Mascialino, R., (3) Riflessioni sulla Tesi di Laurea di Liviana Chiolo ‘Pinocchio tra palco e pellicola’: il capitolo 3.5. Riflessione N. 3
Introduzione alle Riflessioni da parte di Liviana Filippina Cava Chiolo:
‘In sinergia con la Dr.ssa Rita Mascialino, a seguito di un'idea frutto di una corrispondenza letteraria, seguirà un corpus costituito da una serie di riflessioni e approfondimenti incentrati sulla mia Tesi di Laurea, dal titolo 'Pinocchio, tra palco e pellicola'. Ogni settimana, circa, verrà pubblicato una notazione che metterà in rilievo una caratteristica fisica o caratteriale di uno dei personaggi dell'opera in questione; un ambiente o una determinata scena, che porteranno alla luce il vero significato semantico dell'opera di Collodi. Una fiaba che contiene al suo interno un universo incommensurabile di significati.’ (Tesi di Laurea ‘Pinocchio tra palco e pellicola’ di Liviana Filippina Cava Chiolo - Anno Accademico 2021/22, Università degli Studi di Catania DISUM Dipartimento di Scienze Umanistiche, Relatrice Chiar.ma Prof.ssa Simona Agnese Scattina)
“Su Mastr’Antonio e Geppetto le Riflessioni non sono terminate con le due precedenti, ne verranno pubblicate diverse altre nel ‘corpus’ per ulteriori particolari rilevanti senza che ci sia propriamente la finalità di chiudere il discorso sui due personaggi o su qualsiasi altro personaggio e argomento, ciò che sarebbe per altro contrario al concetto stesso del riflettere e all’ambito esegetico stesso in sé che permette infiniti approfondimenti. In questa terza Riflessione cito un pezzo della Tesi di Liviana Filippina Cava Chiolo relativo alla Fata Turchina come sta nel Capitolo n. 3.5 dedicato al dramma in tre Atti ‘Profondo Pinocchio’ (Mascialino 2006):
118-119
'(…) Il monologo finale di Pinocchio ragazzo riconosce, con intensa commozione, di dovere la sua trasformazione in ragazzo per bene – non più l’impossibile burattino per bene che avrebbe voluto fare di lui il padre – proprio al burattino che era in lui, non c’è nessun riferimento a quanto hanno fatto per lui il padre Geppetto, né la Fata Turchina, che nell’opera di Collodi svanisce esattamente come svaniscono i sogni -Geppetto resta nel bene o nel male, mentre la Fata non è stata altro che il sogno di Pinocchio nella notte più turchina, un sogno e null’altro. Da Mastr’Antonio-Geppetto ha ricevuto i più negativi insegnamenti ed è solo grazie al Suo buon cuore che si è salvato. Alla fine Pinocchio è davvero l’eroe della diversità, un Pinocchio profondamente innovato sul piano puramente esegetico relativo al testo di Collodi: da discolo impenitente a ragazzo responsabile che deve al burattino del suo passato la sua nuova vita. Una riscrittura, ‘Profondo pinocchio’, che porta con sé una storia diversa di Pinocchio, una storia aderente al significato ‘profondo’ appunto del messaggio espresso da Collodi (…)'
Liviana Chiolo ha colto ed espresso esattamente come la figura della Fata Turchina sia figura del sogno di Pinocchio di avere una madre che manca all’interno del nel testo di Collodi – la Fata e le figure femminili, in cui Pinocchio si illude di volta in volta di riconoscere la sua Fata, dichiarano sempre che avrebbero funto da madre per il burattino, ma che in realtà non sono la sua mamma. Anzi, sullo scoglio – di marmo bianco, evocante per altro qualcosa di simile alla spazialità di una lapide funebre, ricordiamo al proposito che la Fatina bambina aveva il volto ‘bianco’ in quanto era morta nella prima breve versione del racconto –, sullo scoglio dunque in mare aperto il povero Pinocchio abbandonato da tutti crede di riconoscere la Fatina in una ‘bella caprettina’ dal vello turchino che lo vorrebbe aiutare. Ma la capretta gli parla tuttavia ‘belando’ come non evita di chiarire Geppetto: la bella capretta è solo una bella capretta che parla belando, ossia che non esce dal suo stato reale di animale qualsiasi trasformato in epifania della Fata Turchina dal desiderio appassionato di Pinocchio di avere un femminile come punto di riferimento per il suo cuore bambino. Proseguendo nella Riflessione approfonditiva: questa capretta viene descritta dapprima con diminutivi quali capretta e caprettina, nonché viene accompagnata da aggettivi quali bella e graziosa, che ne sfumano e addolciscono la natura. Nell’ultimo Capitolo del racconto però il Grillo parlante parla di lei come ‘graziosa capra’ – la capretta è ancora graziosa, ma è diventata una capra – e Pinocchio stesso subito dopo si riferisce ad essa come a una ‘capra’ tout court, senza più diminutivi né aggettivi edulcoranti. Siamo appunto nell’ultimo Capitolo, la parte in cui cadono in Pinocchio tutte le illusioni e resta invariato solo il suo cuore generoso. Nell’uso del termine ‘capra’ da parte di Pinocchio è caduta l’ultima grande illusione sulla presenza di una possibile figura femminile facente funzione di madre e Collodi porta il suo personaggio immortale a riconoscere la verità: la realtà del suo abbandono da parte dei genitori e dei suoi possibili sostituti – sentiamo nel termine ‘capra’ il sarcasmo quasi offensivo di Collodi per l’illusione materna che Pinocchio sta perdendo del tutto. Come nella citazione della Chiolo, Geppetto è figura reale ‘nel bene e nel male’, ma la Fata manca come persona – le fate non esistono nel concreto – e compare ancora una volta solo nel sogno di Pinocchio, svelando così la sua vera natura di illusione dovuta al buon cuore di Pinocchio. Ciò nello stile di Collodi che rivela nascondendo e nasconde rivelando, che dà un colpo alla botte e uno al cerchio, rendendo così il suo racconto adatto ai bambini e dando agli adulti i mezzi per capire il ‘Profondo Pinocchio’ cui ha dedicato tutto se stesso.”
Rita Mascialino