venerdì 17 dicembre 2021

Mascialino, R., “Stefano Zangheri: ‘sensazione ultima’. Inedito”.  Recensione.

Nell’immagine: il poeta STEFANO ZANGHERI, mentre legge la Motivazione della TARGA ORO ricevuta per la sua silloge poetica “Matera” (2015) 

Una lirica, sensazione ultima, di Stefano Zangheri, la quale esprime a chiaroscuri interiori vieppiù sfumati il momento fatale dell’uomo quando si avvicina la dipartita e ancora, ad oltranza, vuole capire il mondo e godere delle più intense emozioni che gli ha dato la vita nel bene e nel male. Perché la morte è la più grande e squassante emozione nella visione del mondo del poeta e comunque l’ultima dopo la quale sarà l’abbandono della vitalità.

 

“sensazione ultima

 

questo fuggire piano dalla luce /

quest'ombra dalla forma conosciuta /

incontro degli sguardi /

nella linea di fondo che separa /

le verità segrete /

le domande rimaste ad ascoltare /

Io sto/

come pianeta errante nel destino /

che superbo /

immola questa vitalità che s'abbandona”

 

Il fuggire dalla luce implica la volontà o il desiderio di lasciarla – non è la luce che fugge dall’uomo allontanandosene, ma è l’uomo zangheriano che fugge dalla luce presentendo di non essere più adeguato al suo fulgore, di non avere più la forza di stare nel suo regno dei forti. Tuttavia la lentezza che accompagna l’azione implica anche il volersi dare il tempo di assaporare la sensazione straordinaria di allontanarsi dalla luce, simbolo principe della vita, prima di entrare definitivamente nelle tenebre, tempo per l’ultima sensazione senza sprecarla nell’inutile affanno, nella paura. Prima di essere sacrificato quale pianeta errante, uomo senza casa nell’Universo e nella vita, a un destino altero per la sua vittoria sull’uomo, il poeta sta quale magnifica figura solitaria scolpita nel settimo verso “Io sto” con la maiuscola del pronome a indicare la sua identità individuale vicina a scomparire per sempre – non ci sono allusioni ad alcun al di là –, eretto e gigantesco, capace di guardare in faccia un destino che richiede il sacrificio cruento come vuole un’immolazione evocante arcaici miti di ere che appaiono remote, che tuttavia sempre si ripetono uguali e senza tempo. Un destino che diviene in questo canto lirico il cosmo umano, non infinito quindi, bensì dotato, nei suoi pur immensi spazi psichici, di coordinate: quelle segnate dal tempo dell’inizio e della fine. Domande che vorrebbero ancora ascoltare le risposte a verità che rimangono segrete, ormai per l’eternità. Allora il poeta intravede un’ombra nota a lui nell’incontro degli sguardi all’orizzonte che lo separa da ciò che non si può più ottenere. Si tratta di sguardi che si riconoscono alla pari, perché anche tale forma fatta precipuamente di sguardo sta nel medesimo universo dominato dal medesimo destino ed è in grado di guardare il poeta negli occhi nella più splendida e profonda affinità elettiva.

Il verso finale è emozionalmente più intenso e sensuale che mai. Non si tratta di abbandonare la vitalità, ma di una vitalità “che s’abbandona”, ossia che, ormai vinta, si abbandona alla lama del destino, nell’estasi di un cupio dissolvi che realizza la fine in un devastante eros di addio per sempre.

Una poesia per la vita fino all’ultima sensazione.

                                                                                                         Rita Mascialino




  

lunedì 11 ottobre 2021

Rita Mascialino, "Stefano Zangheri: 'rosa di brina'. Poesia."
pubblicata su Literary 2021 e su www.spazialitadinamica.it Sez. Secondo Umanesimo Italiano

rosa di brina

rosa di brina
petalo di ricordo
vetro incrinato dalla nostalgia
bianco sogno
dissolto nel calore del mattino




Lirica emozionalmente così intensa da mozzare il respiro e rendere luccicanti gli occhi, potente nel contenuto come sempre lo sono le tue composizioni. Stefano Zangheri, toscano, riconosciuto come uno dei più grandi poeti italiani della letteratura contemporanea, secondo il mio giudizio: in assoluto il più grande, come ho messo in evidenza nelle lunghe postfazioni a due sue corpose sillogi pluripremiate e in ulteriori analisi a singole liriche. 
Viene dato il buongiorno a una rosa prima che il sole dissolva il manto di brina che la racchiude, come un vetro di ghiaccio quasi a preservarne la bellezza e aggiungerne inusitate preziosità. Un vetro non più integro, sul quale è passata la più estetica e fine tessitura della nostalgia di quanto è trascorso ed è ormai ricordo di quando essa si mostrava imbellita dalla morbida rugiada. Ma oltre la prima suggestiva impressione, andando più dentro alle parole, il bianco drappeggio che la veste introduce il sogno del poeta: bianco come fredda purezza, che svanisce non appena il calore della vita si presenta a cancellare il dono della brina. Non dunque passioni infuocate che esistono grazie alle fiamme più distruttive, ma un’assenza di calore che fa emergere nel poeta la sua interiorità più solitaria e nostalgica in cui può cogliere lo speciale fascino della rosa avvolta nel gelo come una realtà, per quanto astratta, più profonda proprio perché priva metaforicamente della vita di sangue e carne. Un vetro incrinato – o ricamato – dalla più artistica brina che rende possibile l’immaginazione dell’uomo, la ricerca non del romantico fiore azzurro, tuttavia della rosa di brina. Un vetro che il subentrare del mattino, ancora romanticamente, fa svanire come svaniscono tutti i sogni al risveglio. Una rosa di brina della sensibilità del poeta, attratto non dalla materialità – o non più dalla materialità – della vita, ma da quanto la sua mente può creare immaginando mondi artistici, in cui incontra la speciale rosa.
                                                         Rita Mascialino 



sabato 28 agosto 2021

 A causa delle incertezze relative alle misure anti pandemia causata dal Coronavirus si è optato dall'anno 2021 per la Celebrazione del Premio 

esclusivamente online.


PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA ®

Fondatrice e Presidente Rita Mascialino

Comitato del 'Secondo Umanesimo Italiano ®'

XI Ed. 2021 Udine UD Italia












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A causa delle incertezze relative alle misure anti pandemia causata dal Coronavirus si è optato per la Celebrazione del Premio 
esclusivamente online.

Rassegna Fotografica Online
PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA ®

Fondatrice e Presidente Rita Mascialino

Comitato del 'Secondo Umanesimo Italiano ®'


 Ed. 2020 Udine UD Italia




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PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA®

Fondatrice e Presidente Rita Mascialino

Accademia Italiana per l'Analisi del Significato del Linguaggio 'Meqrima'


Sede della Celebrazione IX ED. 2019 

 Salone dei Ricevimenti,  Palazzo Kechler,  Udine UD Italia
Celebrazione del Premio Franz Kafka Italia ® IX Ed., 2019.


Salone dei Ricevimenti,  Palazzo Kechler,  Udine UD Italia
Celebrazione del Premio Franz Kafka Italia ® IX Ed., 2019.

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PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA®

Fondatrice e Presidente Rita Mascialino

Accademia Italiana per l'Analisi del Significato del Linguaggio 'Meqrima'


Sede della Celebrazione VIII ED. 2018 

 Salone dei Ricevimenti,  Palazzo Kechler,  Udine UD Italia
Celebrazione del Premio Franz Kafka Italia ® IX Ed., 2018.



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PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA®

Fondatrice e Presidente Rita Mascialino

Accademia Italiana per l'Analisi del Significato del Linguaggio 'Meqrima'


Sede della Celebrazione VII ED. 2017

 Sala Margherita, Là di Moret, Udine UD Italia
 Celebrazione del Premio Franz Kafka Italia ® VII Ed., 2017.




Sala Margherita, Là di Moret, Udine UD Italia
 Celebrazione del Premio Franz Kafka Italia ® VII Ed., 2017.

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PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA®

Fondatrice e Presidente Rita Mascialino

Accademia Italiana per l'Analisi del Significato del Linguaggio 'Meqrima'


Sede della Celebrazione VI ED. 2016

Sala Capitolare della Carità di San Francesco Grande, Padova PD Italia, 
Celebrazione del Premio Franz Kafka Italia ® VI Ed., 2016.


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PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA®

Fondatrice e Presidente Rita Mascialino

Accademia Italiana per l'Analisi del Significato del Linguaggio 'Meqrima'



Sede della Celebrazione V ED. 2015

Teatro del Kulturni Center Lojse Bratu

ž

, 
Gorizia GO Italia, 
Celebrazione del Premio Franz Kafka Italia ® V Ed., 2015.


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PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA®

Fondatrice e Presidente Rita Mascialino

Accademia Italiana per l'Analisi del Significato del Linguaggio 'Meqrima'



Sede della Celebrazione IV ED. 2014

Teatro del Kulturni Center Lojse Bratu

ž

, 
Gorizia GO Italia, 
Celebrazione del Premio Franz Kafka Italia ® V Ed., 2014.



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PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA®

Fondatrice e Presidente Rita Mascialino

Accademia Italiana per l'Analisi del Significato del Linguaggio 'Meqrima'



Sede della Celebrazione III ED. 2013

Teatro del Kulturni Center Lojse Bratu

ž

, 
Gorizia GO Italia, 
Celebrazione del Premio Franz Kafka Italia ® V Ed., 2015.




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PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA®

Fondatrice e Presidente Rita Mascialino

Accademia Italiana per l'Analisi del Significato del Linguaggio 'Meqrima'



Sede della Celebrazione II ED. 2012

Palazzo Coronini Cronberg, Gorizia GO, Italia
Celebrazione del Premio Franz Kafka Italia ® II Ed., 2012.


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PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA®

Fondatrice e Presidente Rita Mascialino

Accademia Italiana per l'Analisi del Significato del Linguaggio 'Meqrima'



Sede della Celebrazione I ED. 2011

Palazzo Coronini Cronberg, Gorizia GO, Italia
Celebrazione del Premio Franz Kafka Italia ® II Ed., 2011.






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domenica 15 agosto 2021

 

Poesia Non suoni di melodie di Rita Mascialino inserita nella prestigiosa Antologia a cura di Mirco Manuguerra Verso la città ideale, Sezione N. 7: L'assoluto della poesia.


Non suoni di melodie

"Non suoni di melodie

Suasive d'eterno

Ma ritmi

Che spacchino rocce

Armino il passo

Accendano l'occhio

A confondersi

Con lo schianto e le luci

Dei cieli più alti."


Commento critico del Direttore Mirco Manuguerra, Presidente del CLSD:

"ALLE VETTE SUPREME. Il Poeta è un titano la cui anima può essere descritta non da dolce melodia, ma da una marcia esaltante ed in esausta. Inutile parlare d'eterno qui, nel dominio del finito. La musica del Paradiso, nel caso, sarà melodia, ma per i mortali corre l'obbligo di agire. Un inno alla vita come dimensione pura degli Eroi."

Grazie Direttore.

Commento del poeta Stefano Zangheri, Delegato Esclusivo Universum Academy per Firenze su nomina presidenziale Universum Academy Switzerland:

Congratulazioni Rita. Una poesia eroica, vincente, un'esplosione di forza e di coraggio. Versi brevi, incisivi nella profondità della visione poetica, in quella difficile intuizione della comunque compenetrazione nell'infinito.

Grazie Stefano.


Immagine: Studio Fotografico Valentina Venier (2024) - Udine Via Grazzano 39.

sabato 17 luglio 2021

Rita Mascialino, "Mauro Corona: 'Nel muro' "

Il romanzo di Mauro Corona Nel muro (Milano MI: Mondadori Libri 2018: Mondadori Oscar Absolute 2019) presenta la vicenda di un uomo che vive nella montagna friulana, taciturno, isolato dal resto della società per via della forte chiusura di carattere in cui consiste una parte importante della sua tragedia esistenziale. La narrazione si svolge in prima persona, ciò che di per sé può produrre nel lettore l’impressione di una proiezione dell’autore nel suo personaggio. Il fatto che questo non abbia nome accentua tale impressione di identificazione tra io narrante e autore, quasi come in una particolare forma di preterizione, quando si voglia tacere il nome e lo si dica nel contempo, in questo caso vi si alluda nella prima persona e nel silenzio collegato ad una identità nascosta. In altri termini: un nome fittizio avrebbe allontanato, sebbene in ogni caso non del tutto, dall’impressione di una tale possibile proiezione. A prescindere dal fatto che nell’analisi di un’opera letteraria un riscontro tra narrazione e biografia dell’autore ha eventuale senso per una biografia psichica, non concreta, risalente dall’opera alla costituzione della speciale biografia, a parte ciò la mancanza di identità per così dire anagrafica apre anche lo scenario che può stare per una parte del genere maschile – così nel testo di Corona, in cui qui e là si afferma, quasi di soppiatto, che, come l’infelice montanaro che ammazzerebbe tutte le donne per invidia, la pensino anche molti altri uomini, ad esempio (33):

“(…) e come me ce ne sono milioni. Certamente non tutti gli uomini, ma tanti. All’apparenza si mostrano perfetti. Hanno mogli, figli, in pubblico sono educati, gentili. Insomma, uomini irreprensibili. Ma dentro covano il male e l’odio verso la donna (…)”



 

La plurimillenaria storia della relazione dell’uomo con la donna corrobora la validità di quanto affermato dal protagonista del romanzo come nella citazione di cui sopra. Diamo qualche cenno indicativo di tale storia a introduzione dell’analisi dei più importanti temi rappresentati nell’opera.

Citando una religione condivisa da molta umanità, è la donna la causa prima della cacciata dall’Eden del genere umano da parte della divinità maschile. È di fatto nella Genesi che Adamo dà la colpa della trasgressione alla moglie e Dio condanna Adamo perché ha ascoltato la voce della moglie che non avrebbe dovuto ascoltare. Al proposito segue anche qualche nome celebre tra gli altri numerosissimi che hanno teorizzato o sottolineato l’inferiorità mentale della donna rispetto all’uomo così rendendone indirettamente facile e quasi ovvio il maltrattamento, persino l’uccisione: se un oggetto non ha valore, lo si può rompere senza produrre danno. Per San Paolo ad esempio la donna deve tacere nelle riunioni perché sarebbe indecoroso che parlasse. Ma anche filosofi del calibro di Aristotele, diversamente dall’opinione di Socrate, considerano la donna un essere intellettualmente inferiore all’uomo e dal sesso simile a un organo maschile monco. Non va esente dal disprezzo della donna neanche Dante il quale, accanto alla poetica angelicazione della donna tipica del dolce stil novo, rivela a Cangrande della Scala (XIII Epistola) di avere scritto la Commedia nella lingua umile e volgare delle donnette o muliercule, ossia non si trattiene dall’offendere le donne per giustificare di avere adoperato l’italiano anziché il latino, lingua colta. Per venire più vicino a noi, che dire del grande Alessandro Manzoni, che irride nel suo romanzo con il massimo disprezzo la donna povera del popolo affamato durante la rivoluzione di Milano paragonando il suo aspetto comprensivo di un grembiule contenente farina ad una pentolaccia a due manici che si fonde con l’aspetto della donna gravida per come si mostra esteticamente. Già anche Darwin – chi scrive è una evoluzionista convinta, senza sconti fideistici – riteneva la donna un essere inferiore, sbagliando nella fattispecie l’applicazione della teoria che pure aveva ideato o sistemato tanto intelligentemente. Tra i cosiddetti scienziati c’è ancora Möbius che disquisisce in modo accanito sulla deficienza mentale della donna, anzi della femmina, ossia sulla stupidità della stessa che avrebbe il cervello come quello di un animale inferiore, o anche come Lombroso che considera la donna come una stolta e una totale incapace, un’immorale, immoralità che, data l’inferiorità mentale della donna, sarebbe condivisa anche dalla donna nel suo ruolo di madre, appunto secondo questo scienziato. Per venire a un artista, Segantini alias Segatini nel dipinto Le due madri (1889) presenta una giovane donna appisolata su una sedia in una stalla con un neonato in braccio accanto ad una mucca stesa sulla paglia con il vitellino vicino e nel dipinto Vacche aggiogate (1888) che ottenne diverse medaglie d’oro e dove ci sono due – per usare il termine  scelto dall’artista – vacche aggiogate, di cui una in ombra e in secondo piano così che quasi non si vede, mentre è data ampia evidenza in primo piano ad una sola vacca e ad una donna piegata in posizione similquadrupede, così che di primo acchito le due vacche sembrano essere non le due vacche, ma la vacca e la donna. Freud stesso giudica la donna un essere castrato che invidia il pene. Giorgio Bassani ad esempio, tra l’altro, osa paragonare la donna madre a una cagna bastarda e così via in una elencazione pressoché infinita sul disprezzo dell’uomo per la donna. Infine, per venire più direttamente al desiderio di uccidere le donne che tanta parte forma del romanzo di Corona, cito quale emblema il poeta romantico Robert Browning nel poemetto Porphyria’s Lover (1836), L’amante di Porfiria, un capolavoro dell’horror inglese. Nella poesia il protagonista uccide la bellissima donna dallo sguardo che viene connotato come un po’ arrogante, forse per la bellezza di cui è consapevole la donna o per l’eventuale nobile dinastia o per l’orgoglio di avere, come forse crede, conquistato l’uomo. La donna dunque ama l’uomo e questo la strangola per averne il totale controllo, non in un raptus per qualche motivo per quanto non accettabile in nessun caso, ma con calma, utilizzando i suoi stessi biondi e lunghissimi capelli, una delle sue armi erotiche, che il poeta definisce sempre yellow, gialli, togliendo loro così un po’ di bellezza, omicidio commesso mentre essa lo abbraccia fiduciosa e amorevole seduta sulle sue ginocchia. Tale uccisione lo rende felice e soddisfatto, con il silenzio di Dio – implicitamente quasi come se Dio stesso fosse d’accordo –, tanto che l’assassino, in aggiunta con una buona dose di necrofilia, tiene per tutta la notte nelle sue braccia con sinistro piacere il cadavere della donna che si suppone diventi progressivamente freddo, rigido. Ancora una nota: il nome femminile Porfiria, scelto ad hoc da Browning per la donna del suo poemetto, coincide con quello di una malattia o, più esattamente, di un insieme di patologie gravi capaci persino di causare la morte, conosciute già nel mondo dell’antichità greca, diversi secoli avanti Cristo. Certo Browning, dichiaratamente, era un sostenitore delle donne e avrebbe, forse o in apparenza, scritto la poesia per denunciare – in verità molto nascostamente – quanto ci fosse di negativo o dovesse mutare nel rapporto uomo-donna, ma, come dichiara la scrivente in un proprio Aforisma: “Non esiste alibi che tenga nell’arte”, la quale esprime in ogni caso e sempre, anche quando l’artista abbia voluto dire altro o creda di aver detto altro o abbia voluto mentire, la verità ultima di questo e del genere umano, pescando essa nei significati dell’immaginazione inconscia, spesso in gran parte ignoti agli autori, più che in quella conscia relativa alle intenzioni e alle credenze consapevoli degli stessi. Per concludere la breve premessa, in ogni caso in questa analisi non saranno interessanti gli eventi biografici dell’autore o sue proiezioni o altro di simile, starà al centro invece il testo di Mauro Corona.

Venendo ora più direttamente al romanzo di Corona, è comprensibile che la prospettiva aperta dal protagonista su se stesso e su non pochi maschi in generale – non tutti ovviamente – possa non piacere qualora si resti ancorati ad una lettura superficiale, a propri pregiudizi. Più in profondità le cose cambiano come vedremo.

In questo romanzo sono espresse diverse rilevanti tematiche culturali e sociali, psicologiche, delle  quali verranno presentate quelle principali tralasciando altre tematiche pure importanti, ma non così fondamentali: la mentalità avversa alla donna da parte di una certa parte di uomini; la presentazione, senza veli o giustificazioni di sorta, della disgrazia – o della maledizione come anche la definisce spesso l’autore – di essere maschi che non sopportano le donne di cui invidiano addirittura la bellezza; la volontà di approfondire le cause consce e inconsce, ascrivibili all’influsso dell’ambiente familiare e alla eredità genetica, a monte dell’odio verso le donne; l’importanza degli affetti per dare senso alla vita; qualche tratto fondamentale della personalità delle donne; il ruolo dell’arte come catarsi.

Molti personaggi nel romanzo, compreso e in primo luogo il protagonista, odiano le donne precipuamente senza averne un motivo anche solo minimamente valido tranne l’invidia di quella che credono essere la maggiore forza del femminile verso la vita e appunto della bellezza, tanto è vero che alcuni distruggono la bellezza delle donne ferendole, rovinandole con l’acido solforico, con altri mezzi. Il protagonista stesso, un artista, uno scultore, intaglia donne nel legno, belle, che poi sfigura con l’ascia e imbratta con la vernice rosso sangue in un metaforico assassinio e per togliere loro la bellezza che pure ha rappresentato nelle sue opere e che non accetta di dover riconoscere alle stesse, quasi l’accettarla fosse una sottomissione verso la donna, un po’ come per far pagare alle donne di essere belle più dei maschi. Come si evince dal romanzo, in questo modo tali uomini si precludono le relazioni affettive più consuete che si incentrano sulla formazione di una famiglia con una compagna, con figli che nascono e crescono grazie all’amore tra i genitori e dei genitori verso di loro. In tale assenza di amore sostituito dall’odio la vita di questi maschi imbarbariti diventa un inferno non solo per sé, ma anche per gli altri, sfociando in un vero e proprio problema sociale. Certo, l’autore ben evidenzia nel suo romanzo come a monte dei maschi – si adopera qui prevalentemente il termine maschio perché il termine uomo comprende anche il genere femminile, ciò che potrebbe generare qualche confusione – che usano la violenza e uccidono i più deboli o le più deboli ci sia sempre una famiglia altrettanto mal riuscita, un’educazione a rovescio come si vede all’ingrandimento nei serial killer e nel serial del romanzo, Galvano dei Galvan, membro della terribile stirpe montana dei Galvan. Attraverso l’appartenenza alla genìa del bisavolo odiatore delle donne e loro assassino, anche della figlia stessa, il protagonista della vicenda, esso stesso serial per quanto solo immaginario, ascrive la colpa del suo odio per le donne non più solo all’educazione ricevuta dal padre e all’abbandono da parte della madre, ma anche all’eredità   genetica, così dando le coordinate generali per la propria personale colpevolezza nell’ambito. L’uomo cerca comunque di evitare un destino tanto avverso, entro il quale vivere la sua esistenza, con la ricerca ostinata di una via di uscita messa in atto inconsciamente e consciamente dal personaggio di Corona, il quale per un certo tempo riesce anche a sperimentare una sorta di amore per una donna, alquanto speciale a dire il vero, come vedremo nel corso di questa analisi, senza tuttavia giungere ad un superamento efficace della maledizione in questione, la quale resta attiva nel profondo della personalità del protagonista. Tuttavia la consapevolizzazione di alcuni motivi – di ordine familiare e genetico – a monte dell’odio in questione sottrae assieme all’aiuto dell’arte della scultura parte della potenzialità negativa intrinseca alle spinte psicologiche più devastanti, sebbene appunto non risani del tutto la personalità del protagonista che per questo spera con la propria morte che ritiene vicina di porre fine alla maledizione. Un protagonista che è dedito all’alcol e all’assunzione di una droga dal duplice nome Atropa Belladonna, erba che sembra portare in sé la disgrazia dello stesso: la bellezza della donna e il veleno – la morte come dalla parca Atropo – ad essa connesso, nel romanzo si capisce, erba che tra l’alto produce allucinazioni al personaggio che dà così al suo inferno interiore l’aspetto per così dire della donna.

A proposito dell’insopportazione verso la donna nella visione del mondo del protagonista con la conseguenza più ovvia degli affetti non realizzati o non realizzabili, sta la presenza di una cerva che segue l’uomo dappertutto, amata da questo quasi come una donna – come una sposa mite e fedele  (243) ridotta a livello di animale inferiore (131):

 

“(…) A volte mi veniva di abbracciarla con lo slancio di un uomo che stringe l’innamorata. Io non sono normale e la cerva non era una donna. Era molto meglio di una donna. Dovevo rispettarla. Esprimevo il mio affetto con qualche carezza (…)”

 

Certo gli animali danno agli umani quell’affetto incondizionato che nessun essere umano è in grado di dare nella stessa misura e modalità, tuttavia la citazione dello slancio maschile e dell’innamorata rende piuttosto inquietante la figura della cerva al di là della prima parvenza. Si tratta in ogni caso di un animale che sostituisce in linea di massima la donna nella vita del montanaro dal punto di vista affettivo, una metafora che sta per un femminile muto – pare in una certa sintonia con i dettami di San Paolo –, una donna muta e fedele, divenuta animale senza parola, una presenza spaventosa se recepita nel più profondo messaggio di cui è portatrice. Nella stagione degli amori l’uomo imbraccia il fucile per uccidere i cervi che vorrebbero la sua bella cerva, tuttavia non lo adopera in quanto non si sente di togliere di mezzo i rivali che hanno anch’essi il loro diritto all’amore. Accanto a ciò il personaggio evidenzia un forte tasso di necrofilia verso le donne: maneggia costantemente e senza particolare orrore tre vecchie mummie ingiallite di donne uccise in un lontano passato e rinvenute durante i lavori di restauro nell’intercapedine di un muro, appunto Nel muro, di una vecchia e cadente baita che ha acquistato per andare ad abitare nelle solitudini montane. Tre mummie che in numerosi incubi del montanaro dormiente sonni agitati lo montano mentre lui passivamente accetta e non riesce a ribellarsi. Per chiarire: nell’incubo o nel sogno ha comunque rapporti sessuali con tre donne morte, anzi addirittura orrendamente mummificate, che lo possiedono per così dire maschilmente, fatto questo in cui una verità inconscia del protagonista a monte dell’odio per le donne viene ad espressione: la paura e nel contempo il desiderio di essere femminilmente sottomesso al femminile, desiderio contrastato, ma inconsciamente attivo. Da tale orrore lo salva in qualche misura il citato affetto della cerva, di un femminile, va ribadito, comunque privo dell’uso della parola e completamente sottomesso. Aggiungendo una brevissima nota relativa a un tipo di assonanza linguistica, in italiano: cerva-serva, assonanza presente nelle associazioni inconsce del personaggio, se non anche in quelle consce. La cerva dunque è la compagna più sincera del montanaro, colei che non lascia mai l’uomo che non ha amici tranne lei e   e un vermiciattolo scoperto in una foiba dove l’uomo vorrebbe andare a morire.

La volontà del protagonista dunque di restaurare la vecchia baita di montagna appartenuta, per quanto ne sa al momento dell’acquisto, a sconosciuti e che diventerà la sua casa più abituale si presenta piuttosto chiaramente come un tentativo di restaurare la propria personalità in rovina – la casa è, tra l’altro, un simbolo classico della personalità umana. Essa è descritta nel primo capitolo del romanzo, primo piano che evidenzia la sua speciale importanza nella vicenda narrata. L’uomo, spinto da una forza inconscia, vuole rendere abitabile tale vecchia casa precaria e inospitale, ormai un rudere buono per i corvi e il pivasòn, l’uccello della morte che con il suo lungo becco succhia il sangue dei ciuffolotti non solo per nutrirsi, ma anche per il piacere di uccidere – così disse il padre del protagonista –, l’uccello che secondo la superstizione popolare non si deve mai guardare in quanto chi lo guardasse morirebbe entro breve tempo. Una baita non per vivere, ma per morire, come dichiara lo stesso protagonista. Nella baita l’uomo inizia il restauro sfondando il muro interno con il piccone, ossia sul piano metaforico: abbattendo l’ostacolo più resistente e andando coraggiosamente in profondità nella propria personalità, intercapedine dove si trova di fronte al suo problema più grosso, quello relativo a concrete donne morte ammazzate, diversamente dalle sue statue di donne mutilate a colpi di scure che ne sono un surrogato per così dire. Sulla pelle rinsecchita delle tre mummie ci sono strani segni che paiono di un idioma sconosciuto che il personaggio vorrà decifrare a tutti i costi, il linguaggio ignoto dell’inconscio che si è palesato nella sua forma non immediatamente comprensibile. Di fatto il romanzo consiste precipuamente nei tenaci tentativi del protagonista di capire tali messaggi incisi sui cadaveri delle tre donne, messaggi che si dischiudono alla fine della vicenda con il chiarimento di quanto possa stare alla base della personalità così inquietante dell’uomo, che risulta essere un serial killer mancato, ossia non realizzato pienamente, ma comunque tale nella personalità, come confessa il personaggio stesso. Il protagonista dunque porta avanti tale indagine consultando esperti di vario tipo, anche un pievano – il protagonista è anticlericale, non stima i preti, né crede nell’al di là –, i quali però non sanno in generale decifrare quei segni, ciò da cui emerge come sia l’individuo da solo a dover ricercare la propria verità senza aspettarsi l’aiuto di nessuno. Feroce è la presentazione dello psicologo che condivide con lui la volontà di uccidere le donne e che nel prosieguo del tempo passerà all’azione uccidendo realmente, non solo nel desiderio, cinque donne e venendo condannato con due ergastoli, uno psicologo che ha ancora più problemi di chi dovrebbe saper curare.

Diegeticamente la ricerca di decifrare i messaggi scritti sulle mummie – o nell’inconscio più nero – viene condotta dallo scrittore Corona con continui rimandi a successive fasi esplicative nel prosieguo dei capitoli, rimandi che appunto prorogando la soluzione riescono a tenere desta la suspense. Per chi è interessato solo o in primo luogo alla trama bruta delle opere letterarie, ossia per chi sta nella superficie della narrazione, ciò può risultare fastidioso, non così per chi voglia capire il significato del romanzo che, va tenuto presente, è un thriller psicologico, non un romanzo d’azione o di avventura. La lentezza nel procedere dei pochi eventi concreti rappresenta in realtà molto efficacemente la difficoltà insita nell’impresa di sondare e decifrare la muta vita interiore, dove sta la verità ultima dell’uomo. I segni scritti sulla pelle delle donne con un appuntito e tagliente becco di corvo quando ancora erano vive riveleranno soprattutto l’identità più profonda e verace del protagonista, i fatti occorsi e codificati nell’oscuro e misterioso linguaggio a monte della personalità. In altri termini: in questo thriller di Mauro Corona l’indagine è squisitamente psicologica, condotta dal protagonista che scava in se stesso, oggettivato in una baita cadente e restaurata proprio con lo sfondamento del muro, restauro che rende l’abitazione capace di resistere alle intemperie della montagna – alle intemperie della personalità del protagonista. Una narrazione che è godibile su due fronti, uno relativo ad una concreta storia, l’altro relativo a un viaggio ad oltranza nell’inconscio, un viaggio molto ben strutturato in una concatenazione di eventi che appaiono concreti.    

Il protagonista della vicenda, un intagliatore divenuto nel tempo ricco e famoso grazie alle sue inquietanti sculture lignee di donne, riesce ad un certo punto a instaurare, come anticipato, un rapporto positivo con una donna, che definisce la donna senz’ombra sulla scia di un’opera di Hugo von Hofmannsthal che viene citata nel romanzo. Si tratta tuttavia di una donna non del tutto reale in quanto appunto non proietta alcuna ombra, che proietterebbe se avesse un vero e proprio normale corpo. Se non un prodotto dell’immaginazione, senz’altro una donna non proprio tale per così dire. Lasciando stare qui qualsiasi raffronto con la fiaba di Hofmannsthal, con lei il protagonista è abbastanza sereno, sente in sé una buona disposizione per una donna. Il protagonista è anche un audace e abile  scalatore e porta la donna a scalare le montagne a lui tanto care ed essa si dimostra capace di seguirlo come un gatto (189). Le insegna anche a scolpire. Ma la donna senz’ombra, ossia senza corpo, metaforicamente quasi un doppio dell’uomo al femminile, abbandona poi l’uomo stesso per un altro uomo e lascia il solitario artista e arrampicatore nella disperazione (189): 

“(…) È mostruosa, feroce, unica, la determinazione di una donna che non ti vuole più. Cambia volto, espressione, occhi. Ti senti perduto, demolito, polverizzato, senza il minimo appiglio per tenerti a galla (…)”

Il narcisismo maschile del protagonista riceve un durissimo colpo, ma non si tratta solo di questo nel messaggio del romanzo. Il dolore acuto per l’abbandono si riferisce anche e forse soprattutto al fatto di dover vivere da solo, senza una compagna, senza una donna quale immagine materna, al di là della muta quanto fedele cerva o serva. Tale donna pare aver dato molto al protagonista nella cui interiorità ha fatto sbocciare una diversa conoscenza del femminile, un sentimento dell’amore come in una felice pausa di riposo o quasi riposo del consueto odio, ma l’abbandono tuttavia evita che cambi l’impostazione generale della sua personalità rispetto alla relazione con le donne, come a dimostrazione del fatto che i rapporti affettivi realmente utili agli esseri umani, quelli che danno senso alla vita, siano quelli positivi, ossia quelli che vanno a buon fine e dei quali l’uomo non ha avuto esperienza in precedenza. La donna è sì positiva, ma è appunto senza ombra, è un essere che ha molto dell’irreale, sembra quasi frammista alla fantasia dell’uomo, non è una donna alla fine troppo diversa dalle altre, abbandona il montanaro per un altro uomo che pare interessarla di più, è l’uomo che la interpreta diversamente dal solito, come in un tentativo di riappropriazione della madre, tentativo che non riesce perché anche questa donna lo lascia definitivamente come già la madre. Il positivo sta negli anni trascorsi con lei, accanto alla mamma perduta nell’infanzia – il restauro della baita ha dato i suoi frutti –, accanto a una mamma nuova che ripete sì il vecchio Leitmotiv dell’abbandono, ma in età adulta e ad avvenuto restauro. L’abbattimento del protagonista di fronte all’abbandono della donna evidenzia comunque nel romanzo come i sentimenti d’amore siano sempre leopardianamente assoluti, sorti per durare tutta la vita in una comunione di cuori, esperienza che appunto il protagonista non ha avuto che per un periodo e non del tutto compiutamente se si deve dare un senso alla mancanza dell’ombra – l’eventuale metafora per l’assenza di macchia non regge in quanto di per sé non cancella comunque la realtà dell’assenza di ombra, quindi la non perfetta realtà della persona permane, ciò che sottolinea come il recupero del femminile avvenga inevitabilmente solo in un cambio di ottica del protagonista, mentre i fatti si ripetono restando i medesimi nel loro schema generale.

Per quanto riguarda le donne presenti nel romanzo, esse non parlano quasi mai in prima persona in dialoghi, ossia prevale il silenzio delle stesse, in questo simili a chi non abbia diritto alla parola nel mondo del protagonista. Si tratta di esseri di cui emerge come, nella quasi totalità – le eccezioni sono costituite dalla madre del protagonista e dalla donna che gli fa da mamma per un certo tempo – siano disponibili a farsi vittime dei maschi sottovalutando la maggiore forza fisica degli stessi e la loro non  infinita pazienza che si manifesta nelle scariche violente sui più deboli, specialmente sulle donne in quanto parte debole della società. Queste donne spesso irridono molto stoltamente i maschi sentendosi ad essi superiori, superiorità che si basa tuttavia non sul possesso di intelligenza eventualmente superiore a quella in possesso dei maschi, bensì si basa semplicemente sul possesso dell'attrattiva sessuale che esercitano sugli stessi, un'attrattiva che non le rende in realtà superiori ai maschi in nessun modo, come viene messo in evidenza nel romanzo le donne vengono anche uccise per la loro sciocca irrisione del più forte. Queste donne, per come sono presentate nel romanzo, non capiscono per nulla, come già accennato,  la complessa personalità del maschio e la sua non infinita pazienza, non capiscono neanche come non sia cosa buona e saggia stuzzicare l'animale più forte e non sciocco, spesso intollerante verso le irrisioni da parte delle donne. Il terribile Galvan – come si apprende verso la fine del romanzo, l’assassino delle donne, tra cui la figlia stessa – afferma che le donne se la vanno a cercare la disgrazia con i maschi e questo sembra essere piuttosto vero in quanto esse non si accorgono di chi stia loro di fronte, un animale tanto più forte fisicamente di loro e  vedi la Porphyria di Browning – diverso da loro nell’impostazione verso la vita, nella visione del mondo, un animale che può far loro pagare il fio di una semplice presa in giro uccidendole con totale facilità, ossia tali donne sembrano mancare di qualsiasi vigilanza, di intelligenza. In ciò sta la grande debolezza delle donne per come viene mostrata ampiamente e oggettivamente nel romanzo a dispetto di quanto affermi esplicitamente qualche volta il protagonista che le ritiene più forti dei maschi perché dotate di attrattiva sul piano sessuale, attrattiva che possiedono essi stessi in ugual misura o quasi. 

Centrale risulta nel romanzo l’influsso dell’arte quale potente strumento di espressione della visione del mondo degli artisti, soprattutto inconscia, quale strumento di catarsi per l’artista e universalmente per l’Uomo interessato all’arte – le orride sculture del protagonista hanno successo, piacciono agli umani, che ne traggono pertanto beneficio nel profondo come espressione di verità che, chiuse nei circuiti muti della personalità, emergono avendo voce in varia misura e modalità, consentendo così la scarica liberatrice delle tensioni accumulate nella rimozione. 

Una finale nota fuori analisi sulla derivazione ereditaria geneticamente cui si rifà il protagonista per spiegare la propria bestialità interiore. Andando indietro nelle ere, spicca una caratteristica nei primati socialmente organizzati ad harem con il maschio dominante, che riporto con un aneddoto significativo. Un maschio aveva preso di mira una femmina senza averne un motivo plausibile qualsiasi, mentre tutti gli altri del branco stavano a guardare lo spettacolo. Ad un certo punto uno di essi, figlio di quella femmina, intervenne a difesa della stessa facendo smettere il massacro che di fatto finì, troppo tardi tuttavia in quanto la femmina morì poco dopo a causa delle ferite mortali subite. In una comparazione con l’attualità, questo maschio è l’esempio di come debbano essere i maschi ad agire essendo i più forti membri della società umana e detenendo il potere, ossia come debbano assumere essi l’iniziativa per prendere aperta posizione contro i maschi stessi, ossia come debbano essere essi a intervenire molto esplicitamente per fare smettere ai maschi il cosiddetto femminicidio come viene indecorosamente definita l’uccisione delle donne invece che con il termine più consono donnicidio, parallelo in qualche modo a omicidio.

Nel muro di Mauro Corona attua questo intervento maschile che denuncia il negativo di tanti maschi.  Il romanzo spezza una lancia, brandita da un uomo, da un maschio, contro la violenza sulla donna denudando il lato più oscuro di una parte del mondo maschile, ciò non tralasciando di evidenziare una certa mentalità diffusa nelle donne che non depone a loro vantaggio. Un'opera letteraria coraggiosa, in cui il protagonista, un uomo, non ha paura di rivelare i suoi lati negativi più segreti.

Per finire in bellezza l'analisi dell'importante romanzo Nel muro: la montagna friulana trova in Mauro Corona un vero e proprio cantore, che quasi sembra condividerne, per così dire, l'anima più profonda e più vera, come mostrano le sue descrizioni che non hanno nulla a che vedere con la presentazione della stessa come si ha a scopi turistici, la quale nasconde la verità di una tale natura che respira e ispira in realtà tristezza e spavento, simboleggiata emblematicamente nel romanzo dal pivasòn, il crudele uccello della morte che ne è l’abitante sovrano.

                                                                                                      Rita Mascialino

Immagine: Rita Mascialino in Postproduzione fotografica di Marino Salvador su Fotografia (2019) di Raffaella Manzini, Photographer in Firenze.


  

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