Rita Mascialino, La celebre similitudine dantesca delle colombe e le sue implicazioni esegetiche innovative
Lo studio, facente parte della 'Trilogia Dantesca' è apparso nella Rivista Culturale «Lunigiana Dantesca, Direttore Mirco Manuguerra, Rubrica 'DANTESCA', CLSD, Centro Lunigianese di Studi Danteschi, N. 204, aprile 2024. Segue la presentazione dello Studio a firma del Direttore Mirco Manuguerra:
Il presente studio riguarda un'interpretazione
non conformistica nei confronti delle più autorevoli analisi critiche, che si conoscono
e rispettano assolutamente, ma di cui non si tiene conto. Si tratta di un’interpretazione
del tutto nuova, non già presente nella critica a livello nazionale e
internazionale, ossia: non è una ripresentazione sinonimica di concetti già
noti, ma di un ‘analisi e interpretazione che danno esiti innovativi.
Seguono la testé annunciata interpretazione della
similitudine delle colombe [1] e le sue implicazioni
nell’articolazione semantica del pezzo concernente i due amanti adulteri, il
significato profondo e sconvolgente di una tale similitudine riferita ai due
adulteri condannati all’Inferno e comprensiva dei risvolti sociali e religiosi
nonché relativi a circostanze della vita di Dante stesso, risvolti che giungono
con la loro ala fino alla più recente attualità. Non ci interessa nell’analisi
la biografia dei due amanti come viene narrata nelle varie versioni risalenti
all’epoca, ma ci interessa come Dante presenti nel testo la complessa
situazione biografica in cui vivono i due amanti, specialmente Francesca, né
prendiamo in considerazione, al di là di necessari rimandi culturali,
l’impianto e il metodo allegorico, l’allegoria.
Si osserva allora che Dante, pur inserendo Paolo e
Francesca entro la cornice allegorica relativa ai Lussuriosi, non dà loro, nel
testo che ad essi inerisce, alcuna connotazione esplicita quali lussuriosi. Di
fatto – fatto linguistico, artistico – nel testo dantesco né Paolo né Francesca
vengono mai direttamente collegati al vizio della lussuria – ribadisco: al di
là di ogni inserimento allegorico presente voluto da Dante –, mentre ad esempio
per Semiramide si dice che a vizio di lussuria fu sì rotta/ che libito
fe’ licito in sua legge (55-56) e si apprende bene di una Cleopatràs
lussuriosa (63). I due amanti vengono, al contrario, collegati, pur
con tutti i limiti semantici dell’ambito, al cuore gentile e all’amore che non
perdona chi lo senta in tali cuori gentili, amore nobile, che perciò meno che
mai possono essere volti al vizio della lussuria, caso mai a debolezza dei
sensi e dell’attrazione reciproca, come per altro avviene in tutti gli amori,
anche i più ricchi di sentimenti. Dante esprime invece, ciò che è molto
interessante, attraverso i due personaggi la sua propria visione dell’amore che
mostra spunti di critica profonda e complessa alle regole del vivere sociale
del tempo, spunti in contrasto non solo con le convenzioni sociali, ma anche
con i precetti divini per come siano rappresentati dall’autorità ecclesiastica.
Sulla scia della similitudine che sta come uno scoglio semantico – fuori da
ogni allegoria – inamovibile dal testo dantesco, Dante giunge fino alla
cancellazione totale della colpa dei due amanti in contrapposizione con la
stessa Giustizia di Dio, come vedremo in dettaglio nell’analisi della
similitudine delle colombe alle quali appunto Paolo e Francesca vengono esplicitamente
paragonati con una serie di dettagli rilevanti.
Come prima esemplificazione introduttiva, il
termine Amor, all’inizio di tre terzine successive (100, 103,
106), tre numero perfetto e termine scritto nell’iniziale dei versi
necessariamente con la A maiuscola, si riferisce all’amore
gentile di cui parla Francesca. L’ipotesi di una eventuale ipostasi o
prosopopea di Amor non regge nel contesto in cui valgono il
cuore e la sensibilità dei due peccatori. Dante sapeva – inevitabilmente data
la sua grandezza come poeta – quale significato poteva essere ascritto alla
maiuscola e alla collocazione del termine nell’incipit delle tre
terzine, maiuscola non certo adatta ad un amore lussurioso e colpevole. Se
tuttavia non avesse voluto dare il tributo di rispetto e di onorabilità al
sentimento di Paolo e Francesca, avrebbe semplicemente evitato, tra l’altro il
numero tre, e modificato la struttura dei versi, non ponendo il nome all’inizio
con la maiuscola, ma nel corso degli stessi e con la minuscola – vediamo come in
contrastivo parallelo Dante non eviti l’offesa a Semiramide e a Cleopatra. Per
altro risparmia l’offesa a Didone, che fu infedele alla memoria del marito
morto e si uccise amorosa, non lussuriosa, non dedita al vizio, ma
per amore di Enea che la abbandonò.
Un’ulteriore conferma di questa analisi riguarda il fatto
che a portare i due amanti per l’aer maligno (86) non pare
essere sempre la bufera, ma soprattutto il loro amore, come dice Virgilio a
Dante che essi verranno da lui, se li chiamerà, per quell’amor che i
mena (78), non a causa della bufera quindi. Non è la lussuria che li
mena e neanche propriamente il loro amore trascorso, bensì il loro amore
presente e imperituro che supera persino la morte e la condanna divina, le
quali, secondo il testo di Dante, pur accettate dai due amanti come giusta
punizione del loro adulterio e per la debolezza dei loro sensi, non estinguono
un tale amore che appare come un legame profondo, indissolubile pur nella
sofferenza e nella consapevolezza del peccato e della punizione. Al proposito,
nel testo dantesco Francesca è oggetto del più cavalleresco omaggio della
bufera, come andiamo a vedere in dettaglio anche stilistico. Essa si rende
disponibile a parlare mentre che il vento, come fa, si tace (96),
così nel testo a cura di Provenzal, questo in uno dei tanti versi danteschi
immortali. Bellissimo il più sensuale ritmo in decrescendo, che termina con il
silenzio della bufera, ritmo della tonalità dei versi corrispondente alla
spazialità dell’immagine rappresentata magistralmente da Dante in pochi tocchi:
di fatto la stessa bufera infernale, quasi personificata, che fino a quel
momento spingeva gli amanti soffiando da ogni part senza interruzione, cessa e
si ritira dal soffiare contro i due spiriti onde permettere a Francesca di
parlare con Dante, si ritira come indietreggiando di fronte alla donna
gentile per farla passare a guisa di cavaliere cortese, vento infernale come
dispiaciuto di doverla condannare alla pena eterna. In altri termini: il vento
infernale, quale simbolico cavaliere nel contesto, si ritira per cedere il
passo a Francesca in una spazialità digradante come viene mostrato dal trocheo
finale che sottolinea l’interruzione del movimento come in una sospensione del
vento e il subentrare del silenzio del suo sibilo. Da sottolineare: nel
frangente Dante non usa il termine bufera, di genere femminile, ma
sceglie il termine vento, di genere maschile, ciò che viene a
confermare la comprensione del verso straordinario come sopra.
Giungiamo adesso alla celeberrima similitudine delle
colombe che dà il titolo a questo studio. Si tratta di una similitudine
sconvolgente se consideriamo il suo riferimento ai due personaggi posti
comunque tra gli incontinenti e i lussuriosi e per questo condannati da Dio alla
pena eterna dell’Inferno, ma nel testo di Dante, non nella sovrapposta cornice
allegorica del testo in questione, la lussuria non li riguarda.
Tali colombe, come dal sostantivo femminile utilizzato da
Dante, sono visualizzabili di colore candido, simbolo e metafora di innocenza,
purezza, spiritualità, non di colpa, colombe che per loro costume vivono in
coppia fedeli reciprocamente per sempre, per così dire volendosi bene. E Paolo
e Francesca si amano e si vogliono bene, si tengono stretti nella mala sorte
che hanno pur meritato, ma fedeli reciprocamente per l’eternità anche
all’Inferno. Potrebbero vagare separati, nulla vietava a Dante di presentarli
separati, ma non l’ha fatto, bensì appunto si tengono stretti per non lasciarsi
separare dalla bufera.
Testo
della similitudine:
(82) Quali colombe dal disìo chiamate,/
(83) con l’ali alzate e ferme al dolce nido/
(84) volan per l’aer dal voler portate;/
(85) cotali uscir dalla schiera ov’è Dido,/
(86) a noi venendo per l’aer maligno,/
(87) sì forte fu l’affettuoso grido.
Nella similitudine delle colombe, cui sono paragonati i
due amanti mentre si dirigono verso Dante che li ha chiamati, sta espressa la
visione inerente alla considerazione di Dante per il loro peccato d’amore e di
trasgressione dei doveri divini e sociali ad esso conseguenti. Secondo quanto sta nella
similitudine, avremmo a che fare con un peccato inesistente. Nel testo, al di
là di ogni schema allegorico, religioso o sociale, Dante non considera i due
amanti colpevoli, altrimenti non li avrebbe paragonati a innocentissime colombe
senza macchia.
Per altro, Paolo e Francesca non escono dalla schiera di
anime dove stanno Semiramide e Cleopatra, bensì dalla schiera dove sta Didone,
che si innamorò di Enea solo dopo la morte del marito e si uccise per
amore, s’ancise amorosa/e ruppe fede al cener di Sicheo (61-62),
una infedeltà piuttosto discutibile dunque, come è implicito nei versi di
Dante.
Ancora una nota. Gli altri dannati sono paragonati a
stornelli e a lamentose gru che volano in gruppo, nella schiera dei più, non
così le due colombe che volano in coppia, diverse dagli altri. Come le due
colombe volano assieme verso la loro casa, così Paolo e Francesca si dirigono
in coppia verso Dante e Virgilio, sentito l’affetto di Dante che li chiama su
consiglio di Virgilio, i quali entrambi attendono i due personaggi. Virgilio,
nello speciale viaggio nell’al di là nell’Inferno e nel Purgatorio, rappresenta
la Ragione, quale più sicura guida, ed è anche il Maestro di Dante nell’opera
di poesia – è grande poeta latino egli stesso. Se dunque la casa delle
due colombe è il concreto nido, la ragione e la poesia sono la metaforica casa
dei due sfortunati amanti verso la quale si dirigono, ossia il luogo in cui
sentono di essere protetti e compresi nella verità della loro vicenda oltre che
nella loro colpa. Nella ragione e nella poesia Paolo e Francesca, secondo la
similitudine, possono dunque avere la loro casa più veritiera diversamente che
nell’Inferno: dove regna la ragione non vi è errore, ma la più profonda
giustizia e dove sta la poesia vi è la più profonda verità, ossia la più vera
memoria della loro storia, dei loro sentimenti. In altri termini: nella giustizia
garantita dalla ragione i due personaggi possono avere la protezione della loro
verità e nella poesia la memoria eterna della verità delle loro anime. Grazie a
questa similitudine il dissenso di Dante nei con fronti della condanna sociale
e divina non potrebbe essere maggiormente in primo piano per quanto
implicitamente.
Lo Spirito Santo, non ignoto a Dante, uomo religioso,
scende dai Cieli in forma di bianca colomba senza macchia alcuna che rappresenti
il peccato e in generale la colomba è ovunque simbolo di superamento degli
istinti e di supremazia dello spirito, di pace e di concordia, anche
specificamente dell’anima dei giusti, e tanto altro di simile. Non è mai, in
nessuna cultura, simbolo di una colpa qualsiasi.
Ci è obbligo di credere che il giudizio di totale
innocenza estrapolato dal testo per i due amanti abbia una base più profonda rispetto al livello allegorico, la quale, per così dire, tagli la testa al toro quanto
alla motivazione. La causa decisiva che può coesistere con un positivo cuore
gentile sta, in ambito implicito, in primo luogo nel matrimonio di Francesca,
matrimonio ingiusto e crudele, combinato dai genitori e imposto, che esonera
Francesca da un vero e proprio peccato grave in quanto subito senza amore e
senza scelta personale. Nessuno dei due comunque, neanche Paolo, ha contratto
un matrimonio per amore cui poter essere fedele, ma, seppure diversamente, ha
subito il matrimonio per gli interessi materiali delle famiglie. Diversamente
in quanto l’uomo ha sempre goduto della totale libertà nella sua vita sessuale,
quindi non era troppo limitato da un matrimonio senza amore, mentre la donna
era legata allo sposo per tutta la vita senza alcuna libertà concessa. Un
antefatto, questo, che fa della similitudine in questione la base più solida
per una vera e propria denuncia dell’ingiustizia relativa ai matrimoni
combinati e imposti dai genitori ai figli, una denuncia espressa sul piano
della poesia, della letteratura.
L’argomento dantesco risulta di tutta attualità ovunque
non si rispetti il principio democratico della libertà di scelta soprattutto
della donna relativamente al compagno, una scelta capace di condizionare
l’intera esistenza, specie in epoca medioevale, priva di tante delle libertà
presenti nelle democrazie.
Inseriamo qui una breve digressione collegata alla vita
di Dante, digressione esterna all’analisi del testo, ma nella fattispecie utile
a conoscersi a proposito dei matrimoni combinati.
Dante sposò Gemma Donati, appartenente al grande casato
fiorentino dei Donati, in ossequio ai genitori che avevano combinato il
matrimonio decidendo per lui ancora dodicenne. Dante obbedì a quanto stabilito
dai genitori, ma pare non abbia scritto mai un solo verso per la moglie con cui
ebbe comunque diversi figli, mentre dedicò tutta la sua vita e la Commedia nonché la Vita Nova al
suo amore ideale per Beatrice, creandosi così in ogni caso un luogo nella mente
dove poter amare la donna che avrebbe voluto amare per sua scelta. Il silenzio
di Dante relativamente alla moglie corrisponde molto verosimilmente a una
rimozione freudiana assoluta a conferma di come Dante non avesse gradito, al di
là di una relazione sociale obbligata, il proprio matrimonio combinato in seno
ai casati, senza amore.
Tornando al testo dantesco, una importante implicazione
che conferma l’esegesi della similitudine sta nella lettura del testo galeotto
che i due futuri amanti stavano leggendo insieme al momento del peccato –
Galehaut era nel romanzo del ciclo bretone l’intermediario fra Lancillotto e la
regina Ginevra moglie del più vecchio re Artù. La conferma implicita del valore
supremo della similitudine, sta nel fatto che Francesca, pur parlando di
galeotto riferito al romanzo, lo fa con dolce malinconia e, soprattutto, non
cessa assolutamente, pur a fronte di questo suo giudizio, di amare Paolo
da cui è riamata anche nell’Inferno per tutta l’eternità a prescindere
dall’influsso possibile di qualsiasi romanzo cavalleresco – Paolo baciò la
bocca a Francesca tutto tremante (136), non in un eccesso vizioso
di lussuria.
Per concludere questa analisi, la similitudine delle
colombe non è soltanto bella e commovente, ma nella reciproca libera scelta
delle colombe per tutta la vita e nella loro fedeltà – non si tradiscono mai –
sta l’espressione della, per quanto implicita, comunque chiara all’analisi del
testo, denuncia di Dante per i matrimoni imposti ai figli dai genitori. Vediamo nella società
attuale culture che combinano per interesse matrimoni cui i figli si devono
sottomettere pena addirittura l’uccisione da parte dei genitori o di altri
familiari. La similitudine di Dante non è anacronistica se riferita al
presente, bensì sta anche oggi validamente a favore della libera scelta del
compagno e della compagna e contro i matrimoni imposti – ribadiamo che le
colombe si sono scelte liberamente e che perciò possono essersi fedeli, amarsi
e farsi buona compagnia per la vita e ricordiamo anche che Paolo e Francesca,
al di là della punizione eterna, stanno sempre assieme e continuano ad amarsi nel
loro legame indissolubile anche nell’Inferno, per tutta l’eternità – per
quell’amor che i mena pur nella bufera – così come avrebbero voluto
nella loro vita terrena, una sofferenza che subiscono stando comunque per
sempre insieme. In altri termini: neanche Dio, nel testo dantesco, può evitare
che il loro amore venga cancellato dalla condanna più tremenda, tanta è la
potenza dell’amore con la A maiuscola, che è solo quello supportato
dalla vita dei sentimenti più positivi. Grande Dante che, in una all’apparenza
solo bellissima similitudine, nella profondità dell’analisi dei simboli su cui essa
si costruisce ha condannato, da uomo libero, usi e costumi legittimati in modo
complesso dalla società sia laica che religiosa, sollevando un problema che appare
ancora oggi irrisolto
nel mondo.
RITA MASCIALINO
[1] Riferimenti al presente lavoro si trovano, sempre a firma dell’A., tra l'altro nel saggio “Dante”, pubblicato in occasione del Settecentenario della morte del poeta, Cleup Editrice, Università di Padova, 2021.
[2] Si fa qui riferimento al testo di D. Provenzal, a cura di, Dante Alighieri- La Divina Commedia: Milano MI: Arnoldo Mondadori Editore: Edizioni Scolastiche Mondadori:1960: Inferno, Canto V, 82-87)
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Fondatrice e Presidente del ‘Premio Franz Kafka Italia ®’ nelle due Edizioni Cultura Carriera Immaginazione e Disegno Artistico www.franzkafkaitalia.it www.ritamascialino.com e del ‘Comitato del Secondo Umanesimo Italiano ®’