mercoledì 7 agosto 2024

 Rita Mascialino, Identità di grammaticale di genere e identità dell'essere umano

Partendo dal punto di vista democratico secondo il quale ognuno ha diritto di scegliersi un sesso diverso da quello somatico sul piano psicologico, anche diritto di mutare il sesso somatico stesso in base a terapie e operazioni chirurgiche, partendo da ciò viene difficile accettare la confusione che ne è sorta a proposito dei generi grammaticali nell’Unione Europea. Come conseguenza del cambio di sesso sul piano psicologico, sembra che ci siano molti problemi sull’uso del genere maschile o femminile per l’identificazione anagrafica, tanto più che tale genere può essere alternato in base ai desideri del momento per così dire, anche in seno ad una stessa giornata come nel genere oggi cosiddetto fluido. Quale soluzione del problema grammaticale che è derivato da tutto ciò, pare che il maschile e il femminile non potranno più esistere nei documenti, bensì potrebbero essere sostituiti da un asterisco in luogo delle desinenze discriminanti o per tutti gli esseri umani in differenziatamente, a parte ulteriori modifiche che si possono prevedere vista l’incertezza delle ipotesi sul tema dei generi ad esempio secondo le indicazioni proposte o emanate di volta in volta dai pensatori dell’UE, i quali non sono ancora riusciti a uscire dall’impasse, trovando una soluzione logica sul piano orale e scritto.

Studio Fotografico Valentina Venier - Udine, Via grazzano 38

Mi occuperei in questa riflessione principalmente della presenza eventuale di un asterisco che nasconda il genere dell’individuo, del cittadino in democrazia per rispetto della Privacy, come è stato proposto dall’Unione Europea. Tutto ciò con difficoltà e complicazioni – non complessità – relative agli appellativi illocutivi nell’uso comune per le persone quando ci si vuole appunto rivolgere ad esse – tipo signore o signora, per far un solo esempio –, questo perché colui o colei o coloro dotato o dotata o dotati e dotate di un sesso psicologico diverso da quanto usualmente creduto in base al sesso somatico, potrebbe o potrebbero sentirsi, per altro giustamente, offeso offesa offesi offese o discriminato discriminata discriminati discriminate ingiustamente. Si vedono immediatamente gli appesantimenti e le prolissità burocratiche del caso. Gli asterischi eviterebbero la prolissità, ma non l’accumulo costante degli asterischi stessi e porterebbero nel tempo a cambiamenti linguistici di perdita di differenziazioni come già ad esempio  l’inglese ne mostra di suo in una semplificazione che non appartiene alla personalità latino-italiana e che quindi, nella fattispecie, produrrebbe, forse, qualche stravolgimento identitario non proprio positivo su cui  si potrebbe riflettere in altra sede – i popoli non sono tutti uguali e non lo devono obbligatoriamente diventare.

C’è da chiedersi per primo a proposito degli appellativi e dei documenti, delle lettere e dei certificati e di tutto il resto di analogo: perché si deve nascondere il proprio sesso somatico o genetico? La risposta appare semplice quanto circolare: perché si vuole avere un sesso diverso e il permanere di quello somatico nella grammatica del linguaggio sarebbe sentito come una non accettazione della propria scelta diversa, ossia ci si sentirebbe come persone diverse, prive della cittadinanza per così dire. Ma per fare un esempio celebre: Giulio Cesare era soprannominato il marito di tutte le mogli  e la moglie di tutti i mariti e questo non lo disturbava minimamente, almeno all’apparenza, era un maschio forte, tanto forte e non gliene poteva importare di meno delle prese in giro – oggi assolutamente e giustissimamente vietate – per le sue scelte etero e omo di cui non faceva nessun mistero secondo l’occasione. Per altro le nozze tra gay pare fossero all’epoca consentite per quanto si verificassero molto raramente e solo tra maschi. Certo, Giulio Cesare era, detto con una diafora, Giulio Cesare, un grande uomo, scrittore e audace guerriero, nonché politico a Roma, ma, in ogni caso, credo si debba produrre qualche soluzione migliore di quella relativa al nascondimento dei generi, agli asterischi o altro di simile. 

Ma allora, che cosa proporrei io stessa? Molto difficile a idearsi, ci pensano già, come accennato, autorevoli pensatori e pensatrici al Consiglio Europeo senza trovare soluzioni soddisfacenti che non rechino danno a nessuno e che non aumentino lo stato confusionale. Se tuttavia dovessi esprimermi, io lascerei, grammaticalmente in tutti i documenti, il genere rappresentato somaticamente – o geneticamente – con l’aggiunta ‘detta’ e nome maschile per una donna e ‘detto’ con nome femminile per un maschio, ponendo una fine che valuto del tutto decorosa per chiunque alla quaestio riguardante i generi grammaticali che pare presentarsi come infinita, non risolvibile, soprattutto non risolvibile dando la validità assoluta a preferenze psicologiche che possono variare dando luogo a una giostra assurda delle identità. Ribadendo: direi di lasciar valere i generi somatici e genetici con l’aggiunta dei nuovi nomi nei documenti anagrafici e di qualsiasi tipo, questo per non creare disfunzioni burocratiche e a nessun livello per nessuno e in perfetta trasparenza e diritto di ciascuno.

Ritengo davvero poco accettabile la rivoluzione linguistica grammaticale a proposito dei generi, io non vorrei mai avere un asterisco in luogo della mia identità di genere che è quella di una donna, mi sentirei defraudata di parte essenziale dell’identità, del riconoscimento della mia identità somatica a prescindere da quella psicologica visto che la potrei avere senza nasconderla, ossia se ne avessi un’altra diversa sul piano psicologico io personalmente rinuncerei anche al ‘detta’ con nome maschile perché non me ne potrebbe importare di meno, ma appunto questo fa parte della mia personalità che non deve coinvolgere la personalità di tutti, ci mancherebbe. In ogni caso non mi andrebbe bene di nascondermi dietro un asterisco – ciò che non accetterei mai a prescindere da qualsiasi legge in merito –, troppo forte è in me il senso della più compatta identità personale pur comprensiva delle possibili e più varie sfumature identitarie, sono Rita Mascialino e come tale voglio essere riconosciuta a prescindere da eventuali possibili varietà psicologiche che posso avere come è nella norma delle cose in fatto di identità di genere. In ogni caso accetterei al massimo, se avessi una doppia identità di tipo sessuale e di personalità corrispondente che non ho, il nome di genere diverso come ‘detta’ con nome maschile scelto una volta per tutte, con buona pace della morfologia.

Non mi occupo qui del problema della scelta del sesso psicologico alle elementari o alle medie, quando la fanciullezza e la preadolescenza possono giocare scherzi notevoli al proposito, appunto non me ne occupo in questa riflessione in cui mi sono occupata della semantica grammaticale di genere estesa ai documenti, agli appellativi illocutivi e ai nomi aggiunti con il ‘detto’ e ‘detta’, semantica degli asterischi e dei nascondimenti da me assolutamente rifiutata su base del pensiero oggettivamente democratico e logico. In un’epoca di trasparenza, almeno dichiarata e richiesta in ogni settore, proprio il nascondimento dell’identità sessuale, somatica o genetica e di conseguenza anagrafica, ritengo sia, anzi debba essere inaccettabile a tutti i livelli.

Per altro, nella fattispecie, c’è tuttavia un problema non da poco da tenere presente: la situazione generale di non comprensione della semantica relativa al concetto e termine diritto. Nessuno toglie alle persone il sacrosanto diritto di sentirsi uomini o donne a prescindere dal loro sesso somatico o genetico e a essere riconosciuti come preferiscano, ma questo diritto non può causare possibili disfunzioni pratiche e concettuali, danni dovuti alla confusione possibile nella società, danni nella cultura umana che potrebbe così venire sottoposta, sottilmente e subliminalmente, a un trattamento di globalizzazione di genere a livello micro- e macroscopico degli individui e dei popoli deprivati in parte, nel tempo medio, del senso unitario dato da una forte e unica identità – non tutti sono Giulio Cesare –, la quale a me pare un buon mezzo per rafforzare e non per indebolire la salute mentale di ciascuno. Inoltre non riesco a evitare di ritenere che dando questo tipo di cosiddetta libertà sessuale agli individui, si dia loro un giocattolo adatto a soddisfarli e a fare perdere tempo, prezioso tempo, ciò portando via troppo spazio a interessi, mi si conceda, ben più validi che asterischi o fluidità di genere. L’identità sessuale è una composizione di sfumature in varie proporzioni nella quale una prevale sulle altre – lasciando perdere qui ogni approfondimento della questione del prevalere nell’ambito –, non è mai né può essere mai del tutto unitaria psicologicamente e questo è un dato di fatto, consciamente o inconsciamente presente, in tutti, ma ciò non può rischiare di diventare il diversivo per eccellenza, un po’come il cibo che, se assunto a volontà, dà una soddisfazione che copre magari tutte le altre possibili o molte altre possibili soddisfazioni, più interessanti e utili al progresso del singolo e dell’umanità. Per chiarire: non solo il cibo, ma anche il sesso divenuto gioco dominante – lasciando qui stare tutti gli altri giochi possibili – può indebolire il desiderio di foscoliane ‘egregie cose’ attraverso una falsa soddisfazione onnivalente e a buon mercato, molto a buon mercato, così che terribilmente il gioco con il sesso e con le illusioni a questo collegate sprechi o smorzi le forze migliori di ciascuno. Si tratta di priorità e credo che le foscoliane ‘egregie cose’, come tensione ad esse ed eventuali realizzazioni, debbano avere la priorità per il bene di tutti, per un senso più alto di democrazia e di progresso nel contesto di diritti e di doveri.

Per concludere: meglio dell’inaccettabile asterisco che nasconde, ben vengano ‘detto’ e ‘detta’ nei documenti, come più sopra, così che sia tutto trasparente e onorevole, alla luce del sole e non oscurato assurdamente aumentando la confusione e l’equivoco identitario.

                                                                                                                   RITA MASCIALINO

Mascialino, R., (4) Riflessioni sulla Tesi di Laurea di Liviana Chiolo ‘Pinocchio tra palco e pellicola’: il capitolo 1.2 

Rita Mascialino, Riflessione 4

Introduzione alle Riflessioni da parte di Liviana Filippina Cava Chiolo: 

‘In sinergia con la Dr.ssa Rita Mascialino, a seguito di un'idea frutto di una corrispondenza letteraria, seguirà un corpus costituito da una serie di riflessioni e approfondimenti incentrati sulla mia Tesi di Laurea, dal titolo 'Pinocchio, tra palco e pellicola'. Ogni settimana, circa, verrà pubblicato una notazione che metterà in rilievo una caratteristica fisica o caratteriale di uno dei personaggi dell'opera in questione; un ambiente o una determinata scena, che porteranno alla luce il vero significato semantico dell'opera di Collodi. Una fiaba che contiene al suo interno un universo incommensurabile di significati.’ (Tesi di Laurea ‘Pinocchio tra palco e pellicola’ di Liviana Filippina Cava Chiolo - Anno Accademico 2021/22, Università degli Studi di Catania DISUM Dipartimento di Scienze Umanistiche, Relatrice Chiar.ma Prof.ssa Simona Agnese Scattina)

“Scrive Liviana Chiolo nella sua Tesi (33):

‘(…) A tutti è noto che Geppetto vuole fare del figlio burattino un pagliaccio con determinate caratteristiche che gli consentono, appunto, di trarne profitto. Egli afferma nel secondo capitolo del racconto che desidera costruire: «un burattino meraviglioso che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino». Questo progetto apparentemente innocuo – posto in primo piano nel testo – fa sembrare ai nostri occhi Geppetto il buono e Pinocchio il cattivo ma in realtà nasconde al suo interno la verità più triste e amara. Facendo Geppetto, sul piano metaforico, un burattino del suo figlio adottivo, lo pone in una condizione di una doppia inferiorità rispetto agli altri ragazzi, doveva farne caso mai un ragazzino per bene, ma non lo ha fatto e nel saggio della Mascialino emerge come tutto ciò che di buono riesce a fare lo svantaggiato burattino è merito solo del suo cuore generoso che ha da sempre, prima di subire l’educazione o la diseducazione cui lo sottoporrà Geppetto e come la redenzione di sé e del padre è dovuta solo al suo buon cuore che mai perde in tutte le sue disavventure  (…)’

                                                                                              

Liviana Filippina Cava Chiolo fotografata con la famiglia nel giorno della sua Laurea

 

Per bere il bicchiere di vino, dice Geppetto, e per guadagnarsi da vivere grazie al pagliaccio o burattino o saltimbanco per come vuole addestrare Pinocchio, tutto ciò espresso, come ben sottolinea la Chiolo nella sua Tesi, nel particolare stile di Collodi che “fa sembrare ai nostri occhi Geppetto il buono e Pinocchio il cattivo, ma in realtà nasconde al suo interno la verità più triste e amara” (33). In questa Riflessione approfonditiva vorrei soffermarmi ancora sull’alcolismo del padre putativo di Pinocchio aggiungendo un chiarimento alla prima comparsa della Fata Turchina mimetizzata sotto mentite spoglie, come vedremo. Dunque il personaggio Geppetto, adombrato implicitamente in Mastr’Antonio, è un alcolizzato che ha come compagno di sbornie nella sua vita solitaria solo il suo inconscio, il suo profondo, ossia Maestro Ciliegia, il suo doppio dal naso paonazzo tipico dell’alcolizzato, come il soprannome evidenzia sia in una divertente e allegra rappresentazione per bambini, sia in una tremenda allusione indirizzata ai grandi, ben diversa da qualsiasi gioco per piccoli, questo nello stile tipico di Collodi che nasconde ai piccoli e rivela ai grandi, anche questo molto esattamente evidenziato dalla Chiolo come nella citazione di cui sopra – chiariremo in altre Riflessioni il buon cuore di Pinocchio.  Pertanto, riflettendo, vediamo come siano presenti i due personaggi di Geppetto adombrato in Mastr’Antonio, il suo doppio a livello profondo, e del pezzo di legno parlante che ancora non si chiama Pinocchio, ossia anch’esso non è presentato nella sua completa identità. Sembrerebbe che mancasse la Fata Turchina. Al contrario, è presente anch’essa, basta analizzare il testo nella sua semantica per così dire coperta, implicita, allusiva. La troviamo alla fine del capitolo associata tremendamente alla punta del naso di Mastr’Antonio-Ciliegia-Geppetto che da paonazza diventa turchina. Essa è prefigurata implicitamente non solo nell’aggettivo “turchina” che sarà il suo segno identitario in tutto il racconto, ma anche in altro, come Collodi sottolinea a chiarimento per chi non associasse il colore alla Fata. Alla fine del primo capitolo del racconto sta una particolare configurazione tipografica che spezza il termine diventata andando a capo alla fine del rigo con  diven- e ponendo all’inizio del rigo successivo tata. Dividendo “diven”- alla fine del rigo e “tata” all’inizio del rigo successivo si vengono a trovare vicini “tata turchina”, ciò con cui la consonanza o assonanza con Fata Turchina non potrebbe essere maggiore e più evidente. La “tata turchina”, associata alla Fata, e quasi mamma del futuro Pinocchio, al naso paonazzo di un alcolizzato fa della Fata Turchina la compagna di un bevitore estremo, di un beone, ciò che colora essa stessa di paonazzo, di turchino. Questo si evince dall’analisi del testo di Collodi, che avrebbe potuto evitare nella sua revisione della bozza da pubblicare le figure di suono della consonanza e assonanza nella separazione del termine citato, se non ne avesse voluto l’effetto. È impossibile che Collodi, espertissimo in giochi di parole quale era e noto per questo, non si sia accorto di tale assonanza per così dire visibile, assonanza creata appositamente. La Fata era anch’essa una beona? Certamente no, viene associata però nel testo di Collodi molto corrosivamente – e inequivocabilmente – a un beone come sua possibile compagna e, se non come mamma, tuttavia come futura facente funzione di mamma per Pinocchio. Così i protagonisti del racconto: Maestro Ciliegia-Mastr’Antonio-Geppetto, Pezzo di Legno Parlante, Fata Turchina, appaiono mascherati nel primo capitolo in un capolavoro espressivo di Collodi, ben diversamente dalla prassi esegetica consueta, tradizionale.” 



Liviana Filippina Cava Chiolo fotografata con la famiglia nel giorno della sua Laurea





_________________________________



  Rita Mascialino ,  ‘Insieme falceremo il vento’: Poesie di Angioletta Masiero. Recensione. La silloge poetica Insieme falceremo il ven...