giovedì 9 giugno 2022

 Rita Mascialino, "L'identità multipla della 'Pietà Vaticana' di Michelangelo: analisi e interpretazione."

Immagine: Studio Fotografico Valentina Venier (2024) - Udine Via Grazzano 39

La Pietà di Michelangelo oggetto di questo studio è quella detta “vaticana” (1498-499) per distinguerla dalle altre due Pietà Bandini e Rondanini scolpite dall’artista, di cui qui non è il discorso, ma di cui verrà trattato in altro studio. Essa si trova appunto nel Vaticano, Roma, Basilica di San Pietro, ed è posta a destra entrando dall’ingresso principale della Basilica. La Pietà Vaticana è l’opera in cui Michelangelo proietta in modo più evidente la propria visione composita dell'essere umano. Ai fini della comprensione del significato intrinseco a tale scultura verrà estratta la spazialità dinamica del pezzo secondo quanto sta nel testo artistico (Mascialino 1997 e segg.). 

Immagine: Michelangelo, Pietà Vaticana. it.wikipedia.org/wiki/Pietà_vaticana


Ciò che si presenta al primo colpo d’occhio evidenzia un’azione statica, quella di una donna nell’azione di stare seduta, vestita in abiti muliebri di tempi molto antichi, quando le donne andavano avvolte in manti che ne ricoprivano il corpo interamente e spesso anche il viso, abiti lunghi e cadenti in falde, appunto come un ampio manto, donna che tiene nelle sue braccia un corpo più statico ancora, nudo e semidisteso, tenuto da una sola mano della donna, la mano destra posta sotto l’ascella destra di questo, che è verosimilmente un cadavere, mentre la mano sinistra della donna sta con il palmo rivolto in alto all’altezza del ginocchio sinistro dell’uomo, certamente non  in segno di sofferenza come alcuni critici hanno interpretato. Ho detto verosimilmente, in quanto poco c'è nel corpo di Cristo che alluda ad una crocifissione avvenuta, a ferite varie nella fronte per la corona di spine, nel costato, appunto nelle mani e nei piedi, solo l'abbandono della testa rivela che possa essere un corpo morto. Molti critici, o anche tutti i critici può essere supposto, affermano che una Madonna tanto giovane è tale in quanto Michelangelo avrebbe voluto idealizzare la natura sublime della madre di Cristo, ma le cose non stanno così come vedremo in dettaglio in questo studio: il corpo di tale Madonna non è idealizzato come, eventualmente, il volto. Faccio seguire una premessa prima di iniziare l’analisi vera e propria: quando si tratta di persone, chi le osserva è spesso portato a guardarle focalizzando soprattutto il volto per individuarne l’identità psichica profonda e poiché la donna qui ha un volto bellissimo, l’impressione di bellezza che se ne riceve può imporsi su tutto il resto, diffondendo il giudizio di soavità e bellezza, che lo connota, sull’intera figura della persona cui appartiene. In altri termini: il giudizio di bellezza riferito ad una persona non può prescindere mai dalla realtà del volto ed anzi un bel volto è di per sé motivo spesso sufficiente ad attribuire alla persona che lo possiede la connotazione della bellezza, connotazione che può in ampia misura anche prescindere dalla valutazione del resto del corpo. Questo modo di vedere le cose, come accennato, conduce a considerare la Madonna della Pietà Vaticana bellissima e di straordinaria soavità. Se tuttavia si osserva tale Madonna tenendo in considerazione anche la configurazione spaziale del suo corpo in dettaglio e globalmente senza lasciarsi condizionare dalla suprema bellezza del volto, le cose cambiano, come andiamo a vedere. Per agevolare l'osservazione è opportuno dividere la struttura della figura della donna in tre parti, rispettivamente: la testa e il volto, le spalle con il busto fino alla linea segnata dal corpo dell’uomo, gli arti inferiori a partire dalle ginocchia fino ai piedi. È consigliabile seguire l’analisi avendo visibili sia la struttura intera sia solo la parte in analisi, come si può fare scorrendo le varie immagini inserite nello studio.

Immagine: particolare, vedi sopra immagine intera wikipedia. 


Cominciamo dalla testa con il volto, dopo aver sottratto alla vista tutto il resto del gruppo scultoreo. La testa è piegata leggermente verso il basso e dal lato sinistro per chi guardi l’immagine. Sotto tale capigliatura-cappuccio sta un volto di donna connotato dallo sguardo rivolto in basso, tale che si intravede da occhi quasi del tutto chiusi. La boccuccia perfettamente formata è nella spazialità dinamica della delusione, di una dolce sofferenza e tristezza, dolce in quanto le labbra non sono serrate, né hanno gli angoli volti amaramente in giù, ma sono delicatamente quasi socchiuse nell’espressione di un dolore contenuto, incapace di turbare la compostezza generale del volto. Si tratta di un viso dalle fattezze, come già accennato, molto giovanili, ciò che si evince anche e soprattutto dai contorni di collo, mento e mandibola inferiore privi di ogni segno dell’età, privi di qualsiasi sintomo di decadenza quali, specialmente nella posizione in questione, doppio mento, pieghe e cedimenti di varia entità. La perfetta tenuta dei contorni del viso nonché del collo unitamente all’espressione fanno ritenere questo verosimilmente il volto di una adolescente ed anche di una preadolescente malinconica in quanto delusa per essere stata sgridata dal padre o castigata dai genitori per qualche mancanza o abbandonata dal fidanzato, oppure potrebbe anche essere il volto di una giovanissima sposa in atteggiamento di sottomissione al volere non condiviso dello sposo. Certamente non è possibile ritenere la spazialità dinamica di tale volto, se non lo si sapesse dalla conoscenza del soggetto della scultura, quella di una madre che abbia visto da poco crocifiggere il figlio amatissimo e che abbia appena sofferto con lui la sua passione di sangue e dolore, che abbia appena visto entrare i chiodi in mani e piedi di questo suo figlio e non abbia potuto fare nulla per evitarlo, che l’abbia appena visto morire in quel modo e lo tenga morto sul suo corpo. Ora la spazialità dinamica di questo volto così distante dalla spazialità dinamica degli eventi cui ha appena partecipato è frutto non di una incapacità tecnica di Michelangelo nel ritrarre la maschera tragica dell’amore contraffatto dal dolore di una madre di fronte al figlio ucciso in modo tanto crudele, ma di un omaggio alla figura della Madonna e, inevitabilmente, alla donna in generale, un omaggio di Michelangelo alla dolcezza inerente alla maternità. Per altro, come accennato, anche il leggiadro corpo del figlio porta segni della crocifissione quasi invisibili, così che si presta anch’esso a divenire simbolo della tragedia del vivere e del morire dell’umanità in generale come a superare i confini del martirio di un singolo uomo storico, in questo caso con la madre che porta come tale nella vita e accompagna nella morte.


Immagine, particolare: vedi sopra immagine intera wikipedia.

Passiamo ora alle spalle e al busto. Le spalle sono quelle di una persona robusta, data la loro ampiezza piuttosto imponente come si vede nettamente dall'attaccatura del braccio sinistro - oltre anche da quella del braccio destro ovviamente. Sotto la camicia si intravede un seno femminile in posizione abbassata, molto abbassata, apparentemente cadente, come disfatto, in ogni caso non in forma, non nella forma compatta richiesta dalla giovinezza adolescenziale del volto. Quanto alla struttura di tale busto come appare nella scultura, essa fa intuire un giro vita molto largo, ossia non un cintiglio adolescenziale e neppure giovane, ma la cinta di una donna, come appunto già detto, quasi anziana e comunque dal corpo forse grosso, in ogni caso senz’altro lasciato andare come suggerisce la forma che si allarga lateralmente verso il basso. Visto in relazione al volto, non sembra trattarsi della spazialità dinamica propria del busto di un corpo tanto giovane come  suggerito dal volto, ma verosimilmente del busto di una donna che ha avuto diverse gravidanze e in ogni caso non più giovane, né tanto giovane, oppure di una donna addirittura anziana. In questo modo l'età avanzata della Madonna può per così dire rientrare, solo allusivamente, nella realtà storica. 

 
Immagine, particolare: vedi sopra immagine intera.

Riferendoci agli arti inferiori, tranne un cenno del piede sinistro, essi sono completamente coperti dalla veste lunga e ricca di falde. I piedi sono in posizione sbilanciata l’uno rispetto all’altro, il sinistro sullo scalino più basso, il destro su quello più alto. Il ginocchio sinistro e la gamba sinistra si individuano molto chiaramente formati sotto la veste, dove appaiono piuttosto grossi e, se non si sapesse che appartengono al corpo di quel volto tanto esile e delicato nei tratti, si crederebbero appartenere a una robusta donna dallo scheletro grosso, ma non solo: anche a un uomo forte. Spiccano in comparazione con la gamba della Madonna le sottili e molto femminee gambe di Cristo.

Il dato di fatto rilevante di una tale complessiva spazialità dinamica è il seguente: mantenendo una persona il volto in un’espressione tanto dolce, soprattutto riservata, contenuta e raccolta appunto dolcemente, non di tensione qualsiasi, è molto difficile, impossibile a dire il vero, che i suoi arti inferiori possano stare in posizione opposta, divaricata, che si adopera in contesti emozionali diversi ed opposti e la cui assunzione implicherebbe una dissociazione profonda a livello cerebrale della persona che così si presentasse: la posizione divaricata ricorda quella della parata maschile ed in ogni caso non è la postura che si assume con il dolore, la quale è in genere di non espansione. È rilevante per l’interpretazione del pezzo tenere presente il fatto che in ogni caso un cervello sano produce una spazialità dinamica organica tra le parti del corpo, in quanto diffonde un tipo di comportamento, quello basilare e quello più importante secondo il caso, per cui dà, tranne appunto situazioni di obiettiva patologia, spazialità dinamiche nel complesso unitarie, non contraddittorie, dall’unitarietà senz’altro più o meno marcata o più o meno accennata, ma pur sempre unitarietà identificabile come tale, quell’unitarietà che nella figura della Madonna della Pietà Vaticana non c’è e la cui mancanza produce un effetto di straniamento alla percezione dell'opera. Qualcuno potrebbe obiettare che le gambe devono stare divaricate per sostenere il cadavere e questo è vero - sebbene gambe meno divaricate sosterrebbero probabilmente meglio il peso di un corpo morto -, ma se così fosse, allora questa posizione, essendo una necessità primaria, sarebbe essa ad atteggiare diversamente l’espressione del dolore visibile nel volto e del volto in sé, in altri termini: o la spazialità dinamica del volto è primaria e induce una spazialità dinamica affine nel resto del corpo, ciò che non si è verificato come abbiamo già illustrato - il cadavere dovrebbe riposare su gambe più pudicamente unite -, o viceversa la spazialità dinamica degli arti inferiori è una necessità primaria e induce allora una spazialità adatta nel volto con la conseguenza di un’espressione diversa, ciò che pure non è accaduto. La ampia divaricazione inoltre, sottolineata dall’andamento del drappeggio della veste, molto movimentato, allude in ogni caso ad una posizione, trattandosi di una donna, non convenzionale e non di rappresentanza, una posizione che pretende una dinamicità fisica notevole ed una forza altrettanto notevole, ciò che di nuovo è in contrasto con il visino minuto della donna, che non lascia presupporre non solo un tale corpo, ma neppure doti di mascolina atleticità.

Immagine: vedi sopra wikipedia.

Osseerviamo ora il corpo e il volto della Madonna cercando di tenere presente l’analisi attuata fin qui e di vedere con un colpo d’occhio sia la struttura intera della figura, sia le tre parti evidenziate singolarmente. Risulta ora più evidente che le linee laterali di congiungimento tra il busto e il bacino debbano essere in espansione e ciò sta in armonia con l’ampiezza delle spalle e con il tipo di arti inferiori come si ricostruiscono da sotto la veste, così che appare a questo punto una donna con il volto dell’adolescente timida e riservata, forse un po’ delusa, innestato sul corpo di una donna dalle spalle larghe e abbastanza grossa, e forse anche innestato sul corpo grosso e in un certo sfascio di una donna anziana, nonché sugli arti inferiori, oltre che di una tale donna, di un possibile maschio. Ora se per l’espressione del volto inadeguata alla tragica situazione vi è una spiegazione, come è stato esposto - per altro la modella del volto pare sia stata come era d'uso all'epoca una giovane prostituta -, anche per la raffigurazione del resto del corpo vi è una spiegazione. Tale spiegazione ha la sua radice nella visione di genere da parte di Michelangelo, come si riscontra ovunque nelle sue opere pittoriche e scultoree. La visione della donna da parte dell’artista, la quale è stata proiettata sulla figura di questa Madonna, porta la seguente connotazione essenziale: la mescolanza - non armoniosa fusione, ma miscuglio eterogeneo - di tratti psicofisici della fanciulla e tratti psicofisici di una donna matura, forse addirittura vecchia, come la spazialità dinamica delle spalle, dei seni, del busto e della ricostruzione del bacino fanno ritenere, nonché di qualche tratto di un uomo, un uomo potente, sicuro di sé, come la spazialità dinamica degli arti inferiori lascia supporre. È chiaro che anche la personalità di una donna adolescente non è la personalità di una donna anziana e tanto meno quella di un baldanzoso maschio abituato a gestire il proprio corpo ben diversamente da quanto consono ad una dolce e soave fanciulla, ossia è chiaro come anche la personalità corrispondente a diverse età e generi sia diversa, risultando composita nella stessa persona. Ribadendo: la presenza di una qualche componente maschile occhieggiante per così dire dalla struttura dello stesso corpo femminile evidenzia la presenza in tale Weltanschauung di un importante Leitmotiv dell'arte michelangiolesca: il miscuglio non armonizzato di maschio e femmina, comune a molte opere dell'artista. Soprattutto comunque, come già anticipato, emerge la presenza di una visione della donna quanto mai stridente di contraddizioni: da un lato bellezza e soavità prima della maternità – vedi delicato volto verginale della Madonna –, dall’altro decadenza della bellezza e soavità della donna attraverso e dopo la maternità – vedi corpo sfasciato della Madonna. Da non dimenticare la firma di Michelangelo posta molto visibile di traverso tra i seni della Madonna: come se i seni fossero suoi o come il maschio avesse il contrassegno dei due seni femminili. Per altro i luoghi per apporvi la firma sarebbero potuti essere molti altri, fuori da una collocazione così eclatante e speciale, fuori da ogni Leitmotiv altrettanto speciale se Michelangelo lo avesse voluto. Inoltre la firma non solo è tra i due seni della donna, ma si trova in primissimo piano e ha dimensioni piuttosto estese. È come se il femminile fosse scisso a metà con il maschile nel più perfetto miscuglio caro a Michelangelo.

Immagine, particolare: vedi sopra wikipedia.

Passiamo alla figura dell'uomo. Difficilmente una persona a peso morto può stare in una posizione come quella rappresentata nel gruppo delle due figure senza cadere o senza scivolare comunque a terra: la Madonna tiene il cadavere di Cristo solo con la mano destra sotto la sua ascella pure destra, cosa impossibile con un corpo morto, mentre la mano sinistra solo tocca dall'esterno il ginocchio sinistro di Cristo, senza sostenerlo in nessun modo. È cosa piuttosto vistosa come l’arto inferiore destro dell’uomo poggi il piede al suolo come a trattenere con controllo nervoso il corpo nella giusta postura affinché il corpo non cada a terra. Anche il braccio destro non è del tutto cadente non tanto perché trattenuto all’indice da una falda della veste della donna, quanto perché anch’esso non del tutto privo di controllo nervoso ed è cosa anche abbastanza vistosa come la bocca sia dolcemente chiusa, ciò in una posizione della testa nella quale già chi dormisse avrebbe difficoltà a tenere le mascelle sotto controllo. Di nuovo, non è certo il caso di pensare che Michelangelo non sapesse valutare la dinamica di un corpo morto e martirizzato in aggiunta. Da un lato si può supporre che il corpo di tale uomo sia elegante e composto pur dopo una morte tanto straziante in quanto corpo di un essere superiore, di una divinità, come vuole la leggenda. Dall’altro lato si può supporre parallelamente che Michelangelo abbia voluto dare alla morte un alone di sonno profondo da cui fosse possibile risvegliarsi, quasi un cenno eventuale alla  resurrezione. Accanto all'idealizzazione della realtà in un'estetica superiore - a parte il molto interessante ma non estetico Leitmotiv del miscuglio di genere nella Madonna -, troviamo nella mano destra di Cristo la tenaglia tra indice e medio presente anche nel Mosé, nel contesto come segno di un Cristo doppio come dal suo corpo femmineo, più femmineo di quello della donna - vedi anche il cenno quasi di una mammella al petto destro, dovuto sì al turgore del muscolo nella posizione, ma comunque simile all'aspetto ad un seno muliebre, petto indicato dalla tenaglia del doppio fatta dalle due dita della mano destra della Madonna rivolte in evidenza verso il seno dell'uomo. Anche la mano sinistra in posizione piuttosto strana mostra comunque la tenaglia del doppio fatta questa volta da indice e pollice molto evidenziati. Perché tale spazialità del pollice e indice verso l'esterno, quasi a indicare una via, un luogoCerto non significa sofferenza come qualche critico ha ipotizzato, almeno senza dimostrazione non è interpretazione convincente. Più verosimilmente l'indicazione fuori dal gruppo può indicare come tale Madonna indichi il già citato l'allontanamento dal soggetto religioso di superficie, ciò che sarebbe per altro anche in piena sintonia con i simboli del doppio sparsi in tutta l'opera. Ma c'è anche un altro significato profondo che si collega a questo e si mostra più esplicitamente in un magnifico disegno che ritrae la Madonna con il Bambino in una più che sorprendente spazialità: la Madonna guarda dall'altra parte, a sinistra, ignorando completamente il Bambino che resta per così dire solo, aggrappato al seno della madre - troneggia il Leitmotiv del doppio nella mano destra della Madonna con cui tiene stretto il Bambino. Qui non si tratta soltanto di una semantica che distrae dal soggetto evangelico, bensì il rapporto di Michelangelo con la madre ha la sua espressione più libera e piena: la madre non si occupa del bambino e si deve riferire senz'altro al destino di morte che separerà madre e figlio, la Madonna e a Cristo, ma soprattutto alla madre di Michelangelo che si allontana dal piccolo Michelangelo lasciandolo solo. Non si può non riferire questa spazialità al fatto che la madre di Michelangelo morì prematuramente quando questo era un bambino e non poté occuparsi di lui, dandogli tutto il suo amore. Così nelle due dita della Madonna della Pietà Vaticana rivolte via da Cristo, al Leitmotiv del doppio sopra esposto come pure nello studio sul Mosè, si sovrappone in una frangia semantica - vedi le dita che non sono più precisamente l'indice e il medio, ma il pollice e l'indice, ossia sono sempre due, ma diverse da quelle che indicano solo il doppio -  il ricordo dell'assenza della madre, dell'abbandono del figlio da parte della madre, addirittura nella Pietà Vaticana in analisi è ancora e sempre la madre, ancorché ancora vivente, che abbandona il figlio, sia perché il figlio muore, sia perché essa, non più Madonna, ma solo madre di Michelangelo, muore ugualmente lasciando solo il figlio, un Leitmotiv interno al tema del rapporto madre-figlio che doveva stare molto a cuore a Michelangelo vista la frequente presenza nelle sue opere.

Tornando al Leitmotiv del doppio, riguarda  esso una contaminazione blasfema dato il soggetto religioso importante? No, è precipua natura dell'arte esprimere, sul piano conscio o inconscio, l'artista in toto, in tutte le sfaccettature della sua visione del mondo, del suo mondo. Ciò sottolinea da un lato come l'insieme delle due statue sia stato riferito da Michelangelo al soggetto storico evangelico come superficie, non nella sua semantica profonda corrispondente al messaggio espresso in seno alla personalità dell'artista: i suoi esseri femminili e maschili rappresentano di consueto un doppio, spesso non una fusione dei due generi - come al contrario, soprattutto, nel magnifico David e nel fine Cristo in questione -, bensì un miscuglio non fuso armoniosamente in un unisex, ma visibile, più o meno crassamente, nei suoi pezzi costitutivi eterogeneamente separati. Il gruppo delle due figure, visto nel suo insieme con sguardo pur analitico, appare  disorientante esteticamente,  ma in regola con la personalità del più grande scultore del mondo che proietta, inevitabilmente come nell'arte,  la sua visione del mondo nelle sue figure al di là dei soggetti ufficiali. Non ci interessa sapere qui se a Michelangelo piacesse tale mistura di generi in un modo  e in un  altro nella sua vita concreta, una tale indagine è cosa della ricerca biografica. Interessa qui invece il dato semantico profondo dell'opera, il dato di fatto secondo il quale nel gruppo scultoreo della Pietà in questione la mescolanza dei generi nel doppio c'è, espressa con insistenza - vedi le tenaglie citate più sopra, anche la firma eclatante, il corpo della Madonna in relazione al suo visino. Il gruppo scultoreo evoca la presenza di un miscuglio di parti diverse, appunto non fuse armoniosamente insieme, come molto spesso avviene nelle figure di Michelangelo fino a costituirne un rilevante Leitmotiv, come una sua quasi immancabile firma artistica - vedi al proposito lo studio dell'autrice La barba del Mosè di Michelangelo: analisi e interpretazione. Dall'altro lato il gruppo evoca anche, alla luce di un 'analisi profonda come più sopra, il suo rapporto di dolore collegato alla morte prematura della propria madre.

                                                                                       Rita Mascialino


Immagine: Studio Fotografico Valentina Venier (2024) - Udine Via Grazzano 39





venerdì 3 giugno 2022

Rita Mascialino, “La barba del Mosè di Michelangelo: analisi e interpretazione”. 


Nell’immagine: il “Mosè” di Michelangelo, San Pietro in Vincoli, Roma.

http://www.annazelli.com/statua-mos%C3%A8-di-michelangelo-a-san-pietro-in-vincoli-roma.htm



Riferimento alle Tombe Medicee: www.arte.it/notizie/firenze/lunga-vita-a-michelangelo-completato-il-restauro-della-sagrestia-nuova-18405 Sagrestia Nuova. Michelangelo Buonarroti, Tomba di Giuliano de' Medici, duca di Nemours, dopo il restauro I Foto Antonio Quattrone, 2020 I Courtesy Musei del Bargello

Riferimento alla Nascita di Venere. Botticelli. 
https://www.mostradelposter.it/prodotto/sandro-botticelli-la-nascita-di-venere-detail

 


Rita Mascialino, “La barba del Mosè di Michelangelo: analisi e interpretazione”. 

"Vorrei soffermarmi su un paio di dettagli semantici del Mosè di Michelangelo individuati secondo la loro spazialità dinamica (Mascialino 1997 e segg.). Al proposito non citerò qui le molto interessanti delucidazioni esistenti di tipo storico e culturale, né terrò conto della famosissima analisi di Freud esposta in grande dettaglio nel suo studio specifico del Mosè. Evidenzierò invece uno dei numerosi e importanti tratti caratteristici della scultura più celebre del mondo, inserendola in cenni di comparazione semantica con altre opere, ossia illustrerò tra gli altri un Leitmotiv che ricorre in molte opere – i testi artistici – di questo straordinario genio italiano, toscano, nato in un paese dell’aretino (Caprese 1475-Roma 1564). Introduco l’analisi con una premessa relativa a una mia lontana reazione di sorpresa, che insorse mentre osservavo da ragazza con grande interesse le statue che Michelangelo scolpì per la tomba di Giuliano de’ Medici nella Basilica di San Lorenzo a Firenze, rappresentanti allegoricamente Il giorno e La notte. La statua alla mia sinistra, La notte, era quella che stavo osservando in particolare, associandola spontaneamente nella mia età giovanile al corpo elegante e leggiadro, efebico, del David. La statua scolpita sulla tomba in San Lorenzo mi era sembrato raffigurasse un magnifico maschio giovane e altrettanto leggiadro del David, con non grosse differenze fisiche dovute, come credevo, alla diversa postura: sensualmente in piedi il David bellissimo nel volto, nei capelli e nel corpo, nell’atteggiamento audace  e sicuro di sé, anche un po’ arrogante; sensualmente ed eroticamente sdraiato, in atteggiamento di semi abbandono, quello che ritenevo un uomo simile all’altro per l’aspetto di eleganza. Guardando e riguardando ammirata la statua sulla tomba per carpirne i significati profondi, dopo lungo osservare dunque mi era capitato di prendere casualmente contezza di due seni femminili. La mia sorpresa fu come uno sbigottimento. Guardai comunque ancora alla ricerca di un eventuale quanto improbabile sesso maschile, ma appunto non poteva esserci e non c’era, era proprio una donna. Sbalordita per non essermene accorta prima, stetti ancora a lungo a guardare la statua da tutte le parti per capire da dove fosse provenuto il mio crasso errore di valutazione – il maschio scolpito alla mia destra era molto diverso, maschile in tutto e quasi vecchio a prima vista, una statua, rappresentante Il giorno, che non aveva ancora attirato la mia attenzione, cominciando io per consuetudine ad osservare da sinistra. Scoprii presto tuttavia in luogo dell’impossibile pene un gufo stretto e semi nascosto tra le gambe della figura, in collocazione vicino al sesso, quasi un suo sostituto, una sua estensione a livello simbolico. Certo il gufo è animale notturno adatto a rappresentare la notte e molto altro, ma nel contesto dell’opera spicca la sua simbologia più generale di ordine sessuale. Tale uccello poteva essere posto in altro luogo allontanando così qualsiasi, immediata, associazione al sesso maschile, di cui gli uccelli sono assieme ad altri, come ad esempio il serpente, simboli privilegiati nella cultura umana da tempi antichissimi, preistorici. Ma Michelangelo lo ha posizionato all’attaccatura interna delle cosce della cosiddetta figura femminile, dotandola così di un fallo sul piano metaforico. L’associazione con Leda è riscontrabile, ma in senso diversificato: il cigno nel mito, spesso rappresentato fu accanto al sesso della donna, rappresenta il fallo di Zeus, mentre il gufo, nel contesto della donna in questione somigliante ad un leggiadro uomo, sta, al di là di ogni allegoria possibile che qui non ci interessa, per il di lei sesso maschile. In altri termini: l’uccello posizionato quasi nascostamente e strettamente fra le cosce della donna, allegorismi a parte, non può significare altro che un sesso maschile, un fallo, come, pur diversamente, il cigno era un fallo e certamente un uccello posto alla giuntura delle cosce ben poco altro poteva significare. In questo contesto i seni della donna, di cui non avevo preso atto durante la mia lunga osservazione pur avendoli senza dubbio percepiti nella visione inconscia, sembrano quasi giustapposti, meno naturali di come possono essere nella realtà delle cose al proposito. Ora tale mescolanza tra maschio e femmina non è cosa sporadica né tanto meno unica in Michelangelo, ma è un suo Leitmotiv costante e profondo, importante – vedi anche i due seni femminili all'aspetto nella statua di Giuliano posta nel retro in alto sulla tomba in questione –, uno dei tanti contrassegni rilevanti relativi alla sua arte, un po’ come la firma semantica della sua personalità che mescola, non fonde, il maschio con la femmina, quasi, in un audace parallelo, Michelangelo abbia precorso i tempi con figure per così dire trans, ossia di sesso maschile e di seno femminile. Anche nella Cappella Sistina si nota una molto molto appariscente mistura con tratti maschili in sue figure femminili, anche nella Pietà Vaticana, alla cui mescolanza dei generi, non fusione, non amalgama, dedicai uno specifico studio di undici pagine una ventina di anni fa, nel 2002 (Cleup). Sottolineo la non fusione armoniosa dei due generi, bensì la presenza del miscuglio eterogeneo, in cui le varie sostanze conservano separatamente la loro identità. Che Michelangelo sia stato forse o di sicuro o non sia stato bisessuale, non ci interessa, è compito dei biografi stabilirlo o confutarlo, non dei critici. Nei suoi testi però – ciò che è quanto interessa, tra tutto il resto, l’analisi semantica appunto del testo –, ossia nelle sue opere la bisessualità o l’omosessualità o, più esattamente, la predilezione per il corpo e la natura cosiddetti trans ci sono indubitabilmente, ossia ancora: il femminile nella visione di Michelangelo non esclude il maschile, ma non si amalgama o fonde in un unisex, coesiste individuabile separatamente dal maschile nello stesso corpo, questo secondo la semantica per come sta espressa in numerose, molto numerose sue opere. Motivo questo per cui avevo scambiato il corpo della Notte nella basilica con un corpo maschile, anche se non crassamente espresso come ad esempio in molte figure femminili della Cappella Sistina, altrove.

Venendo adesso alla barba del Mosè e alla mano destra che si intreccia in essa, lasciando qui stare qualsiasi altra considerazione possibile, vediamo che si tratta di una barba non ispida, non lanosa, non incolta, non proprio maschile, bensì fluente morbidamente a volute e molto lunga, come una estetica chioma di aspetto marcatamente femminile. Un po’ quasi come i capelli della Venere (1485) di Sandro Botticelli (Firenze 1445-1510), per intenderci sul piano visivo. La barba-chioma è posta in bella vista, frontalmente e fra due dita che rappresentano, nello specifico contesto, il Leitmotiv del doppio. Michelangelo proiettato, come vedremo con qualche dettaglio, in Mosè accarezza in un gesto ben evidenziato una chioma femminile, come se, sempre restando nell’ambito del testo, abbracciasse una specie di se stesso femminile, questo a prescindere da qualsiasi altra considerazione possibile di cui qui, come anticipato, non mi occupo, interessando solo il Leitmotiv individuato e riconoscibile in tante altre opere. Ma non solo. Molto, molto interessante, sempre nel contesto michelangiolesco e specificamente mosaico, è ancora un aggancio alla citata opera botticelliana: Venere si copre il sesso femminile con l’estremità della sua capigliatura tenuta dalla mano sinistra, mentre il Mosè di Michelangelo, tenendosi l’estremità della barba o chioma spazialmente sul sesso, la collega ad esso, ossia pone l’attenzione sul sesso – sottolineiamo ancora che anche la mano destra è pure in posizione affine a quella della mano destra nella Venere. Non si tratta però di sesso femminile, ma di quello maschile in un capolavoro di profonda semantica estetica. Somiglianze nella diversità: Venere si copre pudicamente il sesso indubbiamente femminile e il seno, Mosè evidenzia la presenza del doppio accarezzando la sua barba-chioma come i capelli di una donna;  Venere copre il suo sesso femminile tenendoci sopra l’estremità dei suoi fluentissimi capelli, il Mosè seduto tiene con la mano l’estremità della barba-chioma proprio sul sesso, per indicare il sesso già coperto dagli abiti, un sesso che si suppone senz’altro maschile, ma che si collega tuttavia alla barba-chioma dai tratti femminili, ossia che si collega molto direttamente al doppio michelangiolesco. Tutto in uno straordinario capolavoro di espressione artistica della personalità di Michelangelo. Certo, Michelangelo se non avesse avuto alcuna idea conscia o inconscia per la statua come sopra, avrebbe facilmente potuto fare diversamente, ad esempio: poteva non prendere lo schema della Venere di Botticelli per il suo Mosè, poteva evitare il simbolo del doppio proprio sulla barba-chioma e in corrispondenza del seno della Venere, poteva fare la barba più ispida e maschile e soprattutto  poteva non mettere la mano sinistra con le tre dita, numero simbolico, là dove l'ha messa in corrispondenza della fine dei capelli della Venere con spazialità sul sesso. Ma cosi non è stato.

Pare che Michelangelo dicesse a statua compiuta come mai essa non potesse avere vita: in essa aveva proiettato e realizzato alla perfezione il suo miscuglio o doppio sul  piano della bellezza attraverso la spazialità della barba – l’arte di tutti i tipi per primo esprime la personalità degli artisti ed è su questa espressione quale che sia che si aggrega il suo significato più o meno ricco di sfaccettature.  In aggiunta ancora un cenno alle corna sulla testa di Mosè: certo, si tratta come è stato evidenziato dalla critica, di un errore di traduzione di San Gerolamo dovuto a termini simili, dove il significato non erano le corna, bensì la radiosità della luce da cui il volto di Mosè fu inondato alla sua seconda discesa dal Sinai con le due tavole scritte da ambo i lati. Nel contesto della statua esse acquistano tuttavia significato – non conforme al testo biblico – del potere maschile del toro, del bue Api per così dire, di cui Mosè è provvisto come capo del suo popolo, un sesso maschile simboleggiato sulla testa, mentre nel corpo stanno, mimetizzati e coperti, i risvolti al femminile. Non è senza significato neanche l’assenza di scrittura sulle tavole – che in aggiunta stanno scomposte sotto il braccio, come fossero senza importanza –, segni che con estrema facilità e rapidità Michelangelo avrebbe potuto incidere. La mancanza della scrittura – il contrassegno più rilevante nella figura del Mosè biblico essendo essa addirittura la motivazione delle sue due salite e discese dal monte dove niente meno ebbe l’incontro con Dio che scrisse i comandamenti con il suo dito – non poteva essere stato trascurato insipientemente o per imperdonabile dimenticanza da Michelangelo. Doveva significare – in ogni caso consciamente o inconsciamente non fa alcuna differenza, o magari per un inverosimile e imperdonabile lapsus freudiano. E di fatto significa: non fu la figura del Mosè biblico in sé a interessare Michelangelo come l’assenza dell’importantissimo riferimento ai comandamenti evidenzia senza ombra di dubbio, ma fu l’espressione del suo doppio al di là della storia o leggenda, ossia il Mosè di Michelangelo è quello biblico solo nel soggetto, nella sua superficie quindi, mentre nel profondo ci troviamo di fronte Michelangelo in persona, come forse non l’avevamo mai visto prima. Per concludere: non si può dimenticare che il modello spaziale del doppio di Michelangelo ha in questa statua unica al mondo per potenza, bellezza e realizzazione semantica lo schema della Nascita di Venere di Botticelli, del simbolo insuperato della bellezza al femminile di tutta l’umanità.

Termina qui l’analisi riguardante la spazialità dinamica intrinseca alla barba del Mosè di Michelangelo."

                                                                                                                            Rita Mascialino 



Immagine: Studio Fotografico Valentina Venier (2024) - Udine Via Grazzano 39

  







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