giovedì 21 dicembre 2023

Rita Mascialino, La celebre similitudine dantesca delle colombe e le sue implicazioni esegetiche innovative

    Immagine: whoswho.de

Lo studio, facente parte della 'Trilogia Dantesca' è apparso nella Rivista Culturale «Lunigiana DantescaDirettore Mirco Manuguerra, Rubrica 'DANTESCA',  CLSDCentro Lunigianese  di Studi Danteschi, N. 204, aprile 2024. Segue la presentazione dello Studio a firma del Direttore Mirco Manuguerra:


"In tutta l'enorme produzione offerta in sette secoli di studi sulle figure immortali di Paolo e Francesca nessun autore era mai riuscito a far emergere dai versi di Dante - al di là delle semplici, inevitabili allusioni indirette - la spinosa questione dei matrimoni combinati, usanza a cui lo stesso Dante, come noto, non fu davvero estraneo, sia per il destino in cui incorse Beatrice, sia per la propria stessa vicenda matrimoniale, per molti versi ancora assai velata.

Rita Mascialino, in forza del suo originalissimo metodo di analisi semantica, prescindendo dichiaratamente dalla dimensione allegorica del poema, che non è affatto negata, è riuscita a porre in evidenza l'argomento in forza di una similitudine che emerge nel Canto come un'isola tutta a sé stante: quella delle due colombe che Dante non ha esitato ad accostare ai due cognati, coppia di uccelli notoriamente simbolo tradizionale di purezza, pace e fedeltà.
Se dunque dall'analisi esegetica, mossa sul livello allegorico del testo, la similitudine è un inganno ordito dalla straordinaria arte del poeta per distogliere l'attenzione del lettore dalla oggettiva presenza dei due cognati nel dominio delle anime lussuriose ed indirizzarlo così verso una errata assoluzione dei dannati, dall'analisi semantica emerge in tale accostamento una peculiarità tanto straordinaria da porre in evidenza una posizione delle due anime in effetti estranee al contesto infernale di appartenenza.
Il CLSD, che da sempre afferma la natura polisensa del testo dantesco, accoglie con grande interesse e favore il presente lavoro di Rita Mascialino, perché esso va a completare il pensiero di Dante intorno ad una problematica non trascurabile ma da sempre rimasta a margine del tragico destino dei due protagonisti."
Il Direttore Mirco Manuguerra

Il presente studio riguarda un'interpretazione non conformistica nei confronti delle più autorevoli analisi critiche, che si conoscono e rispettano assolutamente, ma di cui non si tiene conto. Si tratta di un’interpretazione del tutto nuova, non già presente nella critica a livello nazionale e internazionale, ossia: non è una ripresentazione sinonimica di concetti già noti, ma di un ‘analisi e interpretazione che danno esiti innovativi. 

Seguono la testé annunciata interpretazione della similitudine delle colombe [1] e le sue implicazioni nell’articolazione semantica del pezzo concernente i due amanti adulteri, il significato profondo e sconvolgente di una tale similitudine riferita ai due adulteri condannati all’Inferno e comprensiva dei risvolti sociali e religiosi nonché relativi a circostanze della vita di Dante stesso, risvolti che giungono con la loro ala fino alla più recente attualità. Non ci interessa nell’analisi la biografia dei due amanti come viene narrata nelle varie versioni risalenti all’epoca, ma ci interessa come Dante presenti nel testo la complessa situazione biografica in cui vivono i due amanti, specialmente Francesca, né prendiamo in considerazione, al di là di necessari rimandi culturali, l’impianto e il metodo allegorico, l’allegoria.

Si osserva allora che Dante, pur inserendo Paolo e Francesca entro la cornice allegorica relativa ai Lussuriosi, non dà loro, nel testo che ad essi inerisce, alcuna connotazione esplicita quali lussuriosi. Di fatto – fatto linguistico, artistico – nel testo dantesco né Paolo né Francesca vengono mai direttamente collegati al vizio della lussuria – ribadisco: al di là di ogni inserimento allegorico presente voluto da Dante –, mentre ad esempio per Semiramide si dice che a vizio di lussuria fu sì rotta/ che libito fe’ licito in sua legge (55-56) e si apprende bene di una Cleopatràs lussuriosa (63). I due amanti vengono, al contrario, collegati, pur con tutti i limiti semantici dell’ambito, al cuore gentile e all’amore che non perdona chi lo senta in tali cuori gentili, amore nobile, che perciò meno che mai possono essere volti al vizio della lussuria, caso mai a debolezza dei sensi e dell’attrazione reciproca, come per altro avviene in tutti gli amori, anche i più ricchi di sentimenti. Dante esprime invece, ciò che è molto interessante, attraverso i due personaggi la sua propria visione dell’amore che mostra spunti di critica profonda e complessa alle regole del vivere sociale del tempo, spunti in contrasto non solo con le convenzioni sociali, ma anche con i precetti divini per come siano rappresentati dall’autorità ecclesiastica. Sulla scia della similitudine che sta come uno scoglio semantico – fuori da ogni allegoria – inamovibile dal testo dantesco, Dante giunge fino alla cancellazione totale della colpa dei due amanti in contrapposizione con la stessa Giustizia di Dio, come vedremo in dettaglio nell’analisi della similitudine delle colombe alle quali appunto Paolo e Francesca vengono esplicitamente paragonati con una serie di dettagli rilevanti.  

Come prima esemplificazione introduttiva, il termine Amor, all’inizio di tre terzine successive (100, 103, 106), tre numero perfetto e termine scritto nell’iniziale dei versi necessariamente con la A maiuscola, si riferisce all’amore gentile di cui parla Francesca. L’ipotesi di una eventuale ipostasi o prosopopea di Amor non regge nel contesto in cui valgono il cuore e la sensibilità dei due peccatori. Dante sapeva – inevitabilmente data la sua grandezza come poeta – quale significato poteva essere ascritto alla maiuscola e alla collocazione del termine nell’incipit delle tre terzine, maiuscola non certo adatta ad un amore lussurioso e colpevole. Se tuttavia non avesse voluto dare il tributo di rispetto e di onorabilità al sentimento di Paolo e Francesca, avrebbe semplicemente evitato, tra l’altro il numero tre, e modificato la struttura dei versi, non ponendo il nome all’inizio con la maiuscola, ma nel corso degli stessi e con la minuscola – vediamo come in contrastivo parallelo Dante non eviti l’offesa a Semiramide e a Cleopatra. Per altro risparmia l’offesa a Didone, che fu infedele alla memoria del marito morto e si uccise amorosa, non lussuriosa, non dedita al vizio, ma per amore di Enea che la abbandonò.

Un’ulteriore conferma di questa analisi riguarda il fatto che a portare i due amanti per l’aer maligno (86) non pare essere sempre la bufera, ma soprattutto il loro amore, come dice Virgilio a Dante che essi verranno da lui, se li chiamerà, per quell’amor che i mena (78), non a causa della bufera quindi. Non è la lussuria che li mena e neanche propriamente il loro amore trascorso, bensì il loro amore presente e imperituro che supera persino la morte e la condanna divina, le quali, secondo il testo di Dante, pur accettate dai due amanti come giusta punizione del loro adulterio e per la debolezza dei loro sensi, non estinguono un tale amore che appare come un legame profondo, indissolubile pur nella sofferenza e nella consapevolezza del peccato e della punizione. Al proposito, nel testo dantesco Francesca è oggetto del più cavalleresco omaggio della bufera, come andiamo a vedere in dettaglio anche stilistico. Essa si rende disponibile a parlare mentre che il vento, come fa, si tace (96), così nel testo a cura di Provenzal, questo in uno dei tanti versi danteschi immortali. Bellissimo il più sensuale ritmo in decrescendo, che termina con il silenzio della bufera, ritmo della tonalità dei versi corrispondente alla spazialità dell’immagine rappresentata magistralmente da Dante in pochi tocchi: di fatto la stessa bufera infernale, quasi personificata, che fino a quel momento spingeva gli amanti soffiando da ogni part senza interruzione, cessa e si ritira dal soffiare contro i due spiriti onde permettere a Francesca di parlare con Dante,  si ritira come indietreggiando di fronte alla donna gentile per farla passare a guisa di cavaliere cortese, vento infernale come dispiaciuto di doverla condannare alla pena eterna. In altri termini: il vento infernale, quale simbolico cavaliere nel contesto, si ritira per cedere il passo a Francesca in una spazialità digradante come viene mostrato dal trocheo finale che sottolinea l’interruzione del movimento come in una sospensione del vento e il subentrare del silenzio del suo sibilo. Da sottolineare: nel frangente Dante non usa il termine bufera, di genere femminile, ma sceglie il termine vento, di genere maschile, ciò che viene a confermare la comprensione del verso straordinario come sopra.

Giungiamo adesso alla celeberrima similitudine delle colombe che dà il titolo a questo studio. Si tratta di una similitudine sconvolgente se consideriamo il suo riferimento ai due personaggi posti comunque tra gli incontinenti e i lussuriosi e per questo condannati da Dio alla pena eterna dell’Inferno, ma nel testo di Dante, non nella sovrapposta cornice allegorica del testo in questione, la lussuria non li riguarda.

Tali colombe, come dal sostantivo femminile utilizzato da Dante, sono visualizzabili di colore candido, simbolo e metafora di innocenza, purezza, spiritualità, non di colpa, colombe che per loro costume vivono in coppia fedeli reciprocamente per sempre, per così dire volendosi bene. E Paolo e Francesca si amano e si vogliono bene, si tengono stretti nella mala sorte che hanno pur meritato, ma fedeli reciprocamente per l’eternità anche all’Inferno. Potrebbero vagare separati, nulla vietava a Dante di presentarli separati, ma non l’ha fatto, bensì appunto si tengono stretti per non lasciarsi separare dalla bufera.

 

Testo della similitudine:

(82) Quali colombe dal disìo chiamate,/

(83) con l’ali alzate e ferme al dolce nido/

(84) volan per l’aer dal voler portate;/

(85) cotali uscir dalla schiera ov’è Dido,/

(86) a noi venendo per l’aer maligno,/

(87) sì forte fu l’affettuoso grido.

 

Nella similitudine delle colombe, cui sono paragonati i due amanti mentre si dirigono verso Dante che li ha chiamati, sta espressa la visione inerente alla considerazione di Dante per il loro peccato d’amore e di trasgressione dei doveri divini e sociali ad esso conseguenti. Secondo quanto sta nella similitudine, avremmo a che fare con un peccato inesistente. Nel testo, al di là di ogni schema allegorico, religioso o sociale, Dante non considera i due amanti colpevoli, altrimenti non li avrebbe paragonati a innocentissime colombe senza macchia.

Per altro, Paolo e Francesca non escono dalla schiera di anime dove stanno Semiramide e Cleopatra, bensì dalla schiera dove sta Didone, che si innamorò di Enea solo dopo la morte del marito e si uccise per amore, s’ancise amorosa/e ruppe fede al cener di Sicheo (61-62), una infedeltà piuttosto discutibile dunque, come è implicito nei versi di Dante. 

Ancora una nota. Gli altri dannati sono paragonati a stornelli e a lamentose gru che volano in gruppo, nella schiera dei più, non così le due colombe che volano in coppia, diverse dagli altri. Come le due colombe volano assieme verso la loro casa, così Paolo e Francesca si dirigono in coppia verso Dante e Virgilio, sentito l’affetto di Dante che li chiama su consiglio di Virgilio, i quali entrambi attendono i due personaggi. Virgilio, nello speciale viaggio nell’al di là nell’Inferno e nel Purgatorio, rappresenta la Ragione, quale più sicura guida, ed è anche il Maestro di Dante nell’opera di poesia – è grande poeta latino egli stesso.  Se dunque la casa delle due colombe è il concreto nido, la ragione e la poesia sono la metaforica casa dei due sfortunati amanti verso la quale si dirigono, ossia il luogo in cui sentono di essere protetti e compresi nella verità della loro vicenda oltre che nella loro colpa. Nella ragione e nella poesia Paolo e Francesca, secondo la similitudine, possono dunque avere la loro casa più veritiera diversamente che nell’Inferno: dove regna la ragione non vi è errore, ma la più profonda giustizia e dove sta la poesia vi è la più profonda verità, ossia la più vera memoria della loro storia, dei loro sentimenti. In altri termini: nella giustizia garantita dalla ragione i due personaggi possono avere la protezione della loro verità e nella poesia la memoria eterna della verità delle loro anime. Grazie a questa similitudine il dissenso di Dante nei con fronti della condanna sociale e divina non potrebbe essere maggiormente in primo piano per quanto implicitamente.

Lo Spirito Santo, non ignoto a Dante, uomo religioso, scende dai Cieli in forma di bianca colomba senza macchia alcuna che rappresenti il peccato e in generale la colomba è ovunque simbolo di superamento degli istinti e di supremazia dello spirito, di pace e di concordia, anche specificamente dell’anima dei giusti, e tanto altro di simile. Non è mai, in nessuna cultura, simbolo di una colpa qualsiasi.

Ci è obbligo di credere che il giudizio di totale innocenza estrapolato dal testo per i due amanti abbia una base più profonda rispetto al livello allegorico, la quale, per così dire, tagli la testa al toro quanto alla motivazione. La causa decisiva che può coesistere con un positivo cuore gentile sta, in ambito implicito, in primo luogo nel matrimonio di Francesca, matrimonio ingiusto e crudele, combinato dai genitori e imposto, che esonera Francesca da un vero e proprio peccato grave in quanto subito senza amore e senza scelta personale. Nessuno dei due comunque, neanche Paolo, ha contratto un matrimonio per amore cui poter essere fedele, ma, seppure diversamente, ha subito il matrimonio per gli interessi materiali delle famiglie. Diversamente in quanto l’uomo ha sempre goduto della totale libertà nella sua vita sessuale, quindi non era troppo limitato da un matrimonio senza amore, mentre la donna era legata allo sposo per tutta la vita senza alcuna libertà concessa. Un antefatto, questo, che fa della similitudine in questione la base più solida per una vera e propria denuncia dell’ingiustizia relativa ai matrimoni combinati e imposti dai genitori ai figli, una denuncia espressa sul piano della poesia, della letteratura.

L’argomento dantesco risulta di tutta attualità ovunque non si rispetti il principio democratico della libertà di scelta soprattutto della donna relativamente al compagno, una scelta capace di condizionare l’intera esistenza, specie in epoca medioevale, priva di tante delle libertà presenti nelle democrazie.

Inseriamo qui una breve digressione collegata alla vita di Dante, digressione esterna all’analisi del testo, ma nella fattispecie utile a conoscersi a proposito dei matrimoni combinati.

Dante sposò Gemma Donati, appartenente al grande casato fiorentino dei Donati, in ossequio ai genitori che avevano combinato il matrimonio decidendo per lui ancora dodicenne. Dante obbedì a quanto stabilito dai genitori, ma pare non abbia scritto mai un solo verso per la moglie con cui ebbe comunque diversi figli, mentre dedicò tutta la sua vita e la Commedia nonché la Vita Nova al suo amore ideale per Beatrice, creandosi così in ogni caso un luogo nella mente dove poter amare la donna che avrebbe voluto amare per sua scelta. Il silenzio di Dante relativamente alla moglie corrisponde molto verosimilmente a una rimozione freudiana assoluta a conferma di come Dante non avesse gradito, al di là di una relazione sociale obbligata, il proprio matrimonio combinato in seno ai casati, senza amore.

Tornando al testo dantesco, una importante implicazione che conferma l’esegesi della similitudine sta nella lettura del testo galeotto che i due futuri amanti stavano leggendo insieme al momento del peccato – Galehaut era nel romanzo del ciclo bretone l’intermediario fra Lancillotto e la regina Ginevra moglie del più vecchio re Artù. La conferma implicita del valore supremo della similitudine, sta nel fatto che Francesca, pur parlando di galeotto riferito al romanzo, lo fa con dolce malinconia e, soprattutto, non cessa assolutamente, pur a fronte di questo suo giudizio, di amare Paolo da cui è riamata anche nell’Inferno per tutta l’eternità a prescindere dall’influsso possibile di qualsiasi romanzo cavalleresco – Paolo baciò la bocca a Francesca tutto tremante (136), non in un eccesso vizioso di lussuria.

Per concludere questa analisi, la similitudine delle colombe non è soltanto bella e commovente, ma nella reciproca libera scelta delle colombe per tutta la vita e nella loro fedeltà – non si tradiscono mai – sta l’espressione della, per quanto implicita, comunque chiara all’analisi del testo, denuncia di Dante per i matrimoni imposti ai figli dai genitori. Vediamo nella società attuale culture che combinano per interesse matrimoni cui i figli si devono sottomettere pena addirittura l’uccisione da parte dei genitori o di altri familiari. La similitudine di Dante non è anacronistica se riferita al presente, bensì sta anche oggi validamente a favore della libera scelta del compagno e della compagna e contro i matrimoni imposti – ribadiamo che le colombe si sono scelte liberamente e che perciò possono essersi fedeli, amarsi e farsi buona compagnia per la vita e ricordiamo anche che Paolo e Francesca, al di là della punizione eterna, stanno sempre assieme e continuano ad amarsi nel loro legame indissolubile anche nell’Inferno, per tutta l’eternità – per quell’amor che i mena pur nella bufera – così come avrebbero voluto nella loro vita terrena, una sofferenza che subiscono stando comunque per sempre insieme. In altri termini: neanche Dio, nel testo dantesco, può evitare che il loro amore venga cancellato dalla condanna più tremenda, tanta è la potenza dell’amore con la A maiuscola, che è solo quello supportato dalla vita dei sentimenti più positivi. Grande Dante che, in una all’apparenza solo bellissima similitudine, nella profondità dell’analisi dei simboli su cui essa si costruisce ha condannato, da uomo libero, usi e costumi legittimati in modo complesso dalla società sia laica che religiosa, sollevando un problema che appare ancora oggi irrisolto nel mondo.

                                                                                                                                    

RITA MASCIALINO

 _____________________

[1] Riferimenti al presente lavoro si trovano, sempre a firma dell’A., tra l'altro nel saggio “Dante”, pubblicato in occasione del Settecentenario della morte del poeta, Cleup Editrice, Università di Padova, 2021.

[2] Si fa qui riferimento al testo di D. Provenzal, a cura di, Dante Alighieri- La Divina Commedia: Milano MI: Arnoldo Mondadori Editore: Edizioni Scolastiche Mondadori:1960: Inferno, Canto V, 82-87)

______________________________                                                                                                                                   

Fondatrice e Presidente del ‘Premio Franz Kafka Italia ®’ nelle due Edizioni Cultura Carriera Immaginazione e Disegno Artistico www.franzkafkaitalia.it www.ritamascialino.com e del ‘Comitato del Secondo Umanesimo Italiano ®’






domenica 3 dicembre 2023

Rita Mascialino, 'Ex aequo' di Maria Rosaria Cultrera.
 

Ex aequo (rogiosi editore: 2023) è un racconto lungo di Maria Rosaria Cultrera: saggista e scrittrice di narrativa pluripremiata, Giurata presso diversi Premi letterari, Giurata e Consulente Giuridico presso il 'Premio Franz Kafka Italia ®', insigne giurista e studiosa con carriera di Magistrato, tra gli incarichi Presidente Vicario di Corte d’Appello di Napoli e Presidente di Sezione della medesima Corte, già Consigliera della Corte Suprema di Cassazione, attualmente componente del Comitato Scientifico della Fondazione Castelcapuano. 

Nel racconto l’Autrice spezza la sua poderosa lancia contro coloro che discriminano pesantemente i cosiddetti diversi, ossia i disabili  e i malati, o anche manifestino il loro dissenso contro le violenze agìte sui più deboli, ma non si espongano più esplicitamente contro tali discriminazioni. Il libro della Cultrera spezza parallelamente la sua lancia per la bellezza della vita che tale è e deve essere accettata entro qualsiasi ceto sociale e salute fisica degli individui essa si trovi ad esplicarsi. 

La narrazione si svolge portata da uno stile elegante e preciso, mai freddo o neutro, nelle descrizioni degli ambienti e nella presentazione della personalità dei protagonisti, nonché della varia umanità che funge da corollario agli stessi. Vi è alla base della rappresentazione, quasi come speciale personaggio solo in apparenza silente, il più intenso sentimento della vita, lieto e drammatico insieme, quello senza il quale nessuna storia può avere un senso che la faccia vivere. Ne deriva un quadro parallelamente vivo degli usi e costumi pratici e mentali di tutti i personaggi nella diversità dei ceti sociali cui appartengono, ciò che dà un efficiente spaccato del modo di intendere l’esistenza nel napoletano nel bene e nel male. Tuttavia, grazie alla sapienza diegetica che connota l’Autrice, la storia o le storie non vivono solo nella colorata superficie. Accanto alla sempre molto concreta e vivace circostanziazione presente nella coinvolgente vicenda, i personaggi occhieggiano dal profondo come tipi connotanti l’intera umanità. Attraverso tale doppio identikit delle figure, quanto rappresentato in dettaglio viene a costituire l’ampio respiro di una vera e propria visione del mondo, in cui l’umanità si presenta divisa – per chiarire il significato del termine: ossia non unita in rozzo miscuglio, né nel più superficiale e falso buonismo –, dunque divisa realisticamente in buoni e cattivi, ciò in una semplificazione logica oltre la quale non è più possibile proseguire pena lo sfociare nel nonsenso delle fallacie. In altri termini: così la Cultrera offre la più vasta sintesi a monte della realtà psicologica del volto umano come questa si disegna qualora non si permanga sul piano soggettivo, ma ci si sappia fondare sull’oggettività di un’analisi dei segni particolari capace di andare oltre gli stessi per fondersi nella sintesi sottostante sottostante. Sintesi destinata a fungere, in armonia appunto con il messaggio ultimo del racconto, da eterno e immutabile sfondo della personalità al di là di qualsiasi camuffamento possa essere anche molto abilmente indossato secondo le opportunità. In tal modo la scrittrice può stimolare nei lettori sul piano conscio e soprattutto inconscio la più bella volontà di permanere nella dignitosa schiera dei buoni.

Molto interessante è la suddivisione della narrazione in più o meno brevi capitoli, ciascuno titolato e datato secondo le singole azioni, i singoli episodi narrati. È come se ci si trovasse di fronte a brevi drammi ciascuno in ossequio alle classiche tre unità aristoteliche di tempo, luogo e azione, con la differenza che l’insieme di tali drammi non termina in tragedia, ma in un orizzonte di speranza, in cui il bene, l’amicizia e la solidarietà, nonché l’intelligenza vincano sul male. I presagi hanno una presenza molto pregnante nel primo capitolo, in superficie come superstizione, più in profondità come intuizione delle tre donne partorienti, in un momento dove la sensibilità, data la grande emergenza di vita e di morte, è più accesa in esse. Le tre nascite dunque, festeggiate come il più grande evento nell’esistenza dell’uomo, hanno avuto tre auspici diversi: due positivi, un allegro passerotto, una elegante rondine, e uno negativo, quali entrano a festeggiare anch’essi le nascite delle due bambine, una farfalla viola a macchie nere, entrambi colori del lutto. E di fatto la vita di Giuseppe è sfortunata per una disabilità al braccio e un arto inferiore paralizzato, così che non può utilizzare la mano riesce a camminare con fatica, con l’aggravante dell’epilessia forse sopravvenuta per una corrente d’aria gelida che lo ha investito appena nato entrando violentemente dalla finestra. A causa delle diversità subirà gravi danni a livello sociale e umiliazioni costanti, verrà addirittura bocciato pur essendo tra i migliori a scuola in quanto il preside dell’Istituto lo vuole allontanare perché non permette che le sue crisi possano spaventare i cosiddetti normali, questa decisione con buona pace dei docenti che gli ubbidiscono assoggettandosi. So un bidello mostra di avere un po’ di umanità verso lo sfortunato giovane, ma nulla può fare tranne che consolarlo. I tre bambini nati nello stesso giorno crescono assieme, divenendo amici sinceri, studiosi, attivi nel bene e le due bambine fattesi ormai adulte sostengono sempre Giuseppe a spada tratta, del quale conoscono il valore e la bontà, e non indietreggiano davanti a nessuna disabilità. Alla fine, dopo vicende intrecciate variamente, grazie agli studi medici di una delle bambine, di una donna quindi  e grazie alla sua azione di convincimento su Giuseppe perché accetti di farsi operare negli Starti Uniti si apre una speranza dovuta alla ricerca scientifica, portata avanti da quegli umani che non perdono il loro tempo esistenziale in pregiudizi e cattiverie, ma ce la mettono tutta nello studio, per aumentare le conoscenze che servono, per sfruttare la loro intelligenza che mettono al servizio dell’umanità.

Una parola ancora sul polisemico titolo dell’opera. Ex aequo, formula latina che stabilisce giuridicamente il giudizio dato dal giudice secondo equità, anche oltrepassando la rigidità delle norme in sé, appunto secondo giustizia, di una giustizia profonda – ricordiamo che l’Autrice è finissimo magistrato finalizzato alla maggiore equità del giudizio. Quindi un giudizio di uguaglianza tra i tre amici, tra abili e disabili, giudizio di uguaglianza che avrebbero avuto nei loro esiti scolastici, comprensivo anche del risultato di Giuseppe se non gli fosse stato ingiustamente negato. Un po’ oltre il piano individuale si schiude il più ampio orizzonte universale di cui è stato esposto più sopra come ben riuscita sovrapposizione dei due livelli: il significato della formula entro questa prospettiva si riferisce, molto sottilmente,  a una giustizia che vale per tutti secondo equità del giudizio, per i buoni, ma anche per i cattivi, per i malvagi, costretti da essi stessi nel recinto che pertiene alla cattiveria, ossia essendo essi stessi trattati con giustizia, con quella giustizia che dà a ciascuno il suo, ciò che si è meritato, ciò che si merita.

Un’ultimissima osservazione prima di chiudere la Recensione. La lancia spezzata dalla Cultrera si scaglia, non in primissimo piano, ma del tutto identificabile, contro la più grande discriminazione, quella contro il maggiore nemico dei cattivi, spesso mediocri con il contributo della propria colpa: l’intelligenza, come secondo un mio Aforisma che mi permetto di citare come cenno esplicativo relativo alla citata colpa, ossia L’intelligenza è un mercenario al servizio della personalità. Un’offensiva portata dai cattivi come dimostrano alcuni personaggi raffigurati nell’audace racconto della scrittrice.

Un libro da leggere e su cui meditare, Ex aequo, della scrittrice Maria Rosaria Cultrera.

                                                                  Rita Mascialino

 



Immagine:
jurisnews.net/2016/04/18/dimensione-sociale-e-giuridica-della-dignita-umana-la-dignita-della-persona-come-valore-supremo-dellordinamento-giuridico-internazionale-e-come-fonte-di-tutti-i-diritti-corso-di/





  Rita Mascialino ,  ‘Insieme falceremo il vento’: Poesie di Angioletta Masiero. Recensione. La silloge poetica Insieme falceremo il ven...