venerdì 17 dicembre 2021

Mascialino, R., “Stefano Zangheri: ‘sensazione ultima’. Inedito”.  Recensione.

Nell’immagine: il poeta STEFANO ZANGHERI, mentre legge la Motivazione della TARGA ORO ricevuta per la sua silloge poetica “Matera” (2015) 

Una lirica, sensazione ultima, di Stefano Zangheri, la quale esprime a chiaroscuri interiori vieppiù sfumati il momento fatale dell’uomo quando si avvicina la dipartita e ancora, ad oltranza, vuole capire il mondo e godere delle più intense emozioni che gli ha dato la vita nel bene e nel male. Perché la morte è la più grande e squassante emozione nella visione del mondo del poeta e comunque l’ultima dopo la quale sarà l’abbandono della vitalità.

 

“sensazione ultima

 

questo fuggire piano dalla luce /

quest'ombra dalla forma conosciuta /

incontro degli sguardi /

nella linea di fondo che separa /

le verità segrete /

le domande rimaste ad ascoltare /

Io sto/

come pianeta errante nel destino /

che superbo /

immola questa vitalità che s'abbandona”

 

Il fuggire dalla luce implica la volontà o il desiderio di lasciarla – non è la luce che fugge dall’uomo allontanandosene, ma è l’uomo zangheriano che fugge dalla luce presentendo di non essere più adeguato al suo fulgore, di non avere più la forza di stare nel suo regno dei forti. Tuttavia la lentezza che accompagna l’azione implica anche il volersi dare il tempo di assaporare la sensazione straordinaria di allontanarsi dalla luce, simbolo principe della vita, prima di entrare definitivamente nelle tenebre, tempo per l’ultima sensazione senza sprecarla nell’inutile affanno, nella paura. Prima di essere sacrificato quale pianeta errante, uomo senza casa nell’Universo e nella vita, a un destino altero per la sua vittoria sull’uomo, il poeta sta quale magnifica figura solitaria scolpita nel settimo verso “Io sto” con la maiuscola del pronome a indicare la sua identità individuale vicina a scomparire per sempre – non ci sono allusioni ad alcun al di là –, eretto e gigantesco, capace di guardare in faccia un destino che richiede il sacrificio cruento come vuole un’immolazione evocante arcaici miti di ere che appaiono remote, che tuttavia sempre si ripetono uguali e senza tempo. Un destino che diviene in questo canto lirico il cosmo umano, non infinito quindi, bensì dotato, nei suoi pur immensi spazi psichici, di coordinate: quelle segnate dal tempo dell’inizio e della fine. Domande che vorrebbero ancora ascoltare le risposte a verità che rimangono segrete, ormai per l’eternità. Allora il poeta intravede un’ombra nota a lui nell’incontro degli sguardi all’orizzonte che lo separa da ciò che non si può più ottenere. Si tratta di sguardi che si riconoscono alla pari, perché anche tale forma fatta precipuamente di sguardo sta nel medesimo universo dominato dal medesimo destino ed è in grado di guardare il poeta negli occhi nella più splendida e profonda affinità elettiva.

Il verso finale è emozionalmente più intenso e sensuale che mai. Non si tratta di abbandonare la vitalità, ma di una vitalità “che s’abbandona”, ossia che, ormai vinta, si abbandona alla lama del destino, nell’estasi di un cupio dissolvi che realizza la fine in un devastante eros di addio per sempre.

Una poesia per la vita fino all’ultima sensazione.

                                                                                                         Rita Mascialino




  

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