domenica 13 febbraio 2022

 Rita Mascialino, (2019) Arnaldo Ceccato: Sulle strade del tempo

La silloge poetica di Arnaldo Ceccato Sulle strade del tempo (Perugia PG: Morlacchi Editore: Prefazione di Marcello Ramadori: Preambolo dell’Autore: 2018) si compone di tre parti intitolate rispettivamente Sulla strada della ragione, Sui viali del sentimento, Sui vicoli dell’ironia, ciò in corrispondenza del fatto che la ragione traccia le strade per poter attraversare, andare oltre, per poter conoscere il mondo, quindi le poesie hanno taglio più razionale; del fatto che i sentimenti si coltivano meditando sull’esperienza interiore di ciascuno, al meglio passeggiando in solitudine in viali alberati in mezzo alla natura in modalità propizia al raccoglimento in se stessi che agevola la discesa nelle profondità dell’ispirazione lirica; del fatto che i vicoli  ben si adattano quali strettoie alla spazialità dell’ironia, sottile, che spesso si nasconde nelle pieghe del linguaggio.




Lo stile relativo al diverso ambito poetico, di nuovo corrispondentemente, è diverso: più chiaro e squadrato come si conviene ai percorsi tracciati dallo spirito razionale, della logica; più lirico ed effusivo nei viali del sentimento; più improvvisamente aggressivo negli stretti vicoli dell’ironia.

Pervade comunque tutta la silloge pur nei diversi stili dovuti alle diverse tematiche il denominatore comune di una personalità aperta e disponibile positivamente alla vita, alla ricerca del senso della vita. Il titolo stesso all’insegna del cammino dell’Autore sulle strade segnate dal tempo esprime l’accettazione non passiva della limitata misura temporale per l’esperienza umana sulla Terra. L’uomo cammina, non sta fermo in una scelta statica di vita, anche se consapevole di non essere solo egli stesso a decidere il suo cammino che avrà un termine per così dire deciso dal tempo –  o dalle Parche di latina memoria.  

La lirica scelta tra le altre a rappresentare lo spirito profondo della raccolta fa parte delle meditazioni sul senso della vita sorte sui viali dell’interiorità: Tramonto sul lago, scelta che riconosce nella tonalità interiore più profonda dei sentimenti il senso ultimo dato all’esistenza sul quale si edificano tutte le altre prospettive.

Dalla silloge poetica Sulle strade del tempo (Perugia PG: Morlacchi Editore: Prefazione di Marcello Ramadori: Preambolo dell’Autore: 2018)

63

Tramonto sul lago

 

È calma la sera.

Il sole scende sotto l’orizzonte

Tenui nubi se ne colorano.

Nell’ipnosi silente

della sua uscita di scena

flebile da lontano arriva

un suono di campana.

Tutta la natura si raccoglie in preghiera.

È l’agonia di un giorno che muore.

Un giorno segue l’altro e lo spettacolo

Ogni dì si ripresenta di nuovo,

mentre l’arco della mia vita

s’immerge là, nel lago delle memorie

che affondano nel tempo,

senza speranza di resurrezione.


Si tratta di un tramonto che si espande su due livelli fondamentali: uno relativo al concreto tramonto del sole all’orizzonte, l’altro inerente ad un tramonto più simbolico. La sera è quieta e il sole se ne sta andando, la luce stessa sta facendosi più debole, il tempo scandito da una campana in lontananza invita alla preghiera, come un tempo l’Angelus nelle campagne e ancora oggi in qualche paese distante dal rumore della città. La natura accoglie l’invito e prega per la morte del giorno, una preghiera triste quindi, che non è rivolta ad una divinità che vegli comunque sugli uomini dopo una giornata di lavoro o sulla natura affinché riposi lieta pur nell’oscurità incombente, ma una preghiera che prepari l’atmosfera più drammatica nell’anima del poeta proiezione di Arnaldo Ceccato. Certo i giorni si susseguono incessanti con altri soli e altri tramonti, ma la vita dell’Autore pare svanire come il sole nel tramonto. I ricordi sprofondano nel tempo simboleggiato dalle acque infide del lago che, a meno che non sia definito un laghetto come non è qui il caso, è sempre la più misteriosa delle acque con i cicli vitali delle correnti di risalita e di inabissamento, spaventosi quanto insospettati e segreti sotto lo specchio quieto della superficie. Ed è in queste acque che le memorie del poeta affondano come in una palude da cui non si possa più uscire, un affondare che indica la débacle della nave o vita dell’uomo come in un naufragio senza più nessuna possibilità di salvataggio – nella visione del mondo di Arnaldo Ceccato pare non esserci nessuna strada per la Resurrezione in altra vita e neppure la sensualissima dolcezza del naufragare di Giacomo Leopardi nel mare infinito dell’immaginazione, l’immagine del lago creata dal poeta è più vicina all’incubo più angosciante che ad una morte serena.

Detto in termini più razionali, come nella poesia Diagramma riferita al giudizio sull’esistere (14):

“Cammino sulle ascisse del tempo,/procedo senza possibilità/di tornare indietro (…) La vita è però una ricchezza,/temo il suo precipitare/(…) Finirà nel nulla,/in picchiata sullo zero,/dove era cominciata.”

Detto in termini ironici, come nella poesia La riunione (89):

“Quello che sempre si cerca/e non sempre si trova(…) Quello che comunque /fatale e inesorabile, passa,/qui si spreca e si perde:/il tempo!!!”

Emerge specialmente nella parte dedicata ai vicoli dell’ironia l’opinione del poeta sui giovani con le “brache rotte” impegnati a leggere il nuovo breviario (88), lo smartphone, per soddisfare la sete di sapere e imparare ad esempio una cosa molto0 importante: come sia buono il formaggio con le pere, ciò in una deriva intellettuale di tanta gioventù attuale.

Una raccolta varia nei temi e nello stile espressivo, non astratta dal reale, ma capace di guardare organicamente e con occhio critico la società del presente, senza dimenticarsi del senso più profondo della vita che, aggiungeremo, non sta nelle brache rotte né in quelle sane per così dire, ma in ben altro, come dice molto chiaramente Arnaldo Ceccato nella sua silloge Sulle strade del tempo.

Rita Mascialino

sabato 12 febbraio 2022

Rita Mascialino, "De consolatione philosophiae (524 d.C., Liber V, 3.) di Severino Boezio: analisi e interpretazione" 

'Rivista di Analisi del testo filosofico, letterario e figurativo', Dir. Mascialino, R., N. 8 2005,  pp. 9-30. (Riflessioni aggiuntive)

Seguono qui una brevissima sintesi delle idee espresse da Severino Boezio nel libro sopra citato e in aggiunta alcune riflessioni in merito. 

A proposito della storia maestra di vita in quanto memoria della verità degli eventi e a proposito di grandi uomini dimenticati o comunque non noti come dovrebbero nella verità delle loro idee, Severino Boezio (Roma ca. 428-Pavia c. 524) fu ingiustamente incarcerato e quindi ucciso barbaramente a bastonate in carcere in seguito a calunnie per motivi di potere, di invidia per la sua posizione alla corte di Teodorico, per la sua enorme cultura, invidia per il fatto che fosse un uomo intelligente e onesto. Fu fatto Santo dalla Chiesa quale martire per il  Cristianesimo e così passa nella generalità per un martire della cristianità - anch'io quando studiavo filosofia a scuola lo ritenevo tra gli apologeti della Chiesa così come ce lo facevano studiare. Solo nell'età più adulta volli leggere il suo testo per vedere che cosa intendesse per 'filosofia' un martire del cristianesimo. Dopo attentissima lettura e riflessione su quanto letto capii che, per il suo libro De consolatione philosophiae scritto in carcere aspettando la morte, sarebbe stato mandato a morire sul rogo se fosse vissuto durante l'Umanesimo un millennio più tardi. Boezio non fu un uomo che si sacrificò a favore del Cristianesimo, ma che al contrario espresse liberamente la sua critica più radicale alla religione, alla figura di Dio stesso secondo quanto predicato dalla religione cristiana. In carcere non si fece consolare dalla fede, né dalla religione, né da Dio, né dalla filosofia asservita ai vari poteri, ma dalla filosofia quale pensiero razionale che comprende il falso pensiero, ricerca e afferma la verità, Umanista 'ante litteram' nello spirito, oltre ogni categorizzazione storica, grande rappresentante degli uomini liberi.

Ricordo quando in una interrogazione di filosofia alle Superiori, tra le altre domande, mi fu chiesto al termine come ultima domanda di parlare delle idee di Boezio e Cassiodoro. Mentre parlavo di Boezio, martire cristiano perché così ce lo facevano imparare a scuola, la professoressa fece un sorriso che ritenni favorevole a Boezio, ma riduttivo della sua statura, un sorriso come si ha un buon uomo, piccolo ma buono. Io stravedevo - e ancora sempre stravedo - per questa grande professoressa e ritenni Boezio un martire cristiano che meritava di essere citato tra i filosofi - io non ho mai ritenuto la religione un pensiero filosofico, la filosofia sorge nell'antica Grecia come episteme, pensiero scientifico, ossia come filosofia della scienza, ovviamente nell'ambito dei conseguimenti consentiti dal sapere scientifico all'epoca, sorge come opposizione al pensiero religioso, per distinguersene. Mi venne in mente di leggere il suo libro (testo latino e traduzione in Mohrmann/Dallera a cura di 1999) per vedere da che cosa derivasse il sorriso della mia professoressa. Così scoprii, dalla verace parola di Boezio, che Boezio fu un uomo buono, ma anche grande, libero nel suo pensiero razionale, nella sua critica filosofica, nel suo concetto non solo di religione, ma soprattutto della filosofia.Dunque a fronte della morte inevitabile e vicina Boezio analizza razionalmente nel De consolatione il mondo, secondo la sua analisi, delle illusioni predicate tra mille contraddizioni in seno alla religione cristiana. Al proposito è rilevante l'aspetto di Donna Filosofia, allegoria quale prosopopea o personificazione della filosofia:16,17"(...) [La Filosofia] gli appare in carcere nel I Libro connotata principalmente da 1. statura ambigua; 2. un volto molto vetusto; 3. vesti finissime tessute da essa stessa e ridotte in brandelli perché strappate da mani violente. La statura viene definita da Boezio 'ambigua'. L'ambiguità della statura si riferisce al fatto che essa, secondo l'angolazione prospettica, pare essere talora, alta come gli uomini, tal altra pare toccare il cielo con la sommità del capo, tal altra ancora, grazie all'erezione della testa, pare addentrarsi nel cielo stesso. Alla statura corrispondono dunque spazialmente diversi orizzonti, diversi paesaggi, i quali in ambito più astratto delineano i diversi livelli in cui si può collocare la filosofia, il pensiero filosofico. La statura bassa è quella per la cui percezione  e produzione non occorse sforzarsi essendo essa a misura d'uomo comune, quindi relativa ad un orizzonte piccolo, limitato. La statura che pare giungere fino alle soglie del cielo pretende più sforzo percettivo dato che supera lo spazio a disposizione dell'uomo comune. Tuttavia tale statura non giunge oltre le soglie del cielo in cui non osa addentrarsi.. La statura che si addentra nel cielo stesso a testa alta è quella che richiede più sforzo percettivo visto che pretende ottima vista e audacia esplorativa (...) L'orizzonte più limitato consono alla statura dell'uomo comune corrisponde alla filosofia dell'uomo comune consistente in norme di vita e orizzonti del quotidiano o comunque di prima apparenza ai sensi, in qualche errata riflessione sulla vita, sul mondo visto molto parzialmente. Il senso della distinzione della filosofia che giunge fino al cielo senza addentrarvisi e quella che alza il suo volto e vi si addentra  è meno immediato, ma pure identificabile. La filosofia che non alza il capo e sembra toccare il cielo con la sommità della testa, ma non la alza, è una filosofia sottomessa come mostra il capo non alzato, una filosofia che si ferma davanti davanti a un limite, quindi, trattandosi di cielo in cui non penetra, davanti alle cose divine, patria degli dei più importanti di tutte le culture. Si tratta di una filosofia che va in appoggio al pensiero religioso e che quindi è sottomessa alla teologia, detto con un termine della successiva filosofia scolastica medioevale di Pietro Damiano: una ancilla theologiae, una filosofia come ancella della teologia. (...) La filosofia che alza la testa e si addentra nel cielo è dunque quella che vuole sapere, conoscere e va quindi ovunque la porti il suo desiderio sorretta dal pensiero razionale, logico, finalizzato a distinguere il vero dal falso, e che non si ferma davanti (...) a nessun dogma, davanti a nessun regno divino (...)" 
Dalla Conclusione, 27:
"(...) [La sua opera] vede la contestazione della figura di Dio e con essa la contestazione dei principi generali più rilevanti su cui si basa la religione cristiana: se la prescienza divina viene equiparata a quella di un ridicolo Tiresia o dalla prescienza divina deriva la caduta di ogni valore morale relativo alla vita umana, allora la religione ne esce male in ogni caso. Di fatto Donna Filosofia rappresenta nel suo discorso finale che chiude l'opera e al quale Boezio nulla più risponde, proprio la filosofia che tocca il cielo con la sommità del capo senza osare addentrarvisi, ossia la filosofia sottomessa alla teologia, la filosofia che sostiene la verità di fede, una filosofia non libera di argomentare come quelle cui si attiene invece Boezio nella sua contestazione delle cose divine e religiose in generale (...) Risulta quindi oltremodo difficile o impossibile vedere in Boezio un martire del cristianesimo (...) Alla religione non ascrive nessuna consolazione, offerta solo dalla filosofia (...) Abbiamo visto come come la filosofia da cui Boezio trae reale consolazione sia quella che alza la testa e penetra nel cielo per esplorarlo, esattamente come fa egli stesso nella sua requisitoria finale con la quale giudicale cose divine e religiose in generale per ricercare la verità al di là di ogni illusione fornita da una filosofia teologica che pare barcollare sulle sue fondamenta sotto i colpi delle argomentazioni della logica. Penetrando nelle cose celesti non con la religione, né con la filosofia sottomessa alla teologia, alla religione, alla fede, ma con la filosofia [razionale], Boezio toglie implicitamente alla religione il monopolio delle cose celesti che secondo quanto mostra Boezio vanno indagate con la libera ragione umana. Dal testo della "'Consolatio' dunque emerge un Boezio diverso da quanto l'interpretazione corrente offre, ossia un Boezio tutt'altro che apologeta del cristianesimo o martire per esso (...)"

A proposito del paragone tra Tiresia e Dio sopra citato segue il testo originale (Mohrmann/Dallera a cura di 1999: 352) relativo al pensiero corrosivamente satirico di Boezio:

20, 21
"(...) Quonam modo deus haec incerta futura praenoscit? Nam inevitabiliter  eventura censet, quae etiam non evenire possibile est, fallitur, quod non sentire modo nefas est, sed etiam voce proferre. At si ita, uti sunt, ita ea futura esse decernit, ut aeque vel fieri ea vel non fieri posse cognoscat, quae est haec praescientia, quae nihil certum, nihil stabile comprehendit? Aut quid hoc refert vaticinio illo ridiculo Tiresiae 'Quicquid dicam, aut erim aut non? (...)"

"(...) In quale modo mai dio conosce in anticipo queste incerte cose future? Infatti, se ritiene che inevitabilmente si compiranno cose che è anche possibile non si compiano, sbaglia, ciò che non solo è nefando pensare, ma persino dire tanto per dire. Ma se le cose così come sono egli le decreta che saranno nel futuro in modo tale da sapere che possano sia accadere che non accadere, che razza di prescienza è questa che non racchiude in sé nulla di certo, di stabile? O per meglio dire, che cosa in questo si distingue da quel ridicolo vaticinio di Tiresia 'Qualsiasi cosa io dica o sarà o non sarà?'

Così, per ricordare Boezio e il suo pensiero nella sua verità testuale, al di là di qualsiasi uso di opportunità.
                                                                                                                                 Rita Mascialino
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