giovedì 25 luglio 2024

Mascialino, R., (3) Riflessioni sulla Tesi di Laurea di Liviana Chiolo ‘Pinocchio tra palco e pellicola’: il capitolo 3.5. Riflessione N. 3

Introduzione alle Riflessioni da parte di Liviana Filippina Cava Chiolo:

‘In sinergia con la Dr.ssa Rita Mascialino, a seguito di un'idea frutto di una corrispondenza letteraria, seguirà un corpus costituito da una serie di riflessioni e approfondimenti incentrati sulla mia Tesi di Laurea, dal titolo 'Pinocchio, tra palco e pellicola'. Ogni settimana, circa, verrà pubblicato una notazione che metterà in rilievo una caratteristica fisica o caratteriale di uno dei personaggi dell'opera in questione; un ambiente o una determinata scena, che porteranno alla luce il vero significato semantico dell'opera di Collodi. Una fiaba che contiene al suo interno un universo incommensurabile di significati.’ (Tesi di Laurea ‘Pinocchio tra palco e pellicola’ di Liviana Filippina Cava Chiolo - Anno Accademico 2021/22, Università degli Studi di Catania DISUM Dipartimento di Scienze Umanistiche, Relatrice Chiar.ma Prof.ssa Simona Agnese Scattina)


“Su Mastr’Antonio e Geppetto le Riflessioni non sono terminate con le due precedenti, ne verranno pubblicate diverse altre nel ‘corpus’ per ulteriori particolari rilevanti senza che ci sia propriamente la finalità di chiudere il discorso sui due personaggi o su qualsiasi altro personaggio e argomento, ciò che sarebbe per altro contrario al concetto stesso del riflettere e all’ambito esegetico stesso in sé che permette infiniti approfondimenti. In questa terza Riflessione cito un pezzo della Tesi di Liviana Filippina Cava Chiolo relativo alla Fata Turchina come sta nel Capitolo n. 3.5 dedicato al dramma in tre Atti ‘Profondo Pinocchio’ (Mascialino 2006):

118-119
'(…) Il monologo finale di Pinocchio ragazzo riconosce, con intensa commozione, di dovere la sua trasformazione in ragazzo per bene – non più l’impossibile burattino per bene che avrebbe voluto fare di lui il padre – proprio al burattino che era in lui, non c’è nessun riferimento a quanto hanno fatto per lui il padre Geppetto, né la Fata Turchina, che nell’opera di Collodi svanisce esattamente come svaniscono i sogni -Geppetto resta nel bene o nel male, mentre la Fata non è stata altro che il sogno di Pinocchio nella notte più turchina, un sogno e null’altro. Da Mastr’Antonio-Geppetto ha ricevuto i più negativi insegnamenti ed è solo grazie al Suo buon cuore che si è salvato. Alla fine Pinocchio è davvero l’eroe della diversità, un Pinocchio profondamente innovato sul piano puramente esegetico relativo al testo di Collodi: da discolo impenitente a ragazzo responsabile che deve al burattino del suo passato la sua nuova vita. Una riscrittura, ‘Profondo pinocchio’, che porta con sé una storia diversa di Pinocchio, una storia aderente al significato ‘profondo’ appunto del messaggio espresso da Collodi (…)'

Liviana Chiolo ha colto ed espresso esattamente come la figura della Fata Turchina sia figura del sogno di Pinocchio di avere una madre che manca all’interno del nel testo di Collodi – la Fata e le figure femminili, in cui Pinocchio si illude di volta in volta di riconoscere la sua Fata, dichiarano sempre che avrebbero funto da madre per il burattino, ma che in realtà non sono la sua mamma. Anzi, sullo scoglio – di marmo bianco, evocante per altro qualcosa di simile alla spazialità di una lapide funebre, ricordiamo al proposito che la Fatina bambina aveva il volto ‘bianco’ in quanto era morta nella prima breve versione del racconto –, sullo scoglio dunque in mare aperto il povero Pinocchio abbandonato da tutti crede di riconoscere la Fatina in una ‘bella caprettina’ dal vello turchino che lo vorrebbe aiutare. Ma la capretta gli parla tuttavia ‘belando’ come non evita di chiarire Geppetto: la bella capretta è solo una bella capretta che parla belando, ossia che non esce dal suo stato reale di animale qualsiasi trasformato in epifania della Fata Turchina dal desiderio appassionato di Pinocchio di avere un femminile come punto di riferimento per il suo cuore bambino. Proseguendo nella Riflessione approfonditiva: questa capretta viene descritta dapprima con diminutivi quali capretta e caprettina, nonché viene accompagnata da aggettivi quali bella e graziosa, che ne sfumano e addolciscono la natura. Nell’ultimo Capitolo del racconto però il Grillo parlante parla di lei come ‘graziosa capra’ – la capretta è ancora graziosa, ma è diventata una capra – e Pinocchio stesso subito dopo si riferisce ad essa come a una ‘capra’ tout court, senza più diminutivi né aggettivi edulcoranti. Siamo appunto nell’ultimo Capitolo, la parte in cui cadono in Pinocchio tutte le illusioni e resta invariato solo il suo cuore generoso. Nell’uso del termine ‘capra’ da parte di Pinocchio è caduta l’ultima grande illusione sulla presenza di una possibile figura femminile facente funzione di madre e Collodi porta il suo personaggio immortale a riconoscere la verità: la realtà del suo abbandono da parte dei genitori e dei suoi possibili sostituti – sentiamo nel termine ‘capra’ il sarcasmo quasi offensivo di Collodi per l’illusione materna che Pinocchio sta perdendo del tutto. Come nella citazione della Chiolo, Geppetto è figura reale ‘nel bene e nel male’, ma la Fata manca come persona – le fate non esistono nel concreto – e compare ancora una volta solo nel sogno di Pinocchio, svelando così la sua vera natura di illusione dovuta al buon cuore di Pinocchio. Ciò nello stile di Collodi che rivela nascondendo e nasconde rivelando, che dà un colpo alla botte e uno al cerchio, rendendo così il suo racconto adatto ai bambini e dando agli adulti i mezzi per capire il ‘Profondo Pinocchio’ cui ha dedicato tutto se stesso.”
Rita Mascialino

 SULL’UNIONE EUROPEA: PERPLESSITÀ, SE È LECITO ESPRIMERLE

di Rita Mascialino


"L’Unione Europea non è formata da popoli parlanti nella grande maggioranza una sola lingua, ma da popoli parlanti lingue diverse e con una storia diversa alle spalle. Le poche perplessità che vorrei esprimere riguardo all’Unione non sono di ordine giuridico, per il quale non ho competenze sistematiche, bensì sono di ordine culturale. Si riferiscono soprattutto alle Raccomandazioni e ai Pareri, che vengono esternati e divulgati con frequenza periodica dai vertici europei, ma che non hanno valore di Leggi e non sono pertanto vincolanti.

Lascio quindi stare le Direttive, vincolanti, o Leggi Quadro relative ai principi programmatici di ordine generale dell’Unione, le quali devono comunque essere inserite nei codici di ciascun Paese entro termini stabiliti; i Regolamenti, vincolanti, che valgono in tutta l’Unione subito e direttamente all’emanazione; le Decisioni, vincolanti, specificamente relative a un singolo Stato o l’altro, a vari soggetti e anche a persone singole, anche senza l’esplicitazione di coloro cui vengano rivolte, Leggi con cui, anche se non entro nel merito come sopra, non concordo sempre. Quanto alle Raccomandazioni e ai Pareri, tali iniziative danno inevitabilmente al governo della UE – non interessano qui considerazioni riguardanti governi diversi – l’antica e non graditissima tonalità dei governi paternalistici, dei consigli del buon papà che ritenevo non dovessero mai più presentarsi all’orizzonte nei regimi democratici, post Seconda Guerra Mondiale - per altro un buon papà straniero che parla mi pare tedesco. I popoli, almeno quelli cosiddetti Occidentali, non sono più preilluministici e medioevali, bensì si sono guadagnati il diritto di essere ritenuti in grado di decidere, nell’osservanza delle Leggi, come meglio credono l’impostazione da dare alla propria vita nel proprio Paese, nel proprio territorio, devono pertanto essere liberi da raccomandazioni e pareri governativi per di più dato da Pesi stranieri, ossia divulgati dall’alto – bastano e avanzano le Leggi che ovviamente si possono democraticamente e in trasparenza cambiare in positivo quando giudicate non più consone ai tempi e alle esigenze dei popoli appunto. Per altro, se è vero che tali Raccomandazioni e Pareri non sono vincolanti, è altrettanto vero che abbiano comunque o possano avere, proprio perché non vincolanti, un enorme effetto di persuasione su tutti gli individui, sui popoli anche non europei, questo nell’era dei democratici social. Ciò pone il governo dell’Unione Europea sul piano di un influencer che, del tutto legittimo tra i social media in tutto il mondo, non lo è per niente da parte di un governo democratico. Anche altri governi non europei, democratici e non, danno consigli a destra e a manca, ma qui, ribadisco, mi riferisco al governo dell’Unione essendo io cittadina europea e avendone perciò diritto. Esempio, non unico ovviamente: il consiglio di non mangiare un cibo o l’altro perché nocivo alla salute, non è accettabile, tanto più che è assolutamente certo quanto poco possa interessare all’Unione Europea la salute dei suoi cittadini che non può salvare raccomandando un cibo o l’altro, ciò che assomiglia per altro più a un consiglio commerciale che sanitario. Ci sono guerre vicine e industrie anche europee, centrali tedesche a carbone che in previsione, pare, saranno, quasi certamente, chiuse secondo i programmi del governo tedesco e quanto divulga l’informazione giornalistica nel merito, se sarà possibile già con il 2030, le quali centrali inquinano e danneggiano ben più di una pizza o di un formaggio. In tutta questa poca coerenza la cosa certa è che le Raccomandazioni e i Pareri della UE possono servire come forte strumento di persuasione – non di convincimento, ciò che si propone in discussioni logiche sui fatti e sulle idee e non con consigli vari –, così da preparare comunque il più adatto humus mentale per l’accettazione di vere e proprie future leggi vincolanti. Mi piacerebbe da cittadina illuministica far parte di un’Unione Europea che lasciasse tale metodo di Raccomandazioni persuasive alle prediche dei Santi Padri, ciò che li riguarda direttamente come loro diritto di predicare ai popoli. Per chiarire: nell’UE ci sono singoli Stati con storia e lingue diverse che vogliono, come è loro diritto democratico, preservare proprie identità storiche, per così dire la propria personalità – l’Internazionalismo e la Globalizzazione sono belle cose quando restano a livelli accettabili, oltrepassando i quali possono non piacere a tutte le culture, democratiche e non, ciò per cui non ci deve essere nessuna forma di più o meno aperta imposizione al proposito. Nutro qualche perplessità non solo sulle Raccomandazioni e i Pareri che piovano dall’alto dei vertici europei, ma anche, come anticipato, sulla speciale natura dell’Unione. L’Unione Europea ha già avuto altri nomi nella sua lodevole ricerca di un’identità chiara e trasparente. Chissà come mai non è stata creata una Confederazione di Stati Sovrani, un’alleanza tra Stati Europei che conservassero ciascuno le proprie prerogative storiche identitarie pur osservando Leggi europee ad hoc sulla sicurezza, sulla difesa, su principi democratici inderogabili e trasparenti, altro. Sono un’appassionata delle reciproche diversità dei popoli prodotte e custodite dalle loro lingue e dalla loro storia, dalla loro cultura, le trovo una ricchezza insuperabile pur nell’inevitabile processo di globalizzazione in atto. Un processo che deve essere però contenuto e, ripeto, non deve livellare popoli diversi, parlanti lingue diverse e aventi storia diversa, identità diversa che secondo me, cittadina europea e fiera di questa cittadinanza democratica, deve essere protetta, certo non sul piano dell’isolazionismo, cosa per altro non solo non auspicabile, ma più o meno impossibile a realizzarsi oggi, tuttavia da mantenere senz’altro entro determinati limiti non valicabili, come un massimo valore. Chissà che non sia giunto il momento di pensare a una nuova forma da dare all’Unione a vantaggio di una maggiore chiarezza e trasparenza delle finalità e di una accettazione delle diverse identità dei popoli facenti parte di essa, delle diverse idee purché rientranti nell’ambito della democrazia. Se la democrazia viene imposta, non è più democrazia, ma dittatura più o meno mimetizzata, magari anche con raccomandazioni varie e questo non è senz’altro la natura dell’Unione che deve solo diventare a mio giudizio più democratica e trasparente ancora, questo per evitare futuri mali possibili, e magari cessare anche i paternalismi, insopportabili qualora gestiti da un Governo, lasciandoli a chi di dovere, ai Papi, per definizione padri dell’umanità.
Rita Mascialino

mercoledì 24 luglio 2024

 Mascialino, R., (2) Riflessioni sulla Tesi di Laurea di Liviana Chiolo ‘Pinocchio tra palco e pellicola’: il capitolo 3.5. Riflessione N. 2

Introduzione alle Riflessioni da parte di Liviana Filippina Cava Chiolo:
‘In sinergia con la Dr.ssa Rita Mascialino, a seguito di un'idea frutto di una corrispondenza letteraria, seguirà un corpus costituito da una serie di riflessioni e approfondimenti incentrati sulla mia Tesi di Laurea, dal titolo 'Pinocchio, tra palco e pellicola'. Ogni settimana, circa, verrà pubblicato una notazione che metterà in rilievo una caratteristica fisica o caratteriale di uno dei personaggi dell'opera in questione; un ambiente o una determinata scena, che porteranno alla luce il vero significato semantico dell'opera di Collodi. Una fiaba che contiene al suo interno un universo incommensurabile di significati.’ (Tesi di Laurea ‘Pinocchio tra palco e pellicola’ di Liviana Filippina Cava Chiolo - Anno Accademico 2021/22, Università degli Studi di Catania DISUM Dipartimento di Scienze Umanistiche, Relatrice Chiar.ma Prof.ssa Simona Agnese Scattina)

“Nella Riflessione 1 che ha inaugurato il ‘corpus’ di studi sulla Tesi della Chiolo, è stata scelta la particolare e fondamentale relazione tra Mastr’Antonio e Geppetto, alla quale la Chiolo dà spazio importante. Ora vorrei soffermarmi ancora per qualche dettaglio approfonditivo sul dato di fatto secondo il quale Collodi abbia ideato due personaggi uno doppio dell’altro e non abbia lasciato la sua prima ideazione di un unico personaggio Mastro Ciliegia soprannominato Geppetto. Come sottolinea la Chiolo nella sua Tesi, Mastr’Antonio, primissima raffigurazione di padre di Pinocchio, tenta di uccidere il pezzo di legno parlante sbattendolo contro la parete della sua stanza, non appena sospetta che vi sia nascosto dentro un bambino. Nella seconda e definitiva ideazione della paternità putativa di Pinocchio – che arriva, come specifica Collodi, non si sa da dove nella legnaia del falegname Mastr’Antonio – il personaggio Geppetto vuole fabbricarsi un burattino e chiede un pezzo di legno al suo amico pure falegname. Mastr’Antonio gli dà il pezzo di legno parlante ben felice di liberarsene visto che ne aveva avuto tanta paura e lo voleva eliminare, così che Geppetto per così dire adotta il pezzo di legno parlante-bambino che prende dalle mani di Mastr’Antonio per educarlo come un figlio secondo i suoi principi, a sua immagine e somiglianza. In questa seconda ideazione il padre putativo di Pinocchio non è più, come nella primitiva ideazione di Collodi, un assassino che avrebbe ucciso il piccolo. Guardando tuttavia il testo in profondità come nell’esegesi della Mascialino ripresa molto precisamente nella trattazione di Liviana Chiolo, si evidenzia come, essendo Mastr’Antonio la raffigurazione dell’inconscio di Geppetto, ossia il suo doppio a livello inconscio-conscio, la predisposizione potenziale all’assassinio resti una componente della personalità di Geppetto per quanto rimossa. Molto significativamente Geppetto ha l’idea di avere un figlio quando si sveglia al mattino dopo aver sognato, implicitamente dopo aver avuto in merito comunque qualche suggestione che non ricorda nel dettaglio preciso e che si riferisce alla sua immaginazione inconscia. Per chiarire: nel suo inconscio c’è sempre la presenza di Maestro Ciliegia, sepolta appunto nell’inconscio, ma comunque esistente ed è per questo anche che il Mastr’Antonio della prima ideazione può sparire dal racconto: perché continua a vivere nascosto nell’inconscio di Geppetto. È tipico dello stile diegetico di Collodi nel libro più importante della sua vita, nonché uno dei più famosi della letteratura mondiale, esprimere quanto di più inquietante urgesse nella sua personalità in modo tale che non venisse recepito immediatamente da chiunque. Collodi non rinuncia ad esprimere quanto di poco lieto gli preme dire, ma lo esprime mimetizzandolo molto sapientemente, così che non sia esplicito. Geppetto resta una figura sinistra di padre putativo assommando in sé, pur rimossa, anche la parte inconscia rappresentata dal suo doppio, come espresso sia nel saggio, sia nel dramma e sia nella trattazione della Tesi della Chiolo.
Diamo adesso un approfondimento del perché Collodi abbia ideato una paternità putativa tanto negativa in Geppetto, ossia come mai avesse una così tremenda opinione della paternità – e anche della maternità come avremo modo di constatare secondo quanto la Chiolo cita ed evidenzia. Da un lato non sarebbe stato proprio consono in una fiaba fare del padre putativo di Pinocchio direttamente un padre assassino nelle intenzioni e nelle azioni concrete e questo è abbastanza chiaro. Dall’altro è un po’ meno immediato, ma non incomprensibile, perché Collodi avesse una così negativa opinione del genitore, conservandola anche nella paternità putativa di Geppetto che avrebbe potuto ideare diversamente se lo avesse voluto. Certo doveva avere avuto dei motivi molto forti per questa pervicacia nel presentare Geppetto tanto negativamente, ciò che per altro, come vedremo, continua in tutto il racconto e ha un culmine quando Geppetto si trova nel ventre dello squalo, come vedremo. Uno di questi motivi – lasciando stare qui tutti gli ulteriori motivi –, il più generale scelto specificamente dalla Chiolo è l’aggancio di Collodi al fatto che i suoi genitori, per via del loro lavoro a Firenze presso i conti Ginori, lo avessero affidato ai parenti della madre. Collodi nella sua infanzia non è stato sempre assieme ai genitori, al padre e alla madre, ciò che il bambino non ha senz’altro gradito. Per gli ulteriori più complessi e inquietanti motivi vedi il Saggio e le altre opere della Mascialino relative a Pinocchio.
Nella prossima Riflessione 3 l’argomento sarà la Fata Turchina per come è ideata nello straordinario testo di Collodi e come è evidenziato nella profonda Tesi di Liviana Filippina Cava Chiolo."
Rita Mascialino


 Rita Mascialino, Sulle radici culturali: 'La grande bellezza' di Paolo Sorrentino


"La grande bellezza’, capolavoro del regista Paolo Sorrentino, criticato, detto eufemisticamente, molto superficialmente in vari, credo troppi giornali e riviste tedesche, ad esempio da critici dell’importante giornale 'Die Süddeutsche Zeitung' di cui ho citato espressioni in altro studio. È in parte triste vedere come la Germania, oggi, in luogo della critica umanistica di livello di cui era capace un tempo, sembra in più di un caso aver sostituito analisi e sintesi con gli insulti, proferiti, come sempre gli insulti, nella non comprensione in generale, nella fattispecie: del significato del film, ma non voglio occuparmi di questo, né posso fare in un Quotidiano un’analisi dell’intero film, come ho fatto per altro in un corposo studio pubblicato altrove (www.ritamascialino.com). Voglio occuparmi qui invece di qualche rilevante particolare relativo ad un solo scorcio filmico, il più emozionante di tutto il film, quello che dà ragione del senso più profondo dell’intera opera, relativa specificamente alle radici culturali latino-romane del popolo italiano.
Si tratta dell’incontro del protagonista Jep Gambardella con Stefano, misterioso personaggio centrale del complesso messaggio del film. Dunque Jep scorge Stefano nel giardino di una villa romana durante una festa notturna cui è stato invitato da un grande collezionista d’arte che ha organizzato una cena con ballo a casa sua. Lo vede solitario e appartato, seminascosto tra le fronde quasi completamente al buio, appartato dagli altri ospiti in festa. Jep, che è suo amico da lungo tempo, lo saluta e gli chiede se abbia sempre con sé la speciale borsa e Stefano, interpretato da un eccellente Giorgio Pasotti, risponde che ce l’ha “sempre” con sé, sottolineando nel tono speciale il significato proprio dell’avverbio che è quello di un tempo ininterrotto, continuativo. Non si tratta di una borsa, ma più esattamente di una cassetta non proprio piccola, una cassetta che mostra di avere qualche associazione alla spazialità di una bara, di qualcosa che custodisca ciò che ebbe vita un tempo e che, appunto custodito, può vivere ancora nella memoria. La cassetta-scrigno molto speciale contiene tante e tante chiavi dei più bei Palazzi di Roma, in uno dei quali Stefano accompagna nella notte Gambardella e la bellissima Ramona. Nella suggestiva scena all’interno di Palazzo Barberini si intravedono in uno scurissimo chiaroscuro opere d’arte magnifiche, statue severe e dipinti soavi come anche La Fornarina di Raffaello che nella stanza completamente oscura pare irradiare luce propria come fosse essa stessa vivente, mentre Jep e Ramona appaiono nel buio quasi totale essi stessi come ombre e anche Stefano è come un’ombra appena visibile, persone in carne ed ossa già come un’umanità trascorsa fra quella ormai immobile e immutabile raffigurata dall’arte, in un gioco esteticamente molto emozionante tra arte e vita: gioco che mostra l’uomo di Sorrentino inserito come statua vivente nel più sublime immaginario artistico. Veniamo dunque in dettaglio al personaggio di Stefano. Ramona, incuriosita, gli chiede perché gli abbiano dato tutte quelle chiavi – in un invito di Sorrentino da dietro le quinte a far sì che il pubblico si chieda chi sia questo personaggio, perché non ci passi sopra guardandolo solo in superficie – e allora Stefano pare quasi imbarazzato, pare come non poter svelare la verità su di sé, abbassa lo sguardo e il volto come per nascondere la propria identità, poi lo rialza e dice che gliele hanno date perché è una persona affidabile, una risposta che ha bisogno di chiarimento in quanto non risolve il problema del perché debba detenere quelle chiavi proprio e solo lui. Il molto simbolico Stefano ha un nome derivato dal greco dove significa incoronato, alludente alla corona che lo collega alla figura del sacerdote che presso i greci era intermediario tra gli uomini e gli dèi, e di fatto Stefano è l’intermediario fra il mondo terreno e quello degli dèi più antichi. Chiarendo: è associabile molto direttamente a Vulcano, antichissimo dio della latinità, dell’Olimpo romano quindi, dio del fuoco sotterraneo concreto e metaforico, fabbro degli dèi, artigiano di eccezionale abilità, capace di lavorare in modo insuperabile i metalli, forgiatore delle armi degli dèi e degli eroi, insuperabile artista creatore di gioielli di altrettanto insuperabile bellezza, creatore di sculture, sposo di Venere, dea della bellezza, che però lo tradisce con Marte per via della sua bruttezza, tradimento – concreto e metaforico – che Vulcano furioso denuncia a tutti gli dèi come qualcosa di gravissimo, di imperdonabile, come lo sono tutti i tradimenti, in particolare questo che, sul piano simbolico, si riferisce al tradimento delle radici dell’identità latino-romano-italiana di cui Vulcano è antico rappresentante: radici dell'identità latino-romano-italiana che sono precipuamente, ed eccellentemente, artistiche. Il collegamento per così dire fisico tra Vulcano e Stefano, la prova regina che Stefano si associ simbolicamente al dio Vulcano, artista degli dèi appartenenti all’antichità dei popoli, nella fattispecie agli dèi romani, sta nel fatto che il dio e il misterioso personaggio ideato da Sorrentino sono entrambi zoppi e portano un bastone a forma di martello nell’impugnatura, attrezzo simbolo di Vulcano e in possesso ugualmente di Stefano come segno di riconoscimento. In aggiunta, il bastone viene mostrato ed evidenziato da Sorrentino appositamente in una speciale inquadratura ad hoc che lo mostra in posizione verticale e di profilo, così che abbia ben visibile l’impugnatura a martello e la simbologia ad essa connessa quale bastone di Vulcano, ciò mentre subito Stefano apre la cassa delle chiavi relative al passato artistico del popolo latino-romano-italiano per scegliere quella adatta al Palazzo in cui entrerà con Jep e Ramona, presentando e facendo rivivere la potente arte del passato italiano. Collegamenti importanti e vero gioiello culturale e artistico di Sorrentino: la grecità inerente al nome Stefano, attraverso la sua associazione con il dio Vulcano, acquista cittadinanza latina, romana. In tal modo l’influsso del mondo greco sulla latinità e l’acquisizione per così dire di particolari della grecità nella latinità hanno la loro esplicitazione direttamente in questo straordinario personaggio – di un più che straordinario Sorrentino come non mi posso stancare di ripetere! – interpretato in modo altrettanto straordinario, come già accennato, da Giorgio Pasotti, che ha saputo rappresentare la particolare natura fatta di silenzio e di mistero intrinseci peculiarmente alle cose antiche, antichissime, uno Stefano mediatore del mondo dei viventi con quei mondi trascorsi, fatti di fantasmi, quasi fantasma esso stesso come il dio Vulcano, vivo nella memoria come antica e anche antichissima identità psicologica, culturale. Si tratta di una guida più che preziosa per Jep e Ramona, guida che è memoria della più antica cultura e arte quali radici del presente e testimonianza della continuità indelebile del passato nelle epoche successive, radice che è identità di una cultura, della cultura latina, romana con la sua amicizia greca per così dire. Molto rilevante, come anticipato, è nel contesto l’avverbio “sempre” nella risposta di Stefano alla domanda di Jep. relativamente alla cassetta delle chiavi che tiene appunto sempre con sé, pronto ad aprirla per mostrarne i tesori, sepolti, ma sempre capaci di riprendere vita in una continuità che la memoria preserva. Ribadendo dopo le delucidazioni testé addotte: Stefano-Vulcano custodisce nel presente le chiavi che schiudono il passato artistico di Roma e non solo, conservandone la memoria perché non vada dimenticata, ne tiene appunto le chiavi ben protette nella cassa che porta sempre con sé, chiavi per proteggere l’arte, arte che nelle sue radici il contatto con gli dèi più antichi collegati all’immaginario artistico-culturale, all’identità più profonda del popolo. Il fatto che il personaggio si veda solo in un paio di inquadrature con la luce in volto e per il resto nelle poche altre inquadrature che lo riguardano sia un’immagine sfuggente, semi invisibile, conferma di suo la sua misteriosa parentela con il mondo oscuro delle radici, dei miti e degli dèi della latinità romana e indirettamente greca come felice unione di popoli artistici e devoti. Nel personaggio di Stefano si accentra dunque uno dei concetti base del film di Sorrentino come abbiamo avuto modo di accennare: l’importanza del passato, in particolare veicolato dall’arte e dai miti più antichi, per l’identità dei popoli, nel caso specifico: del popolo italiano. Una ulteriore nota: la nostalgica musica dello stupendo II Adagio in Do Maggiore Sinfonia N. 1 di Georges Bizet, una musica fatta quasi di echi lontani, che paiono provenire da mondi trascorsi, remoti, musica che accompagna sommessamente la breve, ma semanticamente centrale visita a Palazzo Barberini resa possibile da Stefano-Vulcano, il personaggio simbolico che detiene le chiavi di tutto il passato artistico del popolo italiano. Chiavi per la memoria dell’identità più profonda del popolo, della sua cultura."
Rita Mascialino

'Studio Fotografico Valentina Venier' 2022 | Udine | Via Grazzano 38


  Rita Mascialino ,  ‘Insieme falceremo il vento’: Poesie di Angioletta Masiero. Recensione. La silloge poetica Insieme falceremo il ven...