio, né intervennero in aiuto ai popoli come avrebbe richiesto la loro
funzione di potere, di comando, di guida o come avrebbero potuto. La loro sosta
nella valletta di straordinaria bellezza, evocando i godimenti materiali
della vita cui si diedero troppo intensamente, non è propriamente motivo di
letizia, ma di malinconica sofferenza, di sospiri, come pure la faticosa salita
del monte durante il giorno rappresentano quanto ad essi spetta come pena per
la legge del contrappasso.
Rita Mascialino, Dante e il binario esegetico della
valletta dei principi: analisi e interpretazione
(Divina Commedia, Purgatorio, Canto VII,73-81)
Il luogo così stupendamente rappresentato da
Dante (riferimenti: saggio Dante di Rita Mascialino
pubblicato in occasione della celebrazione del Settecentenario della morte di
Dante, Cleup Editrice Università di Padova 2021) si trova nel Purgatorio,
detto anche Antipurgatorio, dove scontano la loro pena gli imperatori, i re, i
principi e i nobili negligenti, coloro che, pur non essendosi macchiati di
colpe gravi, dedicarono più tempo ai piaceri della vita di quanto ne dedicarono
alla cura dei loro alti doveri, alla fede, a Dio, né intervennero in aiuto ai
popoli come avrebbe richiesto la loro funzione di potere, di comando, di guida
o come avrebbero potuto. La loro sosta nella valletta di straordinaria
bellezza, evocando i godimenti materiali della vita cui si diedero troppo
intensamente, non è propriamente motivo di letizia, ma di malinconica
sofferenza, di sospiri, come pure la faticosa salita del monte durante il
giorno rappresentano quanto ad essi spetta come pena per la legge del
contrappasso.
Tuttavia proprio la magnificenza del luogo, a
prescindere dalle pur dovute motivazioni esplicite in ambito allegorico, non
pare risultare del tutto consona a una pena da scontare e ciò è un primo
problema che si presenta all'interpretazione e che induce, in
primis, ad approfondire l’analisi, come andiamo a fare. Riflettendo al
proposito, viene da pensare, se ad esempio le carceri fossero luoghi tanto
meravigliosi, certo la nostalgia sarebbe forte per la libertà mancante, ma il
soggiorno sarebbe meno spiacevole che lo stare in dieci in una stanzetta chiusa
consona solo a una persona e Dante non poteva non sapere che la bellezza della
valletta per come l’ha descritta avrebbe rappresentato comunque qualcosa di
bellissimo da guardare. Da ciò il binario esegetico relativo alla valletta
e indispensabile per comprendere il senso profondo di tale luogo molto speciale,
come vedremo nella presente prospettiva esegetica che apre uno scorcio
sull’estetica artistica di Dante, come sembra emergere dal suo testo secondo
l’ambito semantico dello stesso.
Segue il testo relativo alla descrizione dantesca
della valletta dei principi qui in analisi (Provenzal a cura di
1960: 368-369):
(73)Oro e argento
fine, cocco e biacca,/
(74)indaco, legno
lucido e sereno,/
(75)fresco smeraldo
in l’ora che si fiacca,
(76)dall’erba e dalli
fior dentro a quel seno/
(77)posti, ciascun
sarìa di color vinto,/
(78)come dal suo
maggiore è vinto il meno./
(79)Non
avea pur natura ivi dipinto,/
(80)ma di soavità di
mille odori/
(81)vi facea uno
incognito e ‘ndistinto./
Dei colori della concretezza, di cui scrive o descrive
o parla Dante nel suo straordinario – e magnifico – pezzo, non sono a disposizione riscontri
concreti oggettivi, ossia non ci sono lo smeraldo né l’argento fine cui si
riferisce Dante e così per tutte le ulteriori cromie, come ci sarebbero invece ad
esempio, per restare nel contesto artistico in cui si svolge la descrizione
dantesca, in un’opera d’arte figurativa o in vernici stese in spazialità
astratte sulla tela, ossia ribadendo: si è sempre soltanto e ovunque a livello
di sole parole che trovano conveniente riscontro nell’immaginazione di Dante e
più o meno intensamente in quella dei lettori. Certo si tratta di una valletta
che appartiene al mondo del divino, ma il divino, esprimendosi inevitabilmente
in parole umane, va analizzato e compreso sul piano del linguaggio umano ed è
ciò che andiamo a fare. Dunque Dante dice che ciascun colore da lui presentato
sarebbe superato dai fiori e dall’erba posti nella valletta, così come il
minore cede di fronte al maggiore. Ci si deve fidare di quanto afferma Dante
che nella sua visione poetica vede le differenze tra i colori della valletta e
quelli reali – che egli ha nella sua immaginazione, perché neanche Dante ha
davanti o in mano lo smeraldo nell’ora che si fiacca e così via. È chiaro che,
sempre, con la parola si dà spazio, ora più grande ora meno, all’immaginazione,
tuttavia sorge un problema esegetico: perché inserire un condizionale, sarìa,
se la persona, che descrive la scena, è Dante stesso, il quale non può dubitare
di quanto asserisce perché ha i due mondi a disposizione. Ma il reale concreto
è a sua disposizione non nel riscontro oggettivo e concreto, bensì nell’immaginazione,
così come la valletta sta nell’immaginazione poetica, così che sia la valletta
che il reale concreto stanno entrambi nell’immaginazione di Dante senza
possibilità per nessuno di verificare, possibilità che, come più sopra
evidenziato, non ha neanche Dante come il condizionale conferma in luogo
dell’indicativo nell’ipotesi per così dire irrealizzabile. Chiarendo ancora lo
scheletro logico del molto complesso brano: non ha neanche Dante, come testé
asserito, in quanto neanche Dante ha, come più sopra, lo smeraldo nell’ora in
cui si fiacca e perciò si deve appoggiare all’immaginazione nella spazialità a
binario. Allora, stando così le cose, esplodono i colori posti dal massimo
poeta all’inizio della descrizione come colori che nessuna arte visiva o realtà
concreta può uguagliare e meno che mai superare. Seguono poi, nelle
associazioni inconsce alla base del linguaggio, i termini relativi al profumo: incognito
e ‘ndistinto, che si adattano in toto al metaforico binario
citato rappresentato dalla valletta e dal reale concreto, in parallelo: incognito,
in quanto nessuno può saperne qualcosa; indistinto in quanto pare essere una
fusione di tanti odori, di cui di nuovo nessuno può sapere alcunché, aggettivo particolarmente speciale soprattutto quest’ultimo che si
proietta nascostamente, ma non troppo – o forse molto evidentemente – sulla non
distinzione tra cromie della valletta e cromie del concreto entrambe componenti
dell’immaginazione dantesca. Ricapitolando: ciò che Dante presenta dunque sono
i colori in sé, che sarebbero inferiori rispetto a quelli della valletta cui il
linguaggio è o sarebbe inadeguato. È tuttavia con tali colori di minor
intensità e pregio rispetto a quelli della valletta, assenti nella descrizione,
che Dante per così dire assale esteticamente il lettore lasciandolo senza fiato
con una successione cromatica ininterrotta e culminante nel verde della gemma
preziosa, lo smeraldo, colori che, privi della spazialità della concretezza
mancando oggetti o figure in cui essere rappresentati, condividono l’astratta
spazialità delle immagini mentali dinamicamente riplasmantisi in contorni
sempre diversi corrispondentemente alle parole che le hanno evocate. Chiarendo
ancora: lo scenario raffigurato da Dante appare, secondo quanto sta nel testo,
come fatto di finissime scintille dorate e argentee, iridescenti, nonché di
fluttuanti macchie cromatiche non cristallizzate in alcun modo, neanche in
pennellate come lo possono essere in un dipinto di arte astratta in cui le
macchie sono inevitabilmente stabili.
A questo punto, prima di continuare con l’analisi, è opportuna
una digressione sul motivo precipuo per cui gli antichi consideravano la poesia
come la suprema tra tutte le arti. È la natura intrinseca alla parola che rende
l’espressione poetica la più potente per il maggiore spazio che dà all’immaginazione,
al sogno, nella mente di ciascuno se solo questo ciascuno sappia immaginare,
sognare. La realtà concreta ha diversa potenza estetica, più limitata e seppure
grande e anche grandissima anch’essa, non può competere o tantomeno uguagliare
con le potenzialità della parola. E Dante è il grande, grandissimo, potente
sognatore quando è poeta tale che dà a chi lo voglia seguire il binario su cui
avanzare in mondi in cui non sarebbe di entrare da solo o avrebbe paura ad
avventurarsi senza la guida e l’aiuto dei poeti, del più grande poeta nella
fattispecie.
Dopo il chiarimento relativo alla descrizione della
valletta in cui Dante ha creato poeticamente quanto in gran parte
inconsciamente, come accade nella più vera profondità artistica, il percorso
estetico insito nelle potenzialità espressive del linguaggio, continuiamo con l’analisi
ulteriore del pezzo, in cui l’oscurità e la particolare spazialità dei luoghi
sono di nuovo di specifica rilevanza per la semantica del pezzo così come è
stata chiarita più sopra. Dunque quando Dante entra nella valletta, è prossima
l’oscurità, nella particolare luce opalescente che accompagna la scomparsa del
sole, una parte della giornata che risulta rilevante per il significato del
pezzo. In questa atmosfera tutto si presenta come immerso in uno speciale
scintillio – cui alludono l’oro e l’argento fine (73) che, posti subito
all’inizio della scena, diffondono nella proiezione mentale conseguente la loro
luce come stupendo sfondo del crepuscolo che precede il buio della notte. Si
può ritenere che l’oro rappresenti il giallo e l’argento il bianco dei fiori,
ma più verosimilmente i due metalli rappresentano la colorazione della luce al
tramonto, dorata e argentata – per altro il bianco c’è già, citato nel medesimo
verso (73) come biacca. Perché
è importante l’ora del giorno: il crepuscolo con la sua luce sognante e
l’oscurità favoriscono l’affondo nel particolare linguaggio immaginifico
inconscio, lontano dalle cure del giorno. In tale atmosfera ovattata si
individua il percorso, molto rilevante semanticamente, che conduce alla valletta.
Si tratta di una via misteriosa che si apre tra gole, montane e insenature – il
monte è circondato dal mare –, irregolarità, ripidi dislivelli naturali (70-72;
368), un percorso che si è ritenuto analizzare a questo punto, dopo aver
chiarito opportunamente la speciale natura estetica del pezzo dantesco:
(70)Tra
erto e piano era un sentiero sghembo/
(71)che
ne condusse in fianco della lacca,/
(72)là
dove più che a mezzo muore il lembo./
Una via non dritta, ma obliqua, torta, una via non
agevole, scoscesa, quella che conduce all’ingresso della speciale valletta
costituita da una profonda gola. Si è verso la fine del tramonto, prima della
totale oscurità, nella luce ideale per la produzione di sogni e immaginazione,
per l’introspezione, per l’emersione dell’interiorità. Perché la via sia
tortuosa è intuibile: la via che conduce al reale quotidiano, con cui l’uomo ha
dimestichezza, è percorribile senza soverchie difficoltà; lasciando stare gli
importanti percorsi dell'allegoria, ma occupandoci della semantica, vediamo
come la via che conduce all’immaginazione artistica, ai percorsi che non stanno
all’esterno, ma si devono cercare e creare nell’oscurità della mente, sia poco
nota, un luogo oscuro e per molti aspetti inesplorato.
Dante cita anche, non a caso, ma in piena sintonia con il suo addentramento
nell’immaginazione estetica, il verbo morire a proposito
dell’ingresso basso, profondo, nella valletta o, più esattamente, nelle
immagini mentali fatte di colori fluidi e irregolari, dinamici. L’ingresso
nell’arte immaginifica della parola poetica, come nel testo dantesco secondo questa
analisi, associato, seppure indirettamente, al morire, è lontano quindi in modo
estremo dalla vita concreta, reale, di sangue e carne, quasi la sensibilità
artistica, poetica nella fattispecie, sia così fine ed estenuante da essere più
vicina ad un morire per quanto metaforico che al vivere concreto – problematica
intrinseca all’arte ben nota al poeta dei poeti Dante. Ecco dunque che per quel
sentiero sghembo attraverso uno scomodo ingresso e guidati da
associazioni di morte come lontananza dalla vita concreta, si
è sorpresi, detto con un’iperbole molto consona, dall’inondazione di colori
usciti dalla mente del poeta senza aggancio diretto ad alcuna realtà concreta, a
fiori o piante che ne limiterebbero l’effetto venendo esso condiviso con la
forma conchiusa e in tal senso statica. Ma
non basta. Soffermandoci ancora nella comparazione tra i colori descritti da
Dante e immaginabili e quelli non descrivibili della valletta: si è, come
accennato, in un ambito estetico, non collegato a nulla di concreto, non a una
pena, non alle anime che si purificano dai loro peccati - al di là ovviamente
dell'ambito allegorico. È come una scena isolata dal resto, la quale mostra e
nasconde il suo doppio volto dietro il sipario estetico. In tale livello
finemente estetico la presenza della valletta secondo il testo dantesco e la
sua semantica come è stata identificata in questo studio, afferma una volta di
più – sul piano simbolico – l’immaginazione poetica, la potenza della parola
poetica, della poesia quale arte superiore a qualsiasi altra. Si tratta, come
sostenuto in questo studio, del tema estetico cruciale dell’arte, della
creatività artistica, dei mondi creati dai poeti, mondi che, pur sorti sul
piano della natura umana – non si parla esplicitamente di natura divina nella
descrizione della valletta –, nulla può superare e che permettono di entrare
nella mente umana al suo livello più profondo, questo secondo le profondità semantiche
insite nel testo di Dante. In ogni caso, restando nello specifico, dopo i versi
considerati in questa prospettiva analitica si constata come Dante,
significativamente, abbandoni per sempre qualsiasi riferimento alla bellezza
della valletta e passi a descrivere le anime, passi a discorsi con Sordello e
Virgilio, all’immaginazione per così dire concreta, riferita a persone, a
vicende e idee ad esse relative, ossia non vi sia più alcun riferimento
ulteriore né diretto, né indiretto, all’estetica della valletta,
alla sua natura. Di fatto la finalità della sua straordinaria comparsa riferita
all’arte poetica è ormai stata adempiuta, per cui non avrebbe avuto forse molto
senso per Dante riallacciarsi in qualche modo alla sua bellezza con il rischio
di farla decadere dallo splendore con cui Dante la tratteggia da Maestro
all’inizio.
Una valletta dantesca talora sottovalutata e
considerata in non pochi casi addirittura banale, ma che in questo studio, tra
gli altri, si offre come un vero e proprio omaggio di Dante alla creatività
poetica, potente al di sopra di qualsiasi realtà dell’ambiente umano concreto,
realistico, come nello speciale binario di cui sopra. Certo, per recepire le
profondità dell’arte in generale e di quella poetica fatta di immaginazione
espressa in parole, sena solidi né a vista riconoscibili punti di riferimento
nel concreto, è necessario non arrestarsi alla superficie del testo artistico,
delle spazialità convogliate dalle parole. Se pertanto la semantica dell’arte,
ossia il suo fulcro più straordinario e più vero, viene fatto emergere, viene
fatto salire allo scoperto per il possibile, allora la valletta si rivela per
straordinaria creazione artistica
Straordinario gioiello dantesco – secondo questa
analisi – sul piano conscio e delle associazioni inconsce, riferito al cammino
che porta all’immaginazione poetica: obliquo, non diretto, tra dislivelli
scoscesi, gole montane e insenature le quali nascondono quanto contengono, vie
non piane, non facili a percorrersi, ingresso nel profondo, non agevole, vicino
quasi a una morte in una punta di finissimo eros sul piano della
sublimazione estetica e finalmente, solo per chi abbia osato avventurarvisi,
per gli artisti e i poeti in primo luogo, per chi abbia occhi capaci di
indagare la penombra e anche l’oscurità della mente, allora si ha la
possibilità di vedere i tesori che giacciono celati e appunto premiano chi
abbia avuto il coraggio di intraprendere l’aspro e solitario viaggio che
ad essi conduce, come sa descrivere Dante in straordinari versi
esteticamente penetranti nella mente e nella sensibilità di chi sia capace di affrontarli,
di accoglierli.
Un luogo denso di simbologie accertabili sul piano
della spazialità dinamica dell’espressione linguistica (Mascialino 1997 e
segg.), sia nella punta del suo iceberg, sia nella nascosta e immensa radice,
sconosciuta in parte non piccola anche agli artisti stessi che pure ne sono in
contatto privilegiato e – secondo la loro grandezza – ne esprimono scorci fuori
dal comune sentire, contenenti la semantica più estetica o profonda delle
immagini, dell’arte, come quelle di cui si compone lo speciale paesaggio messo
in scena finissimamente e si può dire insuperabilmente da Dante,
potente e stupendo poeta, capace di percorrere le vie impervie della
sensibilità estetica e di renderle, per il possibile, praticabili ad altri.
Rita Mascialino
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