Mascialino, R., “Stefano Zangheri: ‘sensazione ultima’. Inedito”. Recensione.
Nell’immagine: il poeta STEFANO ZANGHERI, mentre legge la Motivazione della TARGA ORO ricevuta per la sua silloge poetica “Matera” (2015)
Una lirica, sensazione ultima,
di Stefano Zangheri, la quale esprime a chiaroscuri interiori vieppiù sfumati il
momento fatale dell’uomo quando si avvicina la dipartita e ancora, ad oltranza,
vuole capire il mondo e godere delle più intense emozioni che gli ha dato la
vita nel bene e nel male. Perché la morte è la più grande e squassante emozione
nella visione del mondo del poeta e comunque l’ultima dopo la quale sarà
l’abbandono della vitalità.
“sensazione ultima
questo fuggire piano dalla luce /
quest'ombra dalla forma conosciuta /
incontro degli sguardi /
nella linea di fondo che separa /
le verità segrete /
le domande rimaste ad ascoltare /
Io sto/
come pianeta errante nel destino /
che superbo /
immola questa vitalità che
s'abbandona”
Il fuggire dalla luce implica la volontà
o il desiderio di lasciarla – non è la luce che fugge dall’uomo allontanandosene,
ma è l’uomo zangheriano che fugge dalla luce presentendo di non essere più
adeguato al suo fulgore, di non avere più la forza di stare nel suo regno dei
forti. Tuttavia la lentezza che accompagna l’azione implica anche il volersi
dare il tempo di assaporare la sensazione straordinaria di allontanarsi dalla
luce, simbolo principe della vita, prima di entrare definitivamente nelle
tenebre, tempo per l’ultima sensazione senza sprecarla nell’inutile affanno, nella
paura. Prima di essere sacrificato quale pianeta errante, uomo senza casa
nell’Universo e nella vita, a un destino altero per la sua vittoria sull’uomo,
il poeta sta quale magnifica figura solitaria scolpita nel settimo verso “Io
sto” con la maiuscola del pronome a indicare la sua identità individuale vicina
a scomparire per sempre – non ci sono allusioni ad alcun al di là –, eretto e
gigantesco, capace di guardare in faccia un destino che richiede il sacrificio
cruento come vuole un’immolazione evocante arcaici miti di ere che appaiono
remote, che tuttavia sempre si ripetono uguali e senza tempo. Un destino che
diviene in questo canto lirico il cosmo umano, non infinito quindi, bensì
dotato, nei suoi pur immensi spazi psichici, di coordinate: quelle segnate dal
tempo dell’inizio e della fine. Domande che vorrebbero ancora ascoltare le
risposte a verità che rimangono segrete, ormai per l’eternità. Allora il poeta intravede
un’ombra nota a lui nell’incontro degli sguardi all’orizzonte che lo separa da ciò
che non si può più ottenere. Si tratta di sguardi che si riconoscono alla pari,
perché anche tale forma fatta precipuamente di sguardo sta nel medesimo
universo dominato dal medesimo destino ed è in grado di guardare il poeta negli
occhi nella più splendida e profonda affinità elettiva.
Il verso finale è emozionalmente più
intenso e sensuale che mai. Non si tratta di abbandonare la vitalità, ma di una
vitalità “che s’abbandona”, ossia che, ormai vinta, si abbandona alla lama del
destino, nell’estasi di un cupio dissolvi che realizza la fine in un
devastante eros di addio per sempre.
Una poesia per la vita fino
all’ultima sensazione.
Rita Mascialino