La poesia Un quarto alle 3:0 di Maria Teresa Infante La Marca: analisi e interpretazione
di Rita Mascialino
Recensione uscita nel Quotidiano online IL corriere Nazionale (28 giugno 2024).
La
poesia Un quarto alle 3:0 di Maria Teresa Infante La Marca
che dà il titolo alla silloge Un quarto alle 3:00 – Notti (Bari: Oceano
Edizioni: 2024: Illustrazioni di Marika Grassano) è densa di simboli che
sgorgano, metaforicamente, dal profondo, simboli che si esprimono con tutta
l’energia creativa del loro afflato poetico in immagini che colpiscono la
sensibilità sommovendone la possibile situazione di quiete. Maria Teresa
Infante La Marca è poetessa a tutto tondo, come si evidenzia anche dalla sua prosa
che trae spesso ispirazione dalla poesia di cui essa veste la sua percezione
della vita. Si tratta di settantuno composizioni che si pongono nella scia del
simbolismo ermetico, in maggioranza costituite da pochi versi a loro volta
molto brevi ciascuna, tranne alcune liriche meno sintetiche.
L’atmosfera suscitata dalla raccolta è in generale fosca, in piena sintonia con la Weltanschauung priva di illusioni di chi è consapevole di avere un’esistenza transeunte. Quanto alla lirica in analisi, giustamente, come vedremo, essa è stata posta dall’Autrice come titolo emblematico della silloge, della sua semantica, dell’atmosfera cupa e dei contenuti che essa rappresenta nella prospettiva di una significativa doppia ottica, come andiamo a vedere.
di
Segue
il testo poetico di Un quarto alle 3:0 (63):
L’ultima sigaretta
rimbocca il letto
alle arterie
conscia di dover
dare
un’opportunità
alla morte.
Beffarda la luna
pettina gli orli
ai riccioli sulla
fronte
cielo e terra
non sono poi così
lontani
se quando più non
so che dire
attendo il buio
che parli al posto
mio
e carta straccia
s’anima d’inchiostro.
La
notte è fonda, sono quasi le tre e c’è una protagonista, proiezione della
poetessa che non dorme. La prima parola del primo verso della prima strofa,
ossia dell’incipit, è l’aggettivo ultima riferito alla sigaretta
in pendant con l’ultima parola del quarto verso al termine della strofa,
ossia morte. La strofa è introdotta da qualcosa di ultimo e definitivo e
finisce pure con qualcosa di ultimo, nella fattispecie di definitivamente
ultimo come la morte. Domina la sensazione iniziale il sentimento della scomparsa
della vita. Che nel primo verso
l’aggettivo ultima si riferisca alla sigaretta conta nel contesto di
morte un po’ come ultima sigaretta del condannato a morte e, sul piano
universale, gli umani sono tutti da sempre condannati a morte, così che
l’ultima sigaretta può donare un attimo di falsa quiete al morituro.
Particolarmente lugubre è l’immagine che vede la sigaretta portatrice o
annunciatrice di morte rimboccare in un’azione apparentemente amorevole le
coperte al simbolo più vitale dell’esistere, il sangue che scorre nelle vene
della persona stesa a letto, nel contesto come in una situazione di attesa della
possibile malattia e della più infausta scena conclusiva, nell’inganno del più
sinistro amore double face.
Nella
seconda strofa fa la sua apparizione una luna altrettanto sinistra che mette in
ordine estetico con i suoi pallidi raggi notturni, che fanno per così dire
vedere il buio, i riccioli sulla fronte della protagonista. Si tratta di una
luna in forte assonanza con la sua presenza nel Romancero Gitano di Federico
García Lorca (Fuente Vaqueros 1998-Viznar 1936. Chiarendo: un po’ come nella
lirica Prendimiento de Antoñito el Camborio en el camino de Sevilla, Cattura
di Antoñito il Camborio sulla strada di Siviglia, dove la luna – lasciamo qui
stare la polisemia del termine luna nel contesto – vogliosa del
bellissimo giovane gli fa brillare i riccioli sulla fronte fra gli occhi,
mostrando così di averlo scelto per portarlo presto con sé nel suo triste regno
– la luna è nelle culture dei popoli sede del Regno dei morti di cui essa è
signora. Come testé accennato, anche la luna di Maria Teresa Infante beffa con
la sua sinistra cura dei riccioli sulla fronte colui o colei che vuole rapire,
quasi innamorata della bella persona che prepara non per la vita, bensì per la
morte. E davvero, se la luna è compagna ideale degli innamorati nella notte, le
atmosfere dove domina la notte non sono mai del tutto liete: l’innamorato, in
molti poeti del Settecento, soprattutto inglese e tedesco, nell’epoca che introduce l’irrompere
della nuova sensibilità Romantica, pensa nell’argenteo e comunque sinistro chiarore
lunare all’amato o all’amata ormai nel regno della morte, in un sentire che
suscita nell’Autrice qualche momento di oscura comunione con la poesia
Romantica.
Nella
terza strofa sia il cielo come duplice segno di possibile vita nell’al di là, coincidente
con la morte terrena, sia la terra quale duplice simbolo dell’esistenza umana,
luogo non solo della vita, ma anche della morte stessa come biblico ritorno
alla polvere, alla terra, dunque cielo e terra non sono lontani fra di essi –
non si tratta di una impossibile lontananza dalla protagonista – in quanto
condividenti il doppio solco simbolico. In altri termini: la protagonista di
questa lirica dagli intrecci semantici fatti di intense sensazioni a monte dei
concetti espressi sente affievolirsi la consapevolezza e attende il buio nella
situazione più sinistra di cui sopra – buio simbolo principe dell’inconscio e
della sua creatività poetica –, affinché parli per lei, che non è più in grado
di disporre del linguaggio del giorno, della razionale pratica della quotidianità.
L’atmosfera in cui si svolge la lirica in un crescendo di allontanamento dalla
consapevolezza – il cielo e la terra con la loro duplice simbologia non sono
più troppo lontani fra di loro, ossia la vita e la morte non sono più tanto
distanti l’una dall’altra. Il momento è quello ormai del dormiveglia, del
sonno, il tempo consono all’emersione dell’inconscio nel sogno, alla più
disponibile e speciale attivazione di quei circuiti cerebrali che le necessità
della vita pratica devono porre in disparte: è il tempo più consono
all’emersione dei simboli estetici nella spazialità per il possibile originaria
del più immaginifico inconscio. Così la situazione per esprimersi in termini
poetici si è realizzata secondo la personalità più vera della protagonista-
Autrice: un’atmosfera che rivela come la creatività poetica più vera, collegata
al venir meno della più solida e consueta energia data dalle esigenze dell’esistere,
sia vicina alla sensazione di morte, come la maggiore lontananza dalla vita
concreta inevitabilmente evoca. Allora la poetessa, divenuta capace di essere
in un contatto più diretto con la creatività, scrive con l’inchiostro che si associa
al colore della notte fonda in cui, per usare ancora una metafora
chiarificatrice, conduce la sua vita simile alla morte uno spaventoso inconscio,
dalle cui oscure fattezze rifuggono gli umani tranne i più audaci poeti.
Scrive
su carta straccia – ben lungi da ogni eroismo –, la poesia di Maria Teresa
Infante La Marca si serve di qualsiasi mezzo per esprimersi, non ha bisogno di
lussi e apparenze.
Così
la poesia di Maria Teresa Infante La Marca ha espresso in versi,
magistralmente, il processo della creatività più vicina alla sua origine nel
buio della mente, dell’intrico dei circuiti nervosi, oltre che uno scorcio
suggestivo della sua visione del mondo scevra da illusioni per così dire
placebo.
In
presenza delle liriche dell’Autrice dedicate espressamente alla notte nel suo
mistero è d’obbligo un riferimento comparativo, per quanto breve e diversamente
figurabile, al grandissimo poeta Romantico tedesco: Novalis, alias
Friedrich von Hardenberg (Schloss Oberwiederstedt 1872-Weißenfels 1801), autore
degli indimenticabili – e nella fattispecie eroici – Hymnen an die Nacht,
Inni alla notte che vivono di infinita Sehnsucht di vita potenziata
nella morte.
Se nel primo Inno
Novalis afferma che alla lieta luce del giorno, la quale nasconde il mistero
della vita illuminandone solo la spesso banale e puerile superficie colorata,
preferisce l’oscurità ineffabile della notte: Abwärts wende ich mich/Zu der
heiligen, unaussprechlichen/ Geheimnisvollen Nacht/, Giù mi volgo/Verso la
sacra ineffabile/Misteriosa notte/, Maria Teresa Infante nella terza strofa
dice di attendere che l’oscurità – alias l’inconscio in sembiante di notte –
parli per lei, così che esprima ciò che di ineffabile la poetessa abbia in se
stessa. Le liriche dedicate alla notte da Maria Teresa Infante La Marca non
sono inni eroici, impossibilmente lo sarebbero nell’attuale epoca pena
l’assurdità, in un tempo già tanto distante dalla possibilità di credere o
voler credere nelle grandi illusioni che hanno accompagnato e ancora
accompagnano, magari con pochi eroismi tuttavia, l’umano esistere, illusioni
che sempre più abbandonano l’uomo solo, di fronte a certezze di caducità
definitiva di cui deve essere o diventare all’altezza attingendo alla propria solitaria
forza interiore. E la Infante possiede questa forza interiore. Ribadendo: l’Autrice
è poetessa pienamente inserita nell’epoca attuale, diversi millenni trascorsi
all’insegna di illusioni di resurrezioni e vite eterne – già sconfessate dall’ateo
Ugo Foscolo (Zacinto 1778-Londra 1827) che le ha sostituite con gli ideali, un
loro doppio riguardante la necessità di sentire l’esistere nobilmente – le sono
realmente alle spalle con l’effetto che le illusioni nella poetessa si rivelino
ormai non più come Romantiche e neppure foscoliane, ma come assenza di
qualsiasi sogno di qualsiasi grandezza. Nella sua poesia domina la volontà di
conoscere se stessa dolorosamente nel modo più vero possibile e perciò
scendendo – come nella citata metafora di Novalis che non guarda in alto la
luce solare, ma volge lo sguardo giù, nell’oscurità dei mondi interiori – nell’inquietante
quanto creativo inconscio, nero come la notte, nero come l’inchiostro che parla
e scrive nella sua speciale lingua poetica, estetica.
Così,
nella poesia Un quarto alle 3:0 di Maria Teresa Infante La
Marca, rappresentativa del tempo attuale.
Prima
di concludere, una parola doverosa relativa alle due illustrazioni di Marika
Grassano: bellissime nel senso sinistro che il grande critico Romantico
Wilhelm Heinrich Wackenroder (Berlino 1773-Berlino 1798) ha dato al sublime che
ha posto come nuovo concetto del comunque bello, sebbene non bello come nel significato
tradizionale, ma bello di un’estetica più profonda della pur stupenda
superficie, più emozionante nel nuovo sentire più moderno, appunto inaugurato
dal Romanticismo – vedi anche il saggio Über das Erhabene, Sul sublime
(1801), di Johann Christoph Friedrich von Schiller (Marbach am Neckar
1759-Weimar 1805). In questo senso assolutamente Romantico vanno intese le due bellissime e nel contempo molto inquietanti immagini artistiche
di Marika Grassano Gold Shadow, Ombra d’oro, e Lunar Storm,
Tempesta Lunare, totalmente in sintonia con il sentire espresso nella silloge.
In questa seconda illustrazione è la luna a scatenare la tempesta nei cieli e
sulla terra, facendo vedere e sentire la sua cosmica e inesorabile energia, la forza
di attrazione per gli umani che cadono nella sua rete beffarda e sinistra, per
così dire sempre proseguendo con una metafora relativa ai testi poetici citati.
Così nelle molto intense Illustrazioni di Marika Grassano.
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Rita Mascialino
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