Rita Mascialino, "Leda Palma: 'D'era in era' "
Leda Palma, friulana, ha vissuto per molti anni a Roma dove ha svolto un’importante e intensa attività nel mondo teatrale, radiofonico e televisivo quale attrice, conduttrice, regista e autrice di sceneggiati. Ha esordito giovanissima come attrice al Teatro Stabile di Bolzano nella commedia Un curioso accidente di Carlo Goldoni per la regia di Fantasio Piccoli. Ha condotto numerose trasmissioni televisive e radiofoniche, tra l’altro in Rai Tre e Rai Uno, tra cui La buona notte della Dama di Cuori, lo sceneggiato Per grazia ricevuta, itinerario storico folkloristico friulano di Castelmonte, a Radio Trieste Ore 9 del silenzio come trasmissione relativa ad autori friulani nel ventennale del terremoto in Friuli del 1976, l’originale radiofonico relativo al Mahatma Gandi, a Radio Donna ha trasmesso in due puntate il radiodramma scritto da lei stessa C’erano una volta le donne di Carnia, tante trasmissioni musicali, inoltre tra le attività più recenti al Deutsches Theater di Berlino con Pier Paolo Pasolini: Die schwarze Wut der Poesie – La nera rabbia della poesia per il quarantesimo anniversario della morte di Pasolini, con recita in tre lingue: tedesco, italiano e friulano. Ha conseguito prestigiosi riconoscimenti quali il Premio Adelaide Ristori per la sua attività di attrice e il Premio Verga per l’interpretazione della novella L’amante di Gramigna (1880) di Giovanni Verga (Vizzini 1940-Catania 1922). Ora vive a Pagnacco, il suggestivo paese dove è nata.
È poetessa e scrittrice con pubblicazione di varie raccolte di poesie e racconti.
Si sono occupati di lei e delle sue opere con giudizi e recensioni numerosi critici importanti.
Dalla silloge poetica Dove si incontrano risposte (Pasian di Prato UD: Campanotto Editore: Prefazione di Marcello Carlino, Postfazione di Donato Di Stasi: 2020):
p. 38
“D'ERA IN ERA
Giorno dopo giorno
a ricevere il mondo
sta con me l’attesa necessaria
il segnale pronto da secoli
nella stagione che dura un momento
anche se strappo i denti al tempo
ha pazienza di ripostigli
non ha doglie di morte
è palude
quando non si sa amare
e il vuoto è solo assenza
solo nido pronto ai sensi”
Questa bella poesia dal tono crepuscolare inizia con una situazione di quiete, di calma, di attesa dell’esperienza della vita come nella metafora del mondo che la poetessa aspetta di ricevere per così dire a casa sua, dentro di sé, che aspetta di accogliere assieme al segnale del tempo che sta da sempre in agguato per mordere, per ferire, anche per uccidere, tempo che, malgrado i tentativi della poetessa di strappargli i denti perché non possa mordere o dia almeno una tregua al breve istante dell’esistere, alla stagione concessa agli umani, conserva in’ogni caso la sua terribile arma. Il termine stagione nel contesto ha un duplice volto semantico: quello di intervallo meteorologico nell’anno solare come metafora della brevità della vita; quello di periodo di rappresentazioni teatrali, ambito talora anche esplicitamente presente altrove nel corso della raccolta. Nel contesto il segnale ha anch’esso un volto duplice: avverte dell’arrivo del tempo come ora della partenza definitiva, ma avverte anche gli attori dell’arrivo del mondo, del pubblico nel breve tempo del teatro della vita. In questa accezione riguardante la vita come palcoscenico dell’umanità l’immagine si associa nell’eco – diversamente nel tono – al celebre Monologo del Macbeth (Atto V, Scena V) di Shakespeare, nei versi che descrivono l’uomo come
“(…) a poor player
That strets and frets his hour upon the stage
And then is heard no more (…)”,
“(…) un povero guitto
Che si pavoneggia e consuma la sua ora sul palco
E poi non più si ode (…)” (Trad. di Rita Mascialino 1996: 52).
La breve ora shakespeariana è diventata un momento in Leda Palma, l’ambiente esistenziale è il teatro, come nel Monologo. Sebbene la lirica non abbia il tono di una virile invettiva come nel Monologo shakespeariano colmo di disprezzo per l’uomo e le sue illusioni di potenza, tuttavia anche nella lirica della poetessa c’è l’ipotesi di un’azione violenta di attacco per difesa, comunque di attacco, un desiderio di agire contro il tempo strappandogli i denti in una implicita lotta che tuttavia si rivela vana, senza esito positivo. In Leda Palma comunque, molto femminilmente, tale attesa fa spazio a ripostigli in cui si possono conservare cose da togliere dalla vista nell’esistenza quotidiana, così tentando di sottrarle ai denti del tempo, un po’ come se questo al suo passaggio non vedesse ciò che stia dentro a quei ripostigli e quindi tralasciasse di distruggere quando è in essi riposto. Si tratta di luoghi piccoli, non di spazi enormi, che la poetessa vorrebbe salvare dal morso del tempo e nella cui immagine sta espresso quasi timidamente il desiderio di memoria della poetessa, nulla di trionfalistico, come volesse lasciare al prossimo un ricordo del suo passaggio su questa Terra, un ricordo della sua individualità, precipuamente della sua identità artistica, ciò che si evince dal fatto che in questi ripostigli non entra la sofferenza della morte, come se l’arte, nella sua natura impalpabile, sia diversa dalla vita materiale che viene distrutta dal citato morso, possa dunque superare l’impasse più grave nella transeunte stagione umana. Ma quest’attesa di ricevere il mondo e l’antico e indistruttibile segnale, attesa in cui consiste l’esistere secondo quanto espresso in questa delicatissima e tuttavia poderosa lirica, diviene palude, zona malsana e inutilizzabile sia per gli umani che per l’arte, qualora non si sia capaci di amare. Anche l’arte pertanto ha bisogno per essere tale di un humus fatto di nobile sentire, così nella parola poetica di Leda Palma. Quando l’amore viene inteso come piacere della materialità, l’attesa diventa assenza di tutto, luogo vuoto di vita il quale impantana chi vi sia caduto dentro e gli impedisce di uscirne. Questo concetto della palude quale metafora della vita spesa nella materialità è particolarmente rilevante in questa poesia che sta in piena sintonia con i versi immortali del Canto LXXXI di Ezra Pound (poetryfoundation.org):
“(…) What thou lovest well remains,
the rest is dross
What thou lov’st well shall not be reft from thee (…)”
(…) Ciò che davvero tu ami, rimane,
il resto è scoria
Ciò che davvero tu ami non ti sarà strappato (…)” (Trad. di RM)
Nel poeta americano è citata la scoria, dross, come ciò che non è entro il grande insieme dell’amore vero e collegato ai sentimenti più nobili dunque, nella poetessa friulana sta la palude. Anche reft da to reave è presente come strappare. Ugualmente per Leda Palma dà valore alla vita solo l’amore, il resto è vuoto e palude. Certo, ma, ci evidenzia la poetessa, si deve amare davvero, un amore che viva nell’area sana degli affetti, non del sesso nella sua materialità che è solo malsana palude, vuoto di tutti i vuoti e assenza di tutte le assenze, un’indisponibilità verso i sentimenti più belli che rende scoria la vita come lo sono le paludi, zone marce e portatrici di malattie. Il tutto espresso nel sopra citato tono crepuscolare, intimistico, senza enfasi particolari, né toni di gloria, ma sommessamente come si conviene ai sentimenti più fini che non fanno chiasso, nell’attesa dell’onnipresente giorno dei giorni che dà loro la nota più profonda.
Il titolo D'era in era sottolinea l’universalità del messaggio nella visione della poetessa: l’amore vero non è un valore che possa tramontare, nulla può cambiare nemmeno con il passare delle ere in questo sentimento che nobilita l’esistere e lo porta lontano dalla palude.
Così il messaggio di questa importante e profonda lirica della poetessa friulana Leda Palma.
Rita Mascialino
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