Ex aequo (rogiosi editore: 2023) è un racconto lungo di Maria Rosaria Cultrera: saggista e scrittrice di narrativa pluripremiata, Giurata presso diversi Premi letterari, Giurata e Consulente Giuridico presso il 'Premio Franz Kafka Italia ®', insigne giurista e studiosa con carriera di Magistrato, tra gli incarichi Presidente Vicario di Corte d’Appello di Napoli e Presidente di Sezione della medesima Corte, già Consigliera della Corte Suprema di Cassazione, attualmente componente del Comitato Scientifico della Fondazione Castelcapuano.
Nel racconto l’Autrice spezza la sua poderosa lancia
contro coloro che discriminano pesantemente i cosiddetti diversi, ossia i
disabili e i malati, o anche manifestino il loro dissenso contro le
violenze agìte sui più deboli, ma non si espongano più esplicitamente contro
tali discriminazioni. Il libro della Cultrera spezza parallelamente la sua
lancia per la bellezza della vita che tale è e deve essere accettata entro
qualsiasi ceto sociale e salute fisica degli individui essa si trovi ad
esplicarsi.
La
narrazione si svolge portata da uno stile elegante e preciso, mai freddo o
neutro, nelle descrizioni degli ambienti e nella presentazione della
personalità dei protagonisti, nonché della varia umanità che funge da
corollario agli stessi. Vi è alla base della rappresentazione, quasi come speciale
personaggio solo in apparenza silente, il più intenso sentimento della vita, lieto
e drammatico insieme, quello senza il quale nessuna storia può avere un senso
che la faccia vivere. Ne deriva un quadro parallelamente vivo degli usi e
costumi pratici e mentali di tutti i personaggi nella diversità dei ceti
sociali cui appartengono, ciò che dà un efficiente spaccato del modo di
intendere l’esistenza nel napoletano nel bene e nel male. Tuttavia, grazie alla
sapienza diegetica che connota l’Autrice, la storia o le storie non vivono solo
nella colorata superficie. Accanto alla sempre molto concreta e vivace
circostanziazione presente nella coinvolgente vicenda, i personaggi occhieggiano
dal profondo come tipi connotanti l’intera umanità. Attraverso tale doppio
identikit delle figure, quanto rappresentato in dettaglio viene a costituire
l’ampio respiro di una vera e propria visione del mondo, in cui l’umanità si
presenta divisa – per chiarire il significato del termine: ossia non unita in
rozzo miscuglio, né nel più superficiale e falso buonismo –, dunque divisa realisticamente
in buoni e cattivi, ciò in una semplificazione logica oltre la quale non è più
possibile proseguire pena lo sfociare nel nonsenso delle fallacie. In altri
termini: così la Cultrera offre la più vasta sintesi a monte della realtà
psicologica del volto umano come questa si disegna qualora non si permanga sul
piano soggettivo, ma ci si sappia fondare sull’oggettività di un’analisi dei
segni particolari capace di andare oltre gli stessi per fondersi nella sintesi
sottostante sottostante. Sintesi destinata a fungere, in armonia appunto con il
messaggio ultimo del racconto, da eterno e immutabile sfondo della personalità al
di là di qualsiasi camuffamento possa essere anche molto abilmente indossato
secondo le opportunità. In tal modo la scrittrice può stimolare nei lettori sul
piano conscio e soprattutto inconscio la più bella volontà di permanere nella
dignitosa schiera dei buoni.
Molto
interessante è la suddivisione della narrazione in più o meno brevi capitoli,
ciascuno titolato e datato secondo le singole azioni, i singoli episodi narrati.
È come se ci si trovasse di fronte a brevi drammi ciascuno in ossequio alle
classiche tre unità aristoteliche di tempo, luogo e azione, con la differenza
che l’insieme di tali drammi non termina in tragedia, ma in un orizzonte di
speranza, in cui il bene, l’amicizia e la solidarietà, nonché l’intelligenza
vincano sul male. I presagi hanno una presenza molto pregnante nel primo
capitolo, in superficie come superstizione, più in profondità come intuizione
delle tre donne partorienti, in un momento dove la sensibilità, data la grande
emergenza di vita e di morte, è più accesa in esse. Le tre nascite dunque,
festeggiate come il più grande evento nell’esistenza dell’uomo, hanno avuto tre
auspici diversi: due positivi, un allegro passerotto, una elegante rondine, e
uno negativo, quali entrano a festeggiare anch’essi le nascite delle due
bambine, una farfalla viola a macchie nere, entrambi colori del lutto. E di
fatto la vita di Giuseppe è sfortunata per una disabilità al braccio e un arto
inferiore paralizzato, così che non può utilizzare la mano riesce a camminare con
fatica, con l’aggravante dell’epilessia forse sopravvenuta per una corrente
d’aria gelida che lo ha investito appena nato entrando violentemente dalla
finestra. A causa delle diversità subirà gravi danni a livello sociale e
umiliazioni costanti, verrà addirittura bocciato pur essendo tra i migliori a
scuola in quanto il preside dell’Istituto lo vuole allontanare perché non
permette che le sue crisi possano spaventare i cosiddetti normali, questa
decisione con buona pace dei docenti che gli ubbidiscono assoggettandosi. So un
bidello mostra di avere un po’ di umanità verso lo sfortunato giovane, ma nulla
può fare tranne che consolarlo. I tre bambini nati nello stesso giorno crescono
assieme, divenendo amici sinceri, studiosi, attivi nel bene e le due bambine
fattesi ormai adulte sostengono sempre Giuseppe a spada tratta, del quale
conoscono il valore e la bontà, e non indietreggiano davanti a nessuna disabilità.
Alla fine, dopo vicende intrecciate variamente, grazie agli studi medici di una
delle bambine, di una donna quindi e
grazie alla sua azione di convincimento su Giuseppe perché accetti di farsi
operare negli Starti Uniti si apre una speranza dovuta alla ricerca
scientifica, portata avanti da quegli umani che non perdono il loro tempo
esistenziale in pregiudizi e cattiverie, ma ce la mettono tutta nello studio,
per aumentare le conoscenze che servono, per sfruttare la loro intelligenza che
mettono al servizio dell’umanità.
Una
parola ancora sul polisemico titolo dell’opera. Ex aequo, formula latina
che stabilisce giuridicamente il giudizio dato dal giudice secondo equità,
anche oltrepassando la rigidità delle norme in sé, appunto secondo giustizia, di
una giustizia profonda – ricordiamo che l’Autrice è finissimo magistrato
finalizzato alla maggiore equità del giudizio. Quindi un giudizio di
uguaglianza tra i tre amici, tra abili e disabili, giudizio di uguaglianza che
avrebbero avuto nei loro esiti scolastici, comprensivo anche del risultato di
Giuseppe se non gli fosse stato ingiustamente negato. Un po’ oltre il piano
individuale si schiude il più ampio orizzonte universale di cui è stato esposto
più sopra come ben riuscita sovrapposizione dei due livelli: il significato
della formula entro questa prospettiva si riferisce, molto sottilmente, a una giustizia che vale per tutti secondo
equità del giudizio, per i buoni, ma anche per i cattivi, per i malvagi,
costretti da essi stessi nel recinto che pertiene alla cattiveria, ossia
essendo essi stessi trattati con giustizia, con quella giustizia che dà a
ciascuno il suo, ciò che si è meritato, ciò che si merita.
Un’ultimissima
osservazione prima di chiudere la Recensione. La lancia spezzata dalla Cultrera
si scaglia, non in primissimo piano, ma del tutto identificabile, contro la più
grande discriminazione, quella contro il maggiore nemico dei cattivi, spesso
mediocri con il contributo della propria colpa: l’intelligenza, come secondo un
mio Aforisma che mi permetto di citare come cenno esplicativo relativo alla
citata colpa, ossia L’intelligenza è un mercenario al servizio della
personalità. Un’offensiva portata dai cattivi come dimostrano alcuni
personaggi raffigurati nell’audace racconto della scrittrice.
Un
libro da leggere e su cui meditare, Ex aequo, della scrittrice Maria
Rosaria Cultrera.
Rita Mascialino
Nessun commento:
Posta un commento